I fantasmi della frontiera. Il Kashmir, regione ampiamente trascurata dalla diplomazia e dall’opinione pubblica internazionale, rappresenta nondimeno un centro nevralgico dello scontro di civiltà che da anni agita l’Occidente. La contiguità geografica e culturale con la Terra Santa ha da sempre contribuito a nascondere agli occhi dei governi europei e di Washington quanto da più di sessant’anni accade lungo la Linea di Controllo (LoC) indo-pakistana.
È su questo confine che a partire dal 15 agosto 1947, dopo la partizione dell’ex colonia inglese in India e Pakistan, si sono concentrati secoli di tensioni tra popolazioni musulmane e hindu. Dalla grande suddivisione del territorio rimase escluso il Jammu e Kashmir, piccolo regno a maggioranza musulmana, governato dal sovrano hindu, Hari Singh. Pochi mesi dopo l’indipendenza, un’insurrezione tribale nel nordovest del Kashmir costrinse il maharaja a sottoscrivere l’annessione all’India, seppur con la clausola che, una volta calmate le acque, sarebbe stato organizzato un plebiscito affinché il popolo decidesse il proprio futuro. L’esercito indiano entrò in azione in poche ore, grazie a un intenso ponte aereo tra l’Uttar Pradesh e la capitale Srinagar, e non senza difficoltà riuscì a respingere l’offensiva (nota come Prima guerra indo-pakistana), portando alla divisione del regno attraverso la LoC, in Azad Kashmir controllato dal Pakistan e Kashmir sotto il controllo dell’India.
La contiguità geografica e culturale con la Terra Santa ha da sempre contribuito a nascondere agli occhi dei governi europei e di Washington quanto da più di sessant’anni accade lungo la Linea di Controllo (LoC) indo-pakistana
A sessantadue anni dalla partizione, la realtà è ancora molto complessa. In ragione innanzitutto della pesante concentrazione dell’esercito indiano (con poco meno di 600.000 soldati schierati, il Kashmir è l’area più militarizzata al mondo), voluta da Nuova Delhi per vigilare sull’autonomia garantita dalla costituzione indiana al governo kashmiro. Responsabilità in secondo luogo dell’ingombrante vicinanza del Pakistan, che pur di indebolire la rivale di sempre continua a finanziare e addestrare attraverso i servizi segreti, gruppi di guerriglieri da inviare nel Kashmir indiano per sostenere la resistenza armata. Responsabilità infine dei combattenti per la libertà, che a partire dall’89 hanno dato il via a una feroce guerra contro le «forze di occupazione indiane», costata 70.000 vittime, compresi molti civili. Dopo 20 anni di scontri, il Paradiso dell’Himalaya è diventato una bolgia violenta, in cui corruzione e abusi sono la norma, e gran parte di questi portano gli stemmi dell’esercito indiano. A testimoniarlo sono i 7.000 stupri accertati ma non puniti commessi da soldati indiani, i 20.000 prigionieri in carcere in attesa di processo, i 300.000 casi di tortura durante gli interrogatori e gli 8-10.000 desaparecidos, in parte finiti nelle fosse comuni che continuano a essere scoperte lungo le aree di confine, in parte gettati nelle carceri di stato facendone perdere le tracce. Tanta brutalità, manifesta l’incapacità dell’India di trovare una soluzione in un’area alla quale è legata anche la stabilità di Pakistan e Afghanistan. In contemporanea, l’India non è nemmeno disposta a discutere una soluzione pacifica, le cui conseguenze per la democrazia più popolosa al mondo potrebbero essere disastrose. Il Kashmir è ormai una causa nazionale, cui è legato il prestigio dell’India stessa: perdere la regione, magari a favore del Pakistan, sarebbe uno smacco incolmabile per la seconda economia asiatica, e per una potenza politica sempre più influente. Altrettanto importante appare la posizione strategica del territorio, che entra come una sorta di cuneo tra Pakistan, Cina e Afghanistan, e dove non a caso Nuova Delhi continua a concentrare soldati e armamenti. L’ultimo aspetto di cui tenere conto riguarda la questione religiosa. Il Kashmir è l’unico stato a maggioranza musulmana all’interno dell’Unione Indiana, a sua volta governata dagli hindu. Sebbene le spinte dei nazionalisti del Sang Parivar («gruppo di associazioni» hindu), rappresentati politicamente dal Bharatya Janata Party, puntino alla riforma costituzionale per l’eliminazione dell’autonomia del governo kashmiro, Nuova Delhi si serve del Kashmir musulmano per portare avanti il «sogno» di una democrazia secolare voluta da Nehru ai tempi dell’indipendenza. È lecito supporre che, fino a quando le autorità internazionali continueranno a ignorare colpevolmente la regione, complici le violenze e le tensioni che colpiscono Srinagar e dintorni, l’India potrà prolungare il controllo militare sul territorio, a scapito di ogni soluzione.
Riproduzione riservata