Il 31 marzo 2015 hanno chiuso i battenti per sempre gli ultimi istituti deputati in Italia alla cura e detenzione dei malati psichiatrici criminali: i cosiddetti ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Sulla loro improvvisa chiusura il mio forte plauso va al "Sole-24 Ore",che lo scorso 29 marzo ha accolto e diffuso l’allarme contenuto nell’ottimo articolo di Gilberto Corbellini ed Elisabetta Sirgiovanni,ai quali va il vivissimo ringraziamento di un medico che ha trascorso gran parte della vita professionale negli ospedali psichiatrici emiliani e che condivide per intero l’articolo in questione.
Specialmente laddove Corbellini e Sirgiovanni avvertono che “non è il caso di ricadere negli stessi errori della legge 180, impropriamente chiamata Basaglia, e approvata nel clima politico tormentato del 1978, appena quattro giorni prima del rapimento di Aldo Moro. Anche in quel caso la chiusura degli ospedali psichiatrici prevedeva un’organizzazione territoriale dell’assistenza, che è stata valutata negli anni qualitativamente inefficace e inadeguata non solo localmente da chi doveva gestire […] le esigenze del settore della salute mentale […]. Mescolare pazienti criminali, potenzialmente manipolatori o violenti, ad altri pazienti vulnerabili è in più una scelta azzardata e ingiustificabile, perché i primi necessitano di cure e attenzioni ancora più specifiche , come la psichiatria forense ha insegnato”.
Per quarant’anni in questo Paese il potere di legiferare sull’assistenza dei malati di mente è appartenuto a una schiera di persone dotate di buone intenzioni ma prive, all’apparenza, di un’esperienza psichiatrica di trincea e, non di rado, convinte da nostalgie mistico-romantiche che a occuparsi dei malati di mente gravi (non mi riferisco ai portatori di nevrosi, che quello lo siamo tutti, e ci è andata bene!) non dovessero essere gli ospedali psichiatrici, anche se tecnicamente avanzati. Ma che tale compito dovesse invece andare in capo alla tenera premura della gente comune, che con la sua proverbiale bontà avrebbe fugato il male. Era colpa della “società” se si erano ammalati? La società finalmente responsabile doveva occuparsene!
Abbiamo sotto gli occhi le conseguenze di queste scelte: quasi ogni giorno, sulla stampa si sono lette storie drammatiche dovute a pazienti dimessi prima della remissione dei sintomi maggiori. Possiamo facilmente immaginare le tante storie non scritte di dolore, solitudine e paura patite e sopportate quotidianamente da anziane madri o sorelle costrette a ospitare congiunti psicotici che rifiutano le cure e, se non vengono accontentati, diventano violenti. Per più di trent’anni chi parlava di pericolosità psichiatrica veniva pubblicamente svillaneggiato.
Perché almeno un po’ cambiasse il vento, ma per quanto ancora non c’è dato sapere, c’è voluta la recente tragedia dell’aereo Germanwings e le polemiche innescate dopo la lettura della scatola nera. Su una radio francese ho avuto modo di seguire un dibattito fra medici sulle carenze dell’assistenza psichiatrica in quel Paese: uno degli intervenuti invitava a consolarsi con le iniziative pseudoscientifiche attuate in Italia. È bene ricordare che le conseguenze dei tanti errori commessi in questa parte delicata della pubblica sanità ricadono in primo luogo, come si è visto, sulle famiglie, ma subito dopo sui giovani medici dei servizi psichiatrici che saranno presto costretti a misurare la loro impotenza anche sui gravi problemi posti dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari.
Sarebbe bastato bonificare e ridimensionare gli ospedali esistenti: un controllo più severo attuato da personale specializzato e competente avrebbe evitato il loro degrado carcerario, come si fa nell’Europa civile. E ci avrebbe guadagnato anche la spesa.
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