Questo articolo fa parte dello speciale Vacanze italiane
È consuetudine dei turisti raccogliere e conservare oggetti di scarsa o nulla utilità: biglietti del treno, bustine di zucchero, cartoline, saponette degli alberghi, tovagliolini dei bar, per dirne alcuni. Non si butta niente. Si nascondono tra le pagine delle guide e trovano con facilità posto in valigia, perché hanno la fortuna di non occupare troppo spazio né di appesantire il bagaglio. Piccoli souvenir da riportare a casa come cimeli, a memoria di esperienze fatte e di luoghi visitati, che si conservano tra i propri oggetti personali e da cui a volte ci si lascia sorprendere, ritrovandoli per caso e sorridendo al pensiero dei bei momenti passati.
Achille Bertarelli, uomo di cultura e appassionato ricercatore di oggetti rari e raffinati, poi fondatore del Touring Club Italiano, tra la fine dell’Ottocento e il primo trentennio del Novecento fece della predilezione per questa categoria di materiali una vocazione, dando vita a una vera e propria collezione, degna di un gentiluomo d’epoca dallo spiccato gusto artistico, che in seguito venne donata al Comune di Milano.
Paolo Arrigoni, amico e collaboratore, in un ricordo scritto per la rivista “Lares” nel 1938 – anno della morte di Bertarelli – lo ritrae quale uomo «dotato di una profonda cultura storica ed artistica, di un’intelligenza vivace e curiosa e di uno spirito eminentemente realizzatore» e descrive come «le caratteristiche della sua attività di collezionista furono la novità e la vastità di concetto, il fine d’utilità nei riguardi della cultura, la razionalità del piano programmatico; egli cioè, più che a soddisfare un gusto personale od un’innocente mania, mirò alla creazione di organiche e ricche raccolte di materiali di prezioso valore documentario in determinati campi». Quindi precisa la sua tendenza a raccogliere testimonianze d’epoca «meno note e più rare, perché di durata effimera».
È proprio quest’ultima la parola chiave che ci permette di comprendere tanto la natura dell’interesse di Bertarelli quanto il fulcro della mostra Souvenir d’Italie, allestita al Castello Sforzesco di Milano, curata dalla storica dell’arte Marta Sironi e visitabile fino all’8 ottobre.
L’esposizione si concentra sui cosiddetti ephemera, oggetti per l’appunto effimeri che assumono una particolare importanza non per la loro utilità pratica, ma proprio per il valore simbolico
Una raccolta di materiali particolari e raffinati, vere e proprie chicche del costume e della società italiani, provenienti dalla Fondazione Achille Bertarelli (che nel corso degli anni si è arricchita con oggetti provenienti da più collezioni) e che raccontano il nostro Paese attraverso i souvenir, capaci di restituire una narrazione iconica, idilliaca e popolare al tempo stesso, del nostro modo di raccontare i luoghi prediletti per le vacanze e i più frequentati dalla metà dell’Ottocento fino ad oggi, da un turismo elitario prima e sempre più di massa poi.
I souvenir esposti negli spazi del Castello sono di varia natura: biglietti del treno, come un buono strappato per un viaggio da Livorno a Pisa in prima classe nel 1844; menù delle crociere con proposte di piatti freddi, caldi, zuppe e dolci; ventagli che sono stati tra i primi gadget capaci di rispondere anche alle esigenze della moda dell’epoca. L’esposizione si concentra sui cosiddetti ephemera, oggetti per l’appunto effimeri che assumono una particolare importanza non per la loro utilità pratica ma proprio per il valore simbolico e per la capacità di evocare un tempo di cui la spensieratezza è l’unica vera cifra stilistica.
«Nella mostra Souvenir d’Italie ha trovato spazio tutto quel materiale che non ha collocazione dal punto di vista museale – racconta la curatrice Marta Sironi, esperta di materiali a stampa di epoca moderna e contemporanea. È interessante come Bertarelli avesse già attivato una catalogazione alla Aby Warburg, collezionando diversi oggetti rilevanti dal punto di vista visivo». Vero, infatti, che Souvenir d’Italie è una mostra fatta per coccolare e incuriosire gli occhi di chi ha una predilezione per gli oggetti d’arte non convenzionali e un gusto per la grafica giovane. L’estetica che accompagna il visitatore nel percorso è moderna e vanta una grande forza attrattiva. È sempre Sironi a raccontare di come Souvenir d’Italie sia una «mostra estiva, pensata per il grande pubblico» ma che racchiuda un valore aggiunto: «La collezione alla base dell’esposizione è una della maggiori al mondo. Va incontro al gusto pop ma anche al gusto amarcord, agli amanti della stampa, ai creativi che, nelle loro produzioni, rievocano queste forme».
Le riproduzioni di fine Ottocento e inizio Novecento hanno una cura che ora ci sogniamo: le scatole di fiammiferi, ad esempio, riportano meravigliose vedute delle città italiane in miniatura. Vere e proprie opere d’arte che tutti potevano possedere
Tra le teche e sulle pareti, troviamo innanzitutto i poster e le locandine, che raffigurano scorci facilmente riconoscibili di luoghi simbolo del nostro Bel Paese: ecco svettare le guglie del Duomo di Milano con la Madonnina dorata che si staglia sul cielo azzurro, oppure Ravenna con i suoi mosaici e il rimando all’epoca bizantina con i suoi mosaici. Ma vengono raccontati anche luoghi naturali, dove il silenzio sembra creare una dimensione altra dal turismo di città o sul litorale. Un manifesto invita a visitare l’Argodino, vero cuore delle Dolomiti, con prati verdi interrotti da qualche abitazione qua e là e le montagne innevate sullo sfondo. Per chi alla montagna preferisce luoghi bagnati da laghi e mari, non mancano poster che ritraggono la costiera Amalfitana o che pubblicizzano i laghi d’Italia.
Questi manifesti furono un’idea per incentivare il turismo voluta dall’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche che, negli anni Venti e Trenta, affidò ad artisti la realizzazione delle grafiche. Non sempre compare la loro firma ma è emblematico come, per la realizzazione di questi souvenir, vennero coinvolti autori e grafici di grande importanza. Spunta, ad esempio, un manifesto con la scritta «Autunno lariano» realizzato dall’architetto Giuseppe Terragni per incentivare il turismo nella città di Como: monumenti simbolo della città rappresentati in uno stile perfettamente in linea con il suo gusto razionalista. «Le riproduzioni di fine Ottocento e inizio Novecento hanno una cura che ora ci sogniamo. C’è una precisione grafica che ormai si è persa. Lo stile derivava da un insieme di cultura popolare, si pensi ai disegni dei merletti in alcune riproduzioni o ai richiami folcloristici, e sviluppo delle prime industrie, come nel caso della carta che avvolgeva le arance nelle cassette che dalla Sicilia venivano esportate. Un altro esempio sono le scatole di fiammiferi: ve ne sono di numerosissime e riportano meravigliose vedute delle città italiane in miniatura. Italo Zetti è un incisore molto raffinato che ha realizzato queste riproduzioni: erano vere e proprie opere d’arte che tutti potevano possedere».
Sironi, che nel raccontare la sua passione per gli oggetti effimeri confessa «più sono piccoli e minori e più mi emoziono», nella scelta dei materiali da esporre ha dovuto operare una selezione importante e non facile, considerata la vastità della collezione. Alcuni oggetti, in particolare, hanno catturato la sua attenzione. «Le scoperte che più mi sono piaciute sono state le etichette per le valigie, di dimensioni contenute e con colori fortissimi. Venivano appiccicate sui bauli come manifesti portatili: gli hotel facevano a gara per rendersi noti. Ci sono poi le incisioni ottocentesche sui biglietti di cortesia, sui quali venivano segnati il nome e l’indirizzo dell’ospite per avvisare della propria presenza in città. O ancora le carte delle arance che collezionavo da piccola: la collezione è infinita ma ho scelto quelle più legate al tema del turismo»
I social e Instagram oggi svolgono la stessa funzione dei souvenir: si tratta di immagini effimere di luoghi di vacanza che vanno in Rete. Rientrano nell’esigenza di fermare attimi e ricordi
Investire nelle grafiche per sponsorizzare la propria città o il proprio albergo era una pratica diffusa. Non stupisce che le mete che meglio hanno saputo creare una narrazione siano stati capoluoghi come Firenze, Roma e Napoli. Secondo Sironi, però, ad esercitare più fascino è stata Venezia, che «rimane il luogo più avvolto dal mistero. La Venezia delle Mille e una notte, delle canzoni d’amore e del Carnevale. Le case dei profumi, ad esempio, producevano dei calendari tascabili spruzzati con una fragranza che, a distanza di tempo, possiamo ancora sentire perché si è conservata». Venezia, e più in generale la rappresentazione delle mete turistiche, è anche caratterizzata dai suoi stereotipi: i piccioni di piazza San Marco sono i protagonisti di cartoline realizzate dall’inizio del 1900 fino al 1980.
Cosa rimane del gusto per i souvenir, oggi? C’è ancora la tendenza a collezionare oggetti effimeri? «I social e Instagram oggi svolgono la stessa funzione dei souvenir: si tratta di immagini effimere di luoghi di vacanza che vanno in rete. Oggi c’è la tendenza all’autoproduzione di ricordi e memorie di un viaggio, che vengono postate, e ci sono gli influencer e gli youtuber che ci dicono dove andare. La vena effimera di chi conserva scontrini e biglietti del treno è rimasta. Rientra nell’esigenza di fermare attimi e ricordi. E questa è una necessità che è non è cambiata nel tempo».
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