Questo articolo fa parte dello speciale Vacanze italiane
Roma, Firenze, Venezia, Napoli sono state le classiche mete dei viaggi di nozze per la borghesia italiana che, a cavallo della Prima guerra mondiale, stava consolidandosi come classe sociale. A quel tempo gli italiani conoscevano poco il proprio Paese e per molti quel viaggio restava un unicum e così gelosamente conservavano oggetti ricordo, menu di viaggio, cartoline, come abbiamo appreso dalla bella mostra milanese Souvenir d’Italie, a cura di Marta Sironi.
Negli anni del Ventennio la borghesia che aspira alle mille lire al mese è raro che si metta in viaggio per motivi di svago, al massimo usufruisce dei servizi dell’Opera nazionale del Dopolavoro, fondata da Mussolini nel 1925 e che per il Regime diviene uno dei più efficaci strumenti di organizzazione del consenso. Lo testimonia Treno popolare (1933), il film d’esordio di Raffaello Matarazzo, allora poco più che ventenne, che scelse un coetaneo, Nino Rota, per il commento musicale di un’opera quasi sperimentale nel panorama dell’epoca. La pellicola racconta di una scampagnata a Orvieto, raggiunta da un eterogeneo gruppo di gitanti romani con un treno del Dopolavoro. La funicolare, l’incanto delle vetrate del Duomo, le corse in bici per le strade sterrate: a unire la comitiva è la necessità di scappare, almeno per un giorno, dalle nevrosi della vita cittadina, approfittando degli sconti ferroviari che, a partire dal 1931, interessano chi viaggia verso le città d’arte o le località balneari.
È difficile rintracciare nel Ventennio pellicole che si occupano delle vacanze degli italiani, una consuetudine a quell’epoca riservata alle élite. Fa eccezione La famiglia Brambilla in vacanza (1941), diretto dal Karl Boese, che sfrutta il successo dall’omonima canzone (che racconta una scampagnata con “la vecchia Balilla”) e ha per tema le goldoniane “smanie per la villeggiatura”. Nel film la villeggiatura si svolge a Viareggio, località allora rinomata, ma quelle scene furono girate al Lido di Ostia.
Devono passare parecchi anni prima che il nostro cinema torni a occuparsi del tempo libero. In mezzo c’è la guerra a cui segue la nascita del neorealismo
Devono passare parecchi anni prima che il nostro cinema torni a occuparsi del tempo libero. In mezzo ci sono la guerra e i suoi sconvolgimenti a cui segue, in campo cinematografico, la nascita del neorealismo. Sergio Amidei, lo sceneggiatore di Roma città aperta (1944), ha l’idea di raccontare una giornata al mare in Domenica d’agosto (1950), un film che scrive e produce, affidandone la regia all’esordiente Luciano Emmer. Il litorale di Ostia è in quel giorno (domenica 7 agosto) una calamita per migliaia di romani che lo raggiungono con ogni mezzo: in treno, in bicicletta, con i primi scooter o con le camionette che fungono da autobus in un’Italia che porta ancora i segni del conflitto, ma in cui prevale la voglia di dimenticare il passato e di appropriarsi del nascente tempo libero. Nell’aria c’è qualche allusione al fascismo, ma ad Amidei interessa soprattutto mostrare la differenza tra i ricchi che frequentano lo stabilimento balneare attrezzato e i poveri che, dotati di robusti picnic (con l’immancabile cocomero), si concedono una meritata giornata di riposo. L’opera è un incrocio tra neorealismo e commedia all’italiana, ed è il capostipite di un genere balneare che avrà molta fortuna negli anni successivi, soprattutto perché può mostrare belle ragazze in bikini, che negli anni diventeranno sempre più succinti, senza incorrere nella censura.
I poveri, che sono poi piccolissimo borghesi, pensano soprattutto a mangiare e a riposarsi, mentre si accostano all’acqua con molta cautela. Il mare è riservato ai più giovani. Il successo del film spinge Emmer e Amidei a rinnovare la formula in Parigi è sempre Parigi (1951), il racconto di una comitiva di connazionali che, in un embrione di viaggio organizzato, seguono la trasferta della nostra nazionale di calcio nella capitale francese. Sono passati solo sei anni dalla fine della guerra, e cinque dal discorso di Alcide De Gasperi alla conferenza di pace di Parigi, con quel memorabile incipit: “Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. Il cinema italiano di quegli anni è, nonostante le raccomandazioni di Andreotti (“i panni sporchi si lavano in famiglia”, disse a proposito di Umberto D), uno straordinario ambasciatore di una Italia nuova e in questa occasione si affida alle facce cordiali dei due protagonisti: Aldo Fabrizi e Ave Ninchi, nonché alle grazie della giovane e bellissima Lucia Bosé (Miss Italia 1947).
Roma in tutta la sua bellezza fa da sfondo a Vacanze romane (1953) di William Wyler. A cavallo di una Vespa, Gregory Peck e Audrey Hepburn sono il simbolo di un’epoca di pace e di benessere alle porte e diventano uno straordinario biglietto da visita per il turismo intercontinentale. Di lì a qualche anno è inaugurato l’aeroporto di Fiumicino (1961), che segue il successo delle Olimpiadi di Roma del 1960.
Il Tirreno del Ponente ligure fa da sfondo a La spiaggia (1954) del milanese Alberto Lattuada. Al regista interessa mostrare la villeggiatura nei suoi riti: i flirt tra coppie sposate, il complicato dialogo tra chi arriva dalla città pieno di pretese e i valori più autentici degli abitanti del luogo. Le differenze sociali acuite da una vita che in teoria dovrebbe essere più libera, anche se la vita di mare negli anni Cinquanta è solo uno specchio un po’ deforme di quella cittadina.
A cavallo di una Vespa, Gregory Peck e Audrey Hepburn sono il simbolo di un’epoca di pace e di benessere alle porte e diventano uno straordinario biglietto da visita per il turismo intercontinentale
Anche la montagna, specie dopo il successo delle Olimpiadi invernali di Cortina del 1956, diventa una meta turistica per strati via via più vasti di popolazione, anche se bisognerà aspettare gli anni Settanta perché la “settimana bianca” entri nelle abitudini degli italiani. Così Alberto Sordi, edicolante di via Veneto, si confida con Vittorio De Sica, nobile spiantato ma arbitrer elegantiarum nel Conte Max (1957) di Giorgio Bianchi. Sordi è in procinto di passare il Capodanno a Capracotta, “la piccola Cortina degli Abruzzi”, ma De Sica gli consiglia, per assecondare le sue aspirazioni di scalata sociale, senz’altro Cortina e, semmai, “una puntatina a Chamonix”. L’opera inaugura un sotto filone alpino con film come Vacanze d’inverno (1959) di Camillo Mastrocinque, sempre ambientato a Cortina e con protagonista Alberto Sordi, e prosegue saltuariamente finché rinasce negli anni Ottanta con i film dei fratelli Vanzina, tutti girati nelle Dolomiti Ampezzane.
Negli anni del boom economico il mare è finalmente alla portata di molti, ma nasce allo stesso tempo la necessità per chi aveva frequentato fino a quel momento quei luoghi di sottrarsi alle masse che raggiungono le coste e molto rapidamente ne modificano la morfologia con la costruzione di alberghi, seconde case, villaggi turistici, camping. Angelo Rizzoli, editore, produttore cinematografico con interessi economici a Ischia, promuove due film – Vacanze a Ischia (1957) di Mario Camerini e Appuntamento ad Ischia (1960) di Mario Mattoli – per lanciare le bellezze dell’isola del Golfo di Napoli, celebre per i suoi stabilimenti termali. Non mancano naturalmente opere ambientate nella vicina Capri, a partire da L’imperatore di Capri (1949) di Luigi Comencini con uno scatenato Totò, ma l’isola appare soprattutto il luogo dove si ritrova una fauna internazionale che vive in una sorta di extraterritorialità. Anche la Costiera amalfitana viene sfruttata dal cinema prima ancora dell’arrivo del turismo, con film come Pane, amore e… (1955) di Dino Risi, con la coppia Vittorio De Sica e Sofia Loren impegnati in un indimenticabile Mambo italiano. In quegli anni un’avanguardia del turismo internazionale raggiunge Positano, allora quasi una Portofino della Costiera. Così Vittorio Caprioli, al debutto alla regia, la sceglie per ambientarvi Leoni al sole (1961), opera scritta con Raffaele La Capria, che descrive, con penetrante osservazione di costume, i riti di un gruppo di “giovani leoni” napoletani attraverso la prospettiva del personaggio di una critica gastronomica ante litteram interpretata da una meravigliosa Franca Valeri.
Le Isole Eolie erano state scoperte qualche anno prima nella cosiddetta “guerra dei vulcani”, nella vicenda che coinvolse Roberto Rossellini quando lasciò Anna Magnani per Ingrid Bergman. A Stromboli (1950) di Roberto Rossellini, che scelse un luogo estremo in cui il contrasto tra uomo e natura è sottolineato dalla presenza dell’attrice svedese, si contrappose Vulcano (1950), produzione hollywoodiana firmata da William Dieterle, con protagonista Magnani. Frotte di giornalisti e fotoreporter da tutto il mondo accorsero nell’arcipelago siciliano, ma non contribuirono a lanciarlo turisticamente. Troppo complicati erano i collegamenti con la terraferma. Così negli anni successivi la natura e la popolazione dell’isola furono documentate da fotografi come Ugo Mulas e Cecilia Mangini, mentre il cinema ci fece ritorno, via acqua, con l’Avventura (1960) di Michelangelo Antonioni, girato tra Stromboli, Basiluzzo, Lisca Bianca, in una produzione che durò cinque mesi e lasciò stremata la piccola troupe. Le riprese, pur magnifiche, non incentivarono il turismo eoliano. Era ancora troppo presto.
Dino Risi, uno dei più acuti registi della commedia all’italiana, utilizza ripetutamente, nel corso degli anni Sessanta, i luoghi di mare per mostrare la rapidissima mutazione antropologica degli italiani. Se A porte chiuse (1961) si segnala solo perché è il primo film girato a Maratea che, nell’occasione, svolge la funzione di cittadina greca, Il Sorpasso (1962) è il primo e insuperato road movie italiano e la cavalcata nel giorno di Ferragosto (divenuto il Capodanno estivo) di Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant da Roma a Castiglioncello è il documento perfetto della nostra estate negli anni del boom.
In un mondo nuovo tutti hanno diritto a divertirsi, compresi gli abitanti di una cittadina a ridosso del mare che in una sagra paesana ora ballano il twist per sentirsi al passo coi tempi. Lasciare alle spalle l’Italia contadina e il suo mondo antico, il controllo sociale esercitato dalla Chiesa, trasferirsi dalla campagna in città è la direzione che ha preso l’intera società. E sono in particolare i giovani, una nuova classe sociale (le avvisaglie si trovano in un altro film di Risi, Poveri ma belli, che risale al 1956), a indicare la strada da percorrere. Il regista milanese passa dal Tirreno all’Adriatico con L’ombrellone (1965), girato quasi interamente a Riccione. Qui la classe media italiana si mescola a quella straniera che arriva da tutta l’Europa occidentale in un rito collettivo che inaugura l’età del benessere. Sono trascorsi esattamente vent’anni dalla fine della guerra e i tedeschi sono diventati ottimi clienti del nascente modello di ospitalità romagnola (una radio transistor ci informa che centinaia di migliaia di persone hanno pacificamente varcato in quei giorni il Brennero). Oltre ai soliti temi legati al sesso (infedeltà di coppia, con le mogli insidiate dai playboy locali), Risi è attento a registrare l’enorme numero di bambini (i futuri boomer), a mostrare come gli oggetti di plastica riempiano la spiaggia e come il divertimento sia diventato, per così dire, obbligatorio. La vacanza, la vita di mare sono una delle componenti costitutive del nuovo italiano che nasce col boom. Stefania Sandrelli, figlia di contadini dell’Appennino, in Io la conoscevo bene (1965), di Antonio Pietrangeli, è una ragazza che non si distingue dalle altre, prende il sole in bikini e ascolta la musica dal mangianastri sul Lido di Ostia. La società dei consumi, in alcune circostanze, riesce ad annullare le differenze di classe, con il miraggio di un benessere per tutti.
Risi è attento a registrare l’enorme numero di bambini (i futuri boomer), a mostrare come gli oggetti di plastica riempiano la spiaggia e come il divertimento sia diventato, per così dire, obbligatorio
L’utilizzo spasmodico dei litorali più popolari, nel caso specifico Ostia, e le acque divenute inquinate fanno scegliere ad Alberto Sordi, operaio specializzato delle acciaierie di Terni, la Costa Smeralda per celebrare i dieci anni di nozze. È il protagonista, assieme ad Anna Longhi, e regista dell’episodio La camera nel film collettivo Le coppie (1970). Le riprese mostrano la Costa Smeralda e Porto Rafael ancora pochissimo costruiti: un paradiso per ricchi che non prevede che qualcun altro possa goderne, mentre la popolazione locale è poco più che una comparsa. La Sardegna torna anche in Travolti da un insolito destino in un azzurro mare d’agosto (1974) di Lina Wertmuller, anche se è soprattutto uno sfondo nella parodia della lotta di classe tra il marinaio Giancarlo Giannini e Mariangela Melato “bottana industriale”. Nel film l’abbronzatura è un privilegio per i ricchi e una condanna per i poveri.
Un mare popolare è quello di Casotto (1977) di Sergio Citti, un film scritto con Vincenzo Cerami, entrambi allievi di Pier Paolo Pasolini. La pellicola, che dispone di un cast stellare (Tognazzi, Deneuve, Melato, Michele Placido, Paolo Stoppa, Gigi Proietti, una giovanissima Jodie Foster e altri ancora), registra con molta efficacia la confusione del tempo. Nel casotto che dà il titolo al film si alternano una famiglia che vorrebbe piazzare la nipote incinta a 16 anni, una coppia di soldati super machi e forse inconsapevolmente gay, due borgatari alla ricerca del rimorchio facile ma che ricevono rifiuti da ragazze ormai evolute, un sordido affarista che controlla le sue pulsioni indossando una cintura di castità. Il grottesco è la cifra della pellicola: liberarsi dall’educazione ricevuta risulta molto complicato, nonostante ora in apparenza sia concesso a tutti di seguire le proprie inclinazioni. Il mare non si vede che all’inizio del film ma è certo il catalizzatore di una rivoluzione dei costumi riuscita a metà. Ha così buon gioco Alberto Sordi a prendere in giro le “vacanze intelligenti” promosse dalla borghesia radical chic. Le vacanze intelligenti è un episodio di Dove vai in vacanza (1978) di cui l’attore romano firma la regia. Con Anna Longhi forma una coppia di fruttaroli romani che, seguendo le istruzioni dei figli, visitano la Biennale di Venezia che ha per slogan “dalla natura all’arte, dall’arte alla natura”. La scena clou è quando la moglie è scambiata per un’opera d’arte dai visitatori up to date della manifestazione.
Il figlioccio artistico di Sordi, Carlo Verdone, sceglie di ambientare nel giorno di Ferragosto il suo esordio artistico come regista e protagonista di Un sacco bello (1980). Poco meno che trentenne è credibile nel dar il volto a una serie di personaggi: chi va in Polonia per ribadire il mito del latin lover; chi – il “mammone” – deve raggiungere la madre a Lapispoli; chi vive in una comunità hippie a Città della Pieve. Il film coglie il disorientamento giovanile in anni in cui il concetto di vacanza sembra appannato da un confine in quel momento non chiarissimo tra lavoro e tempo libero (il famoso “faccio cose, vedo gente” di morettiana memoria).
Gli anni Ottanta segnano invece un “ritorno all’ordine”, col rimpianto degli anni Sessanta, ora mitizzati in Sapore di mare (1983) dei fratelli Vanzina, che rievocano quel decennio spensierato in una Fregene truccata da Forte dei Marmi. I Vanzina diventano specialisti del filone vacanziero, da un lato ripercorrendo tutti i classici del genere anni Sessanta, dall’altra aggiornando la mappa dei viaggi e delle vacanze degli italiani, seguendoli in giro per gli Stati Uniti, in spiaggia a Miami o ai Caraibi, o ancora a spasso per l’India. Le vacanze stanno diventando globali, anche se qualcuno è alla ricerca degli ultimi esotici domestici.
Negli anni Novanta le Eolie sono finalmente diventate una meta turistica: se ne accorge Nanni Moretti in Cario Diario (1993) che passa da Salina, dove i bambini figli unici spadroneggiano, a Panarea, da cui fugge dopo pochi minuti dopo essersi imbattuto in una Pr che lo investe con le parole vuote dell’epoca, mentre ad Alicudi, dopo aver incontrato il moralista e solitario Moni Ovadia, esclama: “C’è una calma terribile”.
Ventotene è il teatro di Ferie d’agosto (1996) di Paolo Virzì: qui si confrontano due famiglie allargate, una che è la caricatura di una tribù radical chic, l’altra appartiene al generone romano. In realtà a dividerli, più che le ideologie, sono i consumi, lo stile con cui vivono la vacanza: la prima è più parca e moderata, la seconda brandisce il telefonino, allora ancora poco diffuso, e, dopo una gita in motoscafo, butta le immondizie in mare. Il regista livornese è tornato di recente sull’isola dell’arcipelago pontino per girare Un altro ferragosto (2023). A oltre un quarto di secolo di distanza, la differenza non è tanto nei luoghi, ma nei comportamenti: adulti e ragazzi sono immersi in una bolla social e il mare è soprattutto uno sfondo.
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