Un'uscita di scena da eroe? Il 19 gennaio scorso si è svolta a Sofia, presso l’Ndk (il Palazzo nazionale della Cultura, inaugurato nel 1981 per la celebrazione dei 1300 anni dalla fondazione del primo Stato bulgaro), l’VIII conferenza del Dps, movimento politico della minoranza turca presente in Bulgaria (circa il 10% della popolazione). Mentre il leader del partito Ahmed Dogan parlava, un giovane, munito di pass ben visibile al collo, si è portato sul palco e gli ha puntato una pistola alla testa. Attimi di paura e di smarrimento. Dogan ha immediatamente reagito, e qualche secondo dopo un gruppo di delegati si è avventato sul giovane immobilizzandolo a terra. Calci, pugni e insulti sono seguiti sul palco, finché il ragazzo non è stato portato via, con la faccia diventata una maschera di sangue, da due agenti sopraggiunti in evidente ritardo.
Oktay Enimehmedov, originario della città di Burgas, 25 anni, studente di etnia turca, è l’attentatore. Guardando i vari video postati su YouTube e su numerosi siti bulgari ci si stupisce della facilità con la quale il venticinquenne sia potuto salire sul palco. Lo stupore è ancora più forte se a posteriori si viene a sapere che non erano stati installati i metaldetector all’ingresso del Palazzo. E la polizia? Dai video non ne ricaviamo traccia, se non per quei due agenti la cui identità si scoprirà solo più tardi. Certamente il fatto introduce tutta una serie di considerazioni sul riconoscimento della leadership di Dogan da parte dei suoi colleghi.
Il giovane attentatore, noto alle forze dell’ordine per precedenti di droga, teppismo e vicinanza al mondo degli hooligans, come afferma il ministro dell’interno Cvetan Cvetanov, portava con sé una pistola non in grado di uccidere. La procura della capitale bulgara ha dichiarato che Enimehmedov è stato incriminato per teppismo e minacce di morte, ma non per tentato omicidio. Inoltre, il viceprocuratore Safarov ha annunciato che saranno indagati anche i delegati che si sono avventati sull’attentatore.
Il Dps è stato creato da Dogan, ex agente dei servizi segreti bulgari di epoca comunista, a metà degli anni Ottanta, durante il tristemente famoso “processo di rinascita” che il governo bulgaro mise in atto per cambiare nomi e identità alla minoranza turca presente nel Paese. Il movimento, fin dalla sua origine, è stato gestito in modo a dir poco autoritario dallo stesso Dogan. La mancanza di democrazia interna, tuttavia, ha garantito un’esistenza a un soggetto politico che in ogni modo ha reso visibili le istanze della comunità turca. Sebbene la Costituzione bulgara, con l’articolo 11, vieti la formazione di partiti e movimenti a base etnica, razziale o religiosa, la Corte costituzionale sin dal 1992 ha garantito l’esistenza del Dps.
E ora che cosa succederà? In realtà qualcosa è già accaduto: Dogan si è dimesso in favore del suo braccio destro, Lyufti Mestan. D’altro canto, la conferenza del partito era stata indetta per eleggere il nuovo leader. Molti esponenti politici bulgari si sono immediatamente espressi in favore di un complotto, o meglio di una messa in scena che evidenziasse un fantomatico complotto contro il Dps. Un’uscita di scena di Dogan causata da ostracismo politico e sociale. Ma bisogna sottolineare che lo stesso leader del movimento aveva già manifestato in qualche modo la volontà di lasciare la dirigenza; e non bisogna dimenticare che ci sono dei fuoriusciti, come Kasim Dal, che stanno da tempo cercando vie alternative al movimento.
Un’ultima considerazione. Sarebbe molto facile concludere con un discorso che facesse riferimento a una dietrologia storica tale da ricercare nella notte dei tempi le cause di tutti i mali bulgari, ma un altro tipo di analisi si impone. La Bulgaria, come molti altri Paesi, ha ancora a che fare con lo ius soli, diritto alla terra per nascita che tanto dolore ha portato nello spazio umano della ex Jugoslavia. È un monito che deve essere preso in seria considerazione sia dalla politica sia dagli ambienti accademici più conservatori. Forse i giannizzeri non stanno complottando contro la Bulgaria. È tempo che anche in questo Paese europeo sudorientale si superi l’autocompatimento e si pensi a sradicare la proiezione su se stessi di una crudele storia europea repressa.
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