Caccia al rom. Il 23 settembre scorso, intorno alle ore venti, nella cittadina di Katunica, vicino Plovdiv, Angel Petrov, un ragazzo di 19 anni, viene investito da un minivan e muore in seguito alle ferite riportate. Una notizia tragica simile a molte altre provenienti da tutto il mondo. Ma in questo caso succede qualcosa di diverso, immediatamente si scatena la caccia all’uomo, e nei giorni successivi molte città della Bulgaria, tra cui Plovdiv, Varna, Burgas, Pleven e la capitale Sofia, sono teatro di manifestazioni più o meno spontanee ma cariche di rabbia e in taluni casi di violenza, con scontri, arresti e un altro morto. A molte di queste manifestazioni partecipano ragazzi in camicia nera e hooligans; da parte loro, sembra che anche i rom si stiano organizzando.

Analizziamo ora qualche dato. Alla guida del minivan c’è Simeon Josifov, un uomo di 55 anni originario del distretto rom di Stolipinovo nella città di Plovdiv. Il ragazzo ucciso qualche giorno prima dell’incidente si era rivolto alla polizia di Asenovgrad per presunte minacce ricevute. Stando ai testimoni dell’incidente, Josifov avrebbe deliberatamente investito il giovane Petrov. Inoltre, l’investitore sarebbe un parente, o uno “scagnozzo”, di Kiril Raškov, conosciuto anche come Zar Kiro, potente malavitoso della zona, e al quale la domenica successiva è stata incendiata l’abitazione. A distanza di più di una settimana Josifov è stato arrestato mentre stava cercando di passare il confine con la Turchia; anche Zar Kiro è stato arrestato, per frode fiscale, “resa possibile” da funzionari pubblici che hanno sempre sorvolato di indagare sui suoi conti e sulle sue proprietà. Intanto le manifestazioni di piazza si sono allargate e la “rabbia” contro i rom (che costituiscono tra il 5 e il 10% della popolazione), ma anche contro i turchi, si è intensificata.

Al di là della dinamica immediatamente individuabile nella reazione degli abitanti della cittadina di Katunica, questo caso bulgaro deve suscitare un cambiamento di prospettiva. È il sistema sociale che deve essere al centro dell’indagine da parte del singolo e delle istituzioni, anche loro parte del sistema. Il singolo fatto che di tanto in tanto fa ricordare all’opinione pubblica europea che esiste anche la Bulgaria viene compreso solo se si parte dal tutto, ovvero, in questo caso, anche dalle politiche di Francia e Germania sui rimpatri dei rom attuate non molto tempo fa, ma anche dai fatti di Budapest e Bratislava. Periodicamente la questione rom riesplode, e in Bulgaria è riesplosa quasi alla vigilia delle elezioni presidenziali e locali del 23 ottobre scorso. Il premier Bojko Borisov e il ministro degli Interni Cvetan Cvetanov sono al centro delle polemiche per non aver fatto fronte, opportunamente, al problema della criminalità rom, e per la mancata incisività contro la corruzione dilagante nel Paese.

A questo proposito è utile ricordare che il consenso di Ataka, formazione di estrema destra guidata da Volen Siderov, è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni: nel 2009 ha ottenuto il 9,4% dei voti e 21 seggi parlamentari su 240; alle europee dello stesso anno, è arrivato addirittura al 12%, guadagnando due seggi a Strasburgo. Il partito di Siderov, una serie di social network e il canale televisivo di Ataka – Skat Television hanno organizzato e coordinato le proteste di piazza sfociate poi in scontri. Borisov si trova quindi a fronteggiare una situazione molto complicata, dopo aver incassato, pochi mesi fa, il no dell’Ue all’entrata della Bulgaria nell’area Schengen. Da un punto di vista ecologico (ecologia – scienza del contesto) i rom diventano il sostituto, un elemento indice di un conflitto sociale latente che è da intendersi come configurazione simmetrica, che può portare alla violenza, alla schismogenesi, alla rottura in attesa di un nuovo equilibrio. Tuttavia, l’equivalenza conflitto=violenza è falsa, dal momento che il conflitto esprime semplicemente la differenza. Ecologicamente è da ritenere fondamentale non l’oggetto bensì le relazioni tra le comunità del sistema sociale in questione. Sfogliando molti giornali per comprendere i fatti avvenuti in Bulgaria chiunque si sarebbe potuto imbattere nell’espressione scontro etnico. È un’attribuzione forte e probabilmente non corrispondente al contesto. Ma sono proprio i “segna-contesto” che potrebbero essere ancora una volta ignorati, travisati e strumentalizzati. La situazione rimane in evoluzione. Le recenti elezioni con le quali la Bulgaria ha scelto il conservatore ed ex ministro dei Lavori pubblici Rosen Plevneliev quale nuovo presidente della Repubblica rischiavano di essere influenzate non poco dai fatti di Katunica, ma il Paese ha preferito una posizione moderata. Gli indici di previsione di crescita evidenziano che per il 2012 la Bulgaria si attesterà intorno al 2,9%. Il tasso di disoccupazione è salito al 11,7% e il 20% delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. La scelta elettorale forse è stata una scelta pragmatica che allontana (si spera) la “necessità” di esasperazioni etniche.