Una cintura nera al potere in Bulgaria. Il 5 luglio scorso, a distanza di un mese dal voto per le europee, si sono tenute le elezioni politiche per il parlamento unicamerale bulgaro (240 seggi). Con il 39,71% delle preferenze, il GERB (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria) dell’ex sindaco di Sofia, Bojko Borisov, si è aggiudicato 116 seggi, affermandosi indiscutibilmente come il primo partito della scena politica bulgara.
Questo risultato, peraltro annunciato, segna la sconfitta dei socialisti, al potere dal 2005, che hanno ottenuto appena il 17,7% delle preferenze, conquistando 40 seggi. Le altre formazioni che hanno ottenuto una rappresentanza parlamentare sono state il Movimento per Diritti e Libertà (DPS, partito etnico turco, che ha conquistato il 14,46% dei voti e 38 seggi), i nazionalisti di ATAKA (9,36% e 21 seggi), la Coalizione Blu (formazione di destra che si è aggiudicata il 6,76% dei voti e 15 seggi), e il Partito Ordine, Legge e Giustizia (RZS, partito populista di destra che fa la sua prima apparizione in Parlamento, avendo conquistato il 4,13% dei voti e 10 seggi). Il partito dell’ex re ed ex premier bulgaro Simeone II ha ottenuto il 3% e, non raggiungendo il quorum del 4%, è stato escluso dal Parlamento. Un risultato che ha convinto Simeone II ad annunciare le proprie dimissioni dalla guida del partito che, secondo le previsioni degli addetti ai lavori, sarà sciolto a breve, in occasione di un congresso straordinario.
Il 16 luglio, il presidente della Repubblica, Georgi Părvanov, ha dato a Borisov il mandato per formare il nuovo esecutivo, il quale, stando alle dichiarazioni del leader di GERB, non si sarebbe poggiato su alleanze con altri partiti. Dieci giorni dopo, il 27 luglio, il Parlamento ha votato la fiducia al nuovo governo, un monocolore di minoranza, che ha ottenuto la fiducia di 162 deputati. Hanno votato a favore i nazionalisti di ATAKA (che già alle elezioni europee aveva ottenuto 2 seggi con l’11,95%), la Coalizione Blu e i populisti di RZS. Contrari i socialisti e il partito della minoranza turca (DPS).
Borisov, cintura nera di karate ed ex guardia del corpo di Todor Zhivkov, ultimo leader del Partito comunista bulgaro, ha creato il GERB nel 2006 per ricomporre il disarticolato arcipelago di formazioni di destra attorno all’idea della lotta alla criminalità e all’atlantismo di ferro nelle relazioni internazionali. La vittoria di Borisov è stata interpretata dagli organi di stampa bulgari come una sanzione nei confronti dei socialisti di Stanišev e, più in generale, di tutta l’oligarchia politica nazionale. La situazione economica è piuttosto difficile: oltre alla recessione (ufficiale da tre trimestri), sono venuti a mancare importanti finanziamenti europei, bloccati da Bruxelles a causa dell’eccessiva corruzione presente nel tessuto socio-economico. Il 22 luglio scorso, oltretutto, l’Ue ha sanzionato nuovamente Sofia per la mancata riforma del sistema giudiziario. Tutta la campagna elettorale di Borisov – fan dichiarato del divo hollywoodiano e governatore californiano Arnold Schwarzenegger - si è giocata sulla costruzione di un profilo carismatico, nel tentativo di presentarsi come una figura finalmente svincolata dai compromessi e dai ricatti dei partiti minori, accusati di rappresentare la causa principale della corruzione che paralizza il paese (Borisov ha denunciato l’intera classe politica tradizionale definendola “corrotta e popolata da ladri e bugiardi”). Sebbene l’élite politica sconfitta abbia avuto l’indubbio merito di avere traghettato la Bulgaria nella NATO e in Europa, e abbia dotato il paese di un sistema pienamente democratico, il talento mediatico e le derive populiste di Borisov hanno fatto breccia nell’opinione pubblica.
A votare per il leader del GERB sono stati soprattutto i giovani, con una percentuale stimata intorno al 60-70% e l’elettorato tradizionale della destra (comprese le fasce più alte della popolazione, imprenditori e uomini d’affari). Al di là delle doti comunicative del nuovo premier e della sua capacità di parlare alla «pancia» del paese, sfruttandone le paure e le incertezze, il «fenomeno Borisov» deve essere spiegato anche attraverso un’ulteriore angolatura: il nuovo premier ha saputo dare slancio a una nuova destra che non fonda più la propria identità e la propria retorica politica sul tema esclusivo dell’anticomunismo, come era avvenuto in passato, ma ha saputo darle un volto più pragmatico e moderno, facendone una credibile alternativa per il governo del paese.
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