L'ultimo saluto a Lee Kuan Yew. Due mesi fa, il 23 marzo, si è spento all’età di 91 anni l’ex primo ministro e “padre fondatore” della città-Stato di Singapore Lee Kuan Yew, al cui estremo saluto hanno partecipato centinaia di migliaia di singaporeani (si stima circa 450.000). Con la propria tradizionale discrezione e compostezza, il 29 marzo i concittadini del defunto leader politico hanno accompagnato la sua salma lungo un corteo di 15 chilometri.
La carriera politica del giovane Harry Lee Kuan Yew ebbe inizio nel novembre 1954, quando fu fondato il partito che ha costruito, rafforzato e governato Singapore fino a oggi: il People's Action Party (Pap). Questo era inizialmente costituito da un gruppo di circa 1.500 persone, formatesi politicamente all’interno dell’allora colonia britannica, molte delle quali di etnia cinese (i cosiddetti cinesi baba), tornate in patria dopo aver studiato in Gran Bretagna. Lee Kuan Yeuw, all’epoca venticinquenne, intuì la necessità dell’attrazione delle masse popolari più povere e non-English-speaking. Dopo aver frequentato brillantemente l’Università di Cambridge, Lee era rimpatriato a Singapore per prestare servizio come consigliere legale nelle trade unions locali, comprendendo il valore e l’importanza della difesa dei lavoratori e delle persone economicamente e culturalmente più disagiate e sostenendo le rivendicazioni sia degli studenti e degli anticolonialisti, sia dei comunisti, sia dei moderati.
Il suo governo, ininterrotto fino al 1990 (anno in cui gli successe il suo vice, Goh Chok Tong), ha trasformato Singapore, piccolo possedimento britannico privo di materie prime ma dotato di una straordinaria importanza geostrategica nell'Asia Sud-orientale, in uno Stato indipendente, omogeneo, dedito interamente allo sviluppo economico. Tuttavia, a differenza dei sistemi democratici moderni, il principio di piena attuazione dei diritti umani e civili e la centralità dell’individuo in qualità di soggetto pienamente sovrano non rivestono a Singapore una funzione primaria nel contesto sociale e, soprattutto, politico. Per questo motivo, il lungo governo di Lee Kuan Yew è stato spesso oggetto di critiche e accusato di tendenze “dittatoriali”, specie nell’emarginazione dei propri avversari. Tuttavia grazie a Lee e alla sua linea politica, il piccolo Stato, un tempo emporio manifatturiero del colonialismo britannico nella penisola malese, è diventato il Paese del Sud-Est asiatico nel quale si effettua il maggior numero di investimenti stranieri. Tra questi, quelli cinesi e giapponesi hanno soppiantato, per importanza e dinamicità, gli investimenti americani. Un esempio che dimostra come Singapore sia diventato il fulcro degli interessi economici stranieri in tutto il continente asiatico, poiché capitali e imprese estere vi si concentrano, propagando le proprie attività verso l’esterno.
Singapore riveste un ruolo di primaria importanza anche nell’ambito degli scambi commerciali interni alla regione: i mercati manifatturieri e le materie prime di tutto il Sud-Est Asiatico hanno il loro tramite con gli altri Paesi dell’area e con l’Occidente in quella che è stata definita una delle cinque “tigri” del Sud-Est asiatico. Ciò è stato possibile grazie alla sua particolare struttura politica ed economica, ideata e rafforzata da Lee Kuan Yew nel corso del suo lungo mandato, che mira ad attrarre gli Investimenti diretti esteri (Ide) senza l’esistenza di un’autonoma classe imprenditrice, capace di svolgere una funzione di mediazione tra investitori e imprese.
L’eredità politica di Lee Kuan Yew non è andata perduta con la sua uscita di scena dalla vita pubblica. A partire dai primi anni Novanta, infatti, il governo di Goh Chock Tong ha intrapreso una particolare politica di potenziamento, volta a trasformare Singapore in una vera e propria “isola intelligente”. Secondo questo programma le infrastrutture dei principali settori (manifatturiero, dei trasporti marittimi e aerei, dei servizi finanziari, delle telecomunicazioni e dei mezzi di telecomunicazione di massa) sono state trasferite all’interno dei confini dello Stato, il quale, a causa della propria limitata estensione (674,5 kmq), non era stato capace, in passato, di consentire la realizzazione delle attività economiche unicamente sul proprio territorio. A causa delle sue dimensioni territoriali, sin dal momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna Lee Kuan Yew difese e rafforzò l’individualità politica e culturale singaporeana, che si è manifestata soprattutto in occasione dell’ultimo saluto al suo fondatore.
Lee lascia come primo ministro suo figlio, Lee Hsien Loong (in carica dal 2004), che ha proseguito l’attuazione della sua formula politica, i cui fattori determinanti sono stati essenzialmente tre: uno Stato forte e una società politica e civile debole, la dipendenza del ceto medio e imprenditoriale alla classe dirigente e la mancanza di una possibile alternativa di governo concessa dal Pap alla società civile. E se i valori di democrazia e libertà si sono affermati progressivamente a Singapore, grazie all’espansione di un ceto medio più critico e consapevole, il solco politico tracciato da Lee Kuan Yew resta ancora incisivo nel futuro della piccola “tigre asiatica”. Persiste, infatti, una totale identificazione tra Stato e Partito popolare d’azione, che mantiene inalterata la sua capacità di gestione dell’economia e della società, in assenza di qualunque altra credibile forza d’opposizione. Finché queste condizioni perdureranno, il Pap e il primo ministro manterranno la propria funzione di guida della nazione e Singapore continuerà a essere caratterizzato da una “curiosa” anomalia: uno Stato economicamente sviluppato e proiettato verso la crescita economica e il benessere sociale a fronte di un sistema di governo talvolta definito “illiberale”, o comunque non sempre rispettoso dei diritti individuali civili e politici.
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