In un recente e quanto mai opportuno articolo sul «Corriere della Sera» Sabino Cassese – all’interno di un articolato ragionamento sulle Strategie anti-corruzione da ripensare – richiama l’attenzione sull’affermazione secondo la quale nel nostro Paese il costo relativo alla corruzione «sarebbe di 60 miliardi all’anno, pari alla metà del costo della corruzione di tutti i Paesi dell’Unione europea messi assieme». Notizia, ricorda Cassese, totalmente priva di fondamento, la cui genesi è stata ricostruita con ironia da Luca Ricolfi e Caterina Guidoni (in Il pregiudizio universale, Laterza, 2016).
Ma è opportuno andare oltre questa specifica «falsa notizia». La principale fonte alla quale attingono i sostenitori di quello che ormai sembra diventato un «luogo comune», e cioè del fatto che saremmo uno dei Paesi più corrotti del mondo, è rappresentata dall’Indice della percezione della corruzione (Cpi – Global corruption perception index) stilato ogni anno dall’associazione non governativa contro la corruzione Transparency International. Secondo l’ultima emissione dell’Indice (rilevazione del 2016, pubblicazione nel gennaio 2017), che riguarda 176 Paesi di tutto il mondo e che vede al primo posto Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia e Svezia, l’Italia si collocherebbe al 60° posto, dopo Buthan, Emirati Arabi, Botswana, Georgia, Namibia, Malta, seguita fra le nazioni dell’Unione europea, solo da Grecia e Bulgaria (la Francia è al 23° posto).
Ma questa è la corruzione «percepita», come peraltro viene esplicitamente menzionato nel nome stesso dell’Indice. E la percezione è un concetto quanto mai ambiguo e scivoloso, che andrebbe sempre evitato in un ragionamento non dico scientifico ma quanto meno oggettivo. La percezione dipende innanzitutto dalla salienza dell’argomento nella comunicazione pubblica: nel nostro caso, maggiore è la denuncia di corruzione dei media, maggiore è la sensazione che il fenomeno sia rilevante (e lo stesso non accadrebbe in una nazione fortemente corrotta ma con mass media meno liberi o meno attivi). Inoltre, trattandosi di indici in gran parte costruiti sulle opinioni espresse (attraverso sondaggi) dagli stessi cittadini della nazione interessata, viene a contare molto l’opinione che una nazione ha di se stessa: noi italiani, come «autostima», siamo su livelli in genere assai bassi e spesso ci auto-valutiamo col doppio cliché di incapaci e imbroglioni (non capita certamente lo stesso, per esempio, ai cugini francesi).
Sui rischi legati al fatto di rilevare fenomeni sociali difficili da misurare attraverso «opinioni» (soprattutto di persone appartenenti alla nazione studiata), prendo da una non recente ma sempre attuale pubblicazione (Federica Pintaldi, Come si interpretano gli indici internazionali, Angeli, 2011) due esempi. Il Global competitiveness index del World economic forum colloca, nel sotto-tema della qualità dell’istruzione, l’Italia al 77° posto (dopo Zimbawe, Zambia, Kenia, Nigeria ecc., risposte di 110 manager d’azienda delle nazioni studiate). Vi pare credibile? Il Global gender gap index pone Italia all’84° posto, sotto a Filippine (dove gli uomini sono ancora gli unici proprietari della terra), Mozambico (dove alla donne sposate è vietato viaggiare senza il consenso del marito), Namibia, Tanzania, Ghana, dove ancora si pratica la mutilazione genitale. Si tratta di dati precedenti al 2011, forse qualcosa in quei Paesi è cambiato, ma l’«errore sistematico» rimane.
Un aiuto veramente utile per capire la differenza fra corruzione percepita e corruzione effettiva può venire dal recentissimo Rapporto dell’Eurobarometro sulla corruzione, realizzato mediante sondaggi su 1.000 casi in ciascuna della 28 nazioni dell’Unione europea (rilevazione ottobre 2017, pubblicazione dicembre 2017). In brevissima sintesi ecco i risultati:
- nell’accettabilità della corruzione («Quando si ha bisogno di qualcosa dalla pubblica amministrazione, quanto pensa sia accettabile ricambiare con un favore / fare un regalo / dare del denaro?»), l’Italia è sotto alla media europea (corruzione meno accettabile da noi che mediamente in Europa);
- nell’esperienza diretta di corruzione («Personalmente conosce qualcuno che prende o ha preso bustarelle?» «Negli ultimi 12 mesi, nell’accedere a servizi presso istituzioni pubbliche, vi sono stati chiesti (o vi si è fatto capire che erano graditi) doni, favori o denaro extra per questi servizi?» «Ha dovuto effettuare pagamenti extra al dovuto in ospedali, per cure mediche ecc.?»), l’Italia è sulla media europea;
- nella percezione della corruzione nel proprio Paese («Quanto pensa sia diffusa la corruzione nella sua nazione?», «Nella sua nazione c’è corruzione nelle istituzioni pubbliche locali o nazionali?», «Nella mia nazione la corruzione fa parte della cultura del business», e domande simili), l’Italia è drammaticamente sopra alla media europea e fra i Paesi che si auto-ritengono più corrotti.
Questo scarto – nelle risposte degli italiani – fra percezione («siamo uno dei Paesi più corrotti d’Europa») ed esperienza diretta di fenomeni corruttivi («a me non è mai capitato né conosco nessuno») è impressionante e spiega la ragione del nostro cattivo posizionamento nelle classifiche internazionali basate sulla percezione.
Aggiungo che una rilevazione simile a quella dell’Eurobarometro, finalizzata a rilevare gli episodi di corruzione effettiva, è stata condotta recentemente anche dall’Istat (Istat, Statistiche report, 12.10.2017) all’interno dell’Indagine sulla sicurezza dei cittadini, da cui risulta che «negli ultimi 12 mesi» solo l’1,2% degli intervistati ha dichiarato di essere stato coinvolto direttamente in eventi corruttivi quali richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di servizi dovuti (il 7,9% «nel corso della vita»). Si tratta di dati da analizzare in maniera articolata (cosa possibile dato che il campione è di 43.000 casi), con riferimento alle caratteristiche socio-demografiche delle persone, alle zone geografiche di residenza, ai settori sociali ed economici implicati: ma ci pare che questi numeri – tutto sommato modesti – non giustifichino il pregiudizio per il quale saremmo «uno dei Paesi più corrotti del mondo».
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