Questo articolo fa parte dello speciale La guerra in Ucraina
Non sappiamo quanto le notizie dal fronte ucraino siano affidabili, ma da diversi giorni ormai indicano una direzione presa dalla guerra di aggressione russa. Innanzitutto la capacità di resistere dell’esercito ucraino ha fatto fallire i piani iniziali di prendere rapidamente le grandi città e far fuggire o catturare la classe dirigente al governo. Gli ucraini sembrano anche aver fermato e messo in grande difficoltà la capacità di avanzata russa a Ovest e interrotto i canali di approvvigionamento alla prima linea. Dopo queste difficoltà, il comando russo ha annunciato una nuova fase e concentrato la propria azione a Sud, con l’assedio devastante di Mariupol, e nel Donbass. Gli invasori sono più potenti e capaci di nefandezze ma in difficoltà dal punto di vista militare e devono ridimensionare i propri obiettivi. In più sono sotto embargo e c’è anche qualche segnale di movimento da parte della Cina – che rimarrà neutrale ma forse meno indifferente. Infine, il flusso di rifugiati in Europa e le incertezze che le sanzioni generano nell’economia, soprattutto di quella europea, indicano che per Bruxelles ci dovrebbe essere interesse a cercare una soluzione temporanea e, con meno urgenza, una più ampia.
Ma si può trattare con il diavolo? Perché è così che con qualche ragione è stato dipinto Vladimir Putin. A guardare le dichiarazioni del vertice Nato e le risposte di alcune cancellerie non è facile dare una risposta. Da giorni sentiamo dire che «sarà una cosa lunga», «che niente sarà più come prima» e che si va verso un nuovo ordine fatto di blocchi o di un blocco democratico contro uno degli autoritarismi. Le parole inopportune e non previste del presidente Biden sul presidente russo, così come tutto il tono da Guerra fredda del discorso tenuto ai polacchi, indicano che questa suggestione a Washington c’è. Non è la sola, abbiamo visto Blinken smentire di corsa il suo presidente e Macron pronto a rimbrottare Biden. Tra l’altro la presidenza francese doveva essere quella della Difesa e politica estera comune, vedremo come e cosa ne sarà di queste categorie dopo questa crisi.
Gli invasori sono più potenti e capaci di nefandezze ma in difficoltà dal punto di vista militare e devono ridimensionare i propri obiettivi
Altre voci suggeriscono che una guerra lunga favorirebbe una congiura di boiardi o una cacciata di Putin da parte delle madri dei fanti mandati a morire in un Paese fratello. Alcune di queste analisi lasciano trasparire una volontà. Non entriamo nel merito di ciascuna ma segnaliamo due cose: nel blocco dei buoni sta rientrando il Venezuela, c’è l’Arabia Saudita e si lavora per far mettere un piede nella porta anche all’Iran; la cacciata di Putin non implica necessariamente il passaggio a un regime democratico né la fine alla politica estera imperiale russa.
Torniamo alla domanda: si può trattare? La prima risposta è che a decidere i termini del cessate il fuoco dovrebbero essere gli ucraini rappresentati dal presidente Zelensky e dal suo governo. A tratti le autorità di Kiev hanno aperto alla neutralità, hanno parlato di «formule da trovare» per il Donbass, ma hanno anche segnalato la fermezza nel non voler cedere territorio sovrano. Troppo spesso, anziché incoraggiare i negoziati o prendere l’iniziativa, europei e americani hanno derubricato i colloqui bilaterali. L’impressione è che in troppi nella diplomazia occidentale vogliano cogliere l’occasione creata da un Putin che si è messo nell’angolo da solo. Come reagirebbero costoro se Zelensky cedesse su alcune questioni che gli ucraini ritengono accettabili? Queste posizioni palesemente nell’aria sono un errore, proviamo a far dire perché a qualche esperto americano e non.
Alexander Baunov, dell’ufficio moscovita del Carnegie Endowement scriveva prima della guerra:
«L’Occidente non riesce a decidere se è sufficiente salvare l'Ucraina, o se ha bisogno di uscire dalla crisi come il vincitore assoluto, ovvero, non avendo fatto alcuna concessione, anche sull'attuazione delle parti meno accettabili degli accordi di Minsk firmati dai rappresentanti di Russia, Ucraina e Occidente nel 2015. Nei suoi negoziati con la Russia, l'Occidente non sta solo combattendo per la sicurezza dell'Ucraina, ma per lo status di vincitore assoluto della Guerra fredda: uno status che la Russia sta sfidando con la forza. Che a sua volta genera l’intransigenza occidentale. È qui che si trova la linea di demarcazione all'interno dell'Occidente tra coloro che sono a favore del compromesso e quelli decisi a vincere. Esattamente la stessa linea divide la leadership russa».
Un mese fa la leadership russa ha deciso di rompere l’equilibrio precario scegliendo la guerra, macchiandosi di una colpa gravissima. Ma a portare la responsabilità dello status quo precario che ha prodotto questa situazione ci sono anche attori occidentali.
Il quadro descritto da Maudov coincide con quanto si diceva su diversi approcci presenti a Occidente su come trattare questa guerra, con la Polonia, gli estoni, Stati Uniti e Gran Bretagna che sembrano, con intensità e ragioni diverse, propendere per una “vittoria completa”.
Lo statement dell’International Crisis Group, che pure è espressione di sensibilità occidentali, preme in un’altra direzione: «Il primo obiettivo dell’Occidente dovrebbe essere un accordo che entrambe le parti possano accettare e che ponga fine alla guerra. Questo obiettivo dovrebbe informare tutte le azioni dei governi occidentali». Bene, dunque, sanzioni e armi, in quanto rendono possibile un «accordo che sia il più possibile accettabile per Kiev» e induca anche Mosca a negoziare sul serio. «Coloro che promuovono una linea occidentale più dura offrono diversi argomenti», scrive sempre l’International Crisis Group: c’è chi parla di avere più coraggio perché l’imperativo morale è proteggere gli ucraini e chi teme altre invasioni russe; altri credono che l’uso di armi nucleari da parte di Mosca non dipenda da cosa facciamo noi, altri ancora che Mosca non userà comunque la bomba nucleare per paura della Nato. «Ciò che questi argomenti hanno in comune è un pericoloso congetturare e auspicare […] Come dovrebbero le potenze occidentali bilanciare imperativi in competizione – punire e scoraggiare l'aggressione, da un lato, ed evitare un'escalation profondamente pericolosa dall'altro - mentre la guerra è in corso? Finora, sono in gran parte sulla strada giusta, ma è importante che tengano a mente gli scopi di ogni strumento che stanno già utilizzando o che stanno considerando di utilizzare». L’invito è a ricorrere alle leve usate fino a oggi come strumento per incanalare la trattativa diplomatica e non per altro.
Nel loro How to make peace with Putin due esperti di Russia e relazioni internazionali come Tomas Graham e Rajan Menon scrivono: «Demilitarizzare l'Ucraina o relegare il Paese nella sfera d'influenza della Russia, come chiede Mosca, sarebbe inaccettabile. Tuttavia, Kiev e i suoi partner devono considerare quanto sono disposti a concedere». I due spiegano che più sanzioni di così è impossibile, che più la guerra dura e più morti ci saranno e che dunque «il tempo del negoziato è adesso» e che al tavolo vero non ci saranno solo Mosca e Kiev perché oltre allo status dei territori occupati c’è il tema dello status internazionale dell’Ucraina e quello di chi paga per la ricostruzione – e quindi di una promessa di ridimensionare progressivamente le sanzioni. «Una soluzione duratura dovrà bilanciare gli interessi di tutte le parti in conflitto. Nel quadro qui proposto, nessuna parte raggiunge i suoi obiettivi finali, ma ognuna ottiene qualcosa di cui ha urgente bisogno», scrivono Graham e Menson, che concludono: «l'Occidente ha vinto la Guerra fredda non in un colpo solo, ma attraverso una serie di passi, compresi, quando necessario, i compromessi con Mosca per evitare la guerra».
Sarebbe bene che l’Europa avesse una voce, lavorando incessantemente per individuare una soluzione capace di fermare le bombe e di consentire a ciascuno di non essere del tutto scontento
Michael Mikkage e Lina Fix, altri professori con esperienza diplomatica, scrivono: «Il fallimento di Minsk ha molti autori [non solo Kiev e Mosca, N.d.R.]. Parigi e Berlino erano retoricamente impegnate nell'accordo ma hanno fatto poco per farlo rispettare. Washington era altrettanto compiacente e pigra». I due autori elencano una serie di questioni aperte – territori conquistati e indipendentisti, la necessità di garantire la sicurezza all’Ucraina neutrale con altre potenze che si fanno garanti della sua sicurezza con una formula simile all’articolo 5 Nato – e spiegano con che «you can’t always get what you want». In sintesi anche per questi autori occorre trattare un cessate il fuoco e una formula anche precaria. Pensiamo alla Bosnia, o allo status non status di Taiwan per le regioni autonome. Se è vero che Putin è fiaccato e indebolito da questa guerra, la pace e un nuovo ordine saranno figlie dell’attesa che questa debolezza produca risultati.
In un rapporto del 2019 prodotto da un lungo lavoro di esperti americani, russi ed europei per Rand corporation e la Friedrich Ebert Stiftung, la fondazione della Spd tedesca, si racconta quanto dannosa sia la competizione Russia-Occidente in quelle che vengono definiti «in between States» (la terra di mezzo tra Europa/Turchia e Russia, Ucraina, Moldavia, Georgia e Azerbaijan). «La contesa per gli “stati di mezzo” ha avuto un costo pesante per questi Paesi. Il caso più estremo è la guerra in Ucraina […] la competizione ha anche interrotto gli scambi commerciali regionali e ha rallentato il processo di riforma e trasformazione interna. Il risultato è che tutti gli stati coinvolti – la Russia, i Paesi occidentali e gli Stati intermedi – sono meno sicuri e prosperi». Il danno economico e di sviluppo di una società civile in quei Paesi va sottolineato: la competizione con la Russia non porta più libertà, benessere e democrazia nella regione per la quale si compete. Il rapporto segnalava la non fattibilità di un allargamento della Nato e richiamava la necessità di un nuovo ordine, a partire da uno status creativo per quella regione.
La guerra di aggressione portata dalla Russia è destinata a cambiare equilibri che erano già traballanti. È probabile che i negoziati tra Ucraina e Russia e quanto chi è disposto a cedere dipenderanno anche da come si delinea la situazione sul terreno. I 27 membri dell’Ue hanno fatto e stanno facendo la loro parte nel colpire l’economia russa, nell’accogliere le persone in fuga dai missili di Mosca e persino nel fornire assistenza militare. Questo ha creato una situazione sul terreno favorevole alle trattative. Sarebbe bene che l’Europa avesse una voce in questa vicenda e che lavorassero incessantemente per individuare una soluzione capace di fermare le bombe e di consentire a ciascuno di non essere del tutto scontento. Con l’Iran, gli Stati Uniti, l’Europa e anche la Russia hanno affrontato almeno un problema e se non ci fosse stato Trump forse oggi non saremmo di nuovo a doverlo affrontare. Non è impensabile immaginare di farlo con Mosca. In fondo, ci sarebbero questioni globali gigantesche che riguardano gli ucraini come i russi, come tutti gli altri di cui occuparsi.
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