È possibile che una frazione della classe dirigente russa abbia concepito il desiderio di una rivincita sin dall'epoca del collasso dell'Unione sovietica ed è molto probabile che Putin e i servizi segreti appartengano a questa frazione. La storia ha condannato l'Ucraina a essere il primo oggetto di desiderio. Lo scivolamento verso Occidente, verso la Nato e verso l'Unione europea, delle ex Repubbliche al confine occidentale del blocco dei Paesi dell’allora patto di Varsavia è stato un processo probabilmente inevitabile, anche se forse sarebbe stato meglio che avvenisse in modo più graduale. Gli Stati Uniti l'hanno visto come una vittoria nella Guerra fredda, gli altri europei come un passo verso un'Unione più ampia e, in prospettiva, più forte. Per una parte dell'élite russa è stata una sconfitta da riscattare.

L'occasione si è presentata con il crescente fabbisogno di energia da parte dell’Ue, dovuto in parte all'aumento dei consumi privati, in parte all’incompleta affidabilità dei produttori medio-orientali, in parte all'esigenza di abbandonare le risorse proprie delle regioni carbonifere e in parte alla decisione di alcuni Paesi di interrompere la produzione di energia da fissione nucleare e comunque di non procedere alla costruzione di nuove centrali nucleari. L’Italia e, soprattutto, la Germania si sono rivolte fiduciose alla Russia favorendo la costruzione di diversi gasdotti per garantire la copertura dei propri fabbisogni energetici. Sembrava la soluzione ideale: la Russia sarebbe diventata dipendente dalle esportazioni e l'Europa dalle importazioni. La dipendenza reciproca sembrava la migliore garanzia della fiducia reciproca. Le cose non sono andate esattamente in quella direzione.

La dipendenza reciproca sembrava la migliore garanzia della fiducia reciproca. Le cose non sono andate esattamente in quella direzione

Putin, o chi per lui, ha capito di disporre di una potente arma di ricatto: chiudere i rubinetti del gas, significherebbe infatti mettere in ginocchio una buona parte d'Europa, a partire dalla Germania. Ha anche capito che quest’arma era da usare presto, altrimenti con il tempo sarebbe diventata obsoleta, che la sua efficacia dipendeva dal tempo che l'Europa avrebbe impiegato per completare la transizione verso le energie rinnovabili e che le ritorsioni mediante sanzioni economiche da parte dell'Europa e dell'Occidente sarebbero state assai meno efficaci delle armi di ricatto che aveva accuratamente predisposto.

L'invasione dell'Ucraina non è stata quindi la mossa disperata di un pazzo o di un malato, come qualcuno ha creduto cedendo al wishful thinking. All'inizio sembrava aver fatto male i calcoli, sottovalutando la capacità di resistenza, anche militare, dell'Ucraina, ma alla lunga, nonostante la fornitura di armi da parte dell'Occidente, la disparità delle forze è apparsa evidente e, ad oggi, non sappiamo come andrà a finire. Il tentativo, anche un po' grottesco, di non implicare formalmente la Nato nel conflitto, per ora ha evitato un'escalation della guerra, ma non ha impedito l'irrigidimento del conflitto in cui nessuno dei contendenti è disposto a perdere. Un’Unione europea forte e indipendente, assieme alla Cina, potrebbe imporre una pace senza vinti e senza vincitori, ma l'Ue non è né forte né indipendente e la Cina, per ora, sta a guardare. Una cosa però è certa, la reazione dell'Ue è stata debole e non poteva che essere tale, perché l'arma del ricatto russa è molto più efficace dell'arma di ricatto europea. Sono affiorate le divisioni tra i Paesi membri dell'Est più preoccupati di fermare le mire espansioniste del nuovo zar di tutte le Russie e i Paesi dell'Ovest (Germania e Italia in testa) per i quali ancora per diversi anni il gas e il petrolio russi saranno indispensabili.

Il ricatto energetico non è l'unica arma di cui Putin ha fatto e farà uso in futuro: c'è anche la minaccia di favorire e di mettere in moto movimenti migratori di ampia portata sia da Est verso Ovest, sia da Sud verso Nord se, come molti sostengono, il mancato rifornimento di grano ucraino a diversi Paesi africani provocherà in essi una drammatica crisi alimentare. Putin ha da lungo tempo capito che nulla rende le democrazie dell'Occidente più vulnerabili dei fenomeni migratori fuori controllo e infatti non ha esitato a sostenere, finanziariamente e con la manipolazione delle campagne elettorali, i populismi nazionalisti, dall'ascesa di Trump, alla Brexit nel Regno Unito, nonché il movimento di Le Pen in Francia e della Lega di Salvini in Italia.

Infine, Putin ha molto chiaro che l'aumento del prezzo delle materie prime, in gran parte dovuto alla guerra, provocherà una forte ondata di inflazione nell'intero Occidente. Sa bene che l'inflazione erode il consenso, mette a dura prova le istituzioni democratiche e fa esplodere le disuguaglianze sociali: le classi inferiori rischiano di varcare verso il basso la soglia della povertà e le classi medie vedono ridursi sensibilmente il loro potere d'acquisto e quindi il loro tenore di vita, fornendo di nuovo un terreno fertile ai movimenti di stampo populista e nazionalista.

La guerra scatenata da Putin con l'invasione dell'Ucraina ha quindi un obiettivo immediato: far recuperare alla Russia quanto più territorio e risorse possibili dall'Ucraina sconfitta. Al momento non si può sapere come andrà a finire. Ma l'azione del Cremlino ha anche un altro obiettivo, ancor più ambizioso: mettere in crisi l'Unione europea ed evitare che la sua presenza costituisca un fattore di attrazione per la stessa società russa e soprattutto per la parte più giovane e moderna della sua popolazione. 

La guerra all'Ucraina è quindi una sfida all'Unione europea. Questa sarà in grado di rispondere alla sfida efficacemente? Tornando indietro nella storia, possiamo immaginare che, se nel 1954 l'Assemblea nazionale francese avesse approvato il trattato istitutivo della Comunità europea di difesa, la storia avrebbe preso un'altra piega. Fare degli esercizi contro fattuali di simulazione è un'operazione spesso utile, non solo per capire che direzione abbia preso la storia, ma anche per capire il presente. È chiaro che, per scoraggiare ulteriori ambizioni russe di recuperare territori o aree di influenza ai propri confini occidentali, l'Europa deve dotarsi di una forza di difesa efficace. Per ora, di fatto, le uniche decisioni prese riguardano l'aumento delle spese militari degli Stati membri (soprattutto della Germania), ma assai poco è stato fatto per dotare l'Unione di una credibile forza militare. È stato calcolato che i 27 Stati membri dell'Ue spendono in termini assoluti per la loro difesa molto di più (più di tre volte) di quanto spende la Federazione russa, mentre questa spende di più in termini di quota del Pil. Disporre di 27 eserciti scarsamente integrati dovrebbe essere visto come irrazionale anche dal solo punto di vista dell'efficacia militare, per non parlare dello spreco di risorse. Forse, se la Ced fosse entrata in vigore nel 1954, oggi la Russia di Putin non avrebbe osato invadere l'Ucraina. Perché, da allora, l'idea di un esercito europeo è stata di fatto archiviata, anche se, di quando in quando, qualcuno la ritira fuori senza molta convinzione?

La prima risposta a questa domanda è che, dopo la morte di Stalin, gli Stati Uniti non hanno più avuto un vero interesse a un’Europa capace di difendersi da sola. Un’Europa sotto l'ombrello americano sarebbe sempre stata alleata in una posizione subordinata.

Dopo Stalin, gli Usa non sono più stati interessati a un’Europa capace di difendersi da sola. Un’Europa sotto l'ombrello americano sarebbe stata alleata in una posizione subordinata

Per gli Stati Uniti sarebbe stato meglio che la Nato restasse una unequal partnership piuttosto che un'alleanza tra uguali. L'Europa ha rinunciato ad avere un esercito perché ha rinunciato alla propria indipendenza in politica estera, ha di fatto appaltato la sua difesa (quella vera, cioè nucleare) alla superpotenza americana. Un alleato scomodo, che qualche volta non avremmo voluto seguire, ad esempio in Vietnam o in Iraq, ma che tuttavia ci esentava dalla responsabilità di avere una politica estera e ci consentiva sonni tranquilli. Diciamolo francamente, gli Stati Uniti non hanno nessun interesse a un rafforzamento dell'Unione europea, anche perché un’Ue forte vorrebbe dire un euro forte e quindi una moneta internazionale in concorrenza col dollaro, sia come moneta di riserva sia come moneta di scambio sui mercati mondiali. L’euro sarebbe capace di ridimensionarne il potere del dollaro che ha consentito agli Stati Uniti di finanziare un enorme debito pubblico, esportando inflazione in tutto il mondo senza subirne le conseguenze. Che Europa e Stati Uniti abbiano interessi comuni non è affatto scontato. È la scelta aggressiva di Putin che ha risvegliato l'alleanza. Da che mondo è mondo, il modo migliore di stare uniti è di avere un nemico comune.

Certo, Europa e Stati Uniti hanno interesse a che le democrazie non vengano sconfitte. Ma le cose però sono cambiate oggi. Putin ha attaccato l'Ucraina per attaccare l'Europa, ma non si sogna di attaccare l'America. Può darsi che affiorino in lui anche pulsioni e nostalgie zariste. Sembra, però, che il vero pericolo alla stabilità del sistema di potere che Putin ha instaurato in Russia venga dalla presenza dell'Unione europea, perché l'Ue ha dimostrato di essere in grado di allargarsi territorialmente senza usare le armi, e cioè pacificamente, e anzi, quasi senza volerlo. Il suo «modello» è «naturalmente» espansivo, la libertà e un certo benessere diffuso che promette non ha bisogno di soldati, di carri armati e di missili puntati. Ed è un nemico temibile perché rischia di trovare alleati interni capaci di scuotere le fondamenta dell'ordine autocratico. Non vuole difendersi dalla per ora inesistente potenza militare Ue, ma dalla democrazia. La democrazia, chi l'ha ne vede tutti i difetti (peraltro reali) e rischia di logorarla, chi non ce l'ha, la vorrebbe avere. Putin punta a opporsi alla tendenza all'allargamento dell'Ue. Teme che il contagio possa estendersi alla stessa Russia e che tra i russi si risvegli un senso di appartenenza all'Europa che ha radici profonde nella cultura di quel Paese, almeno nella sua propaggine occidentale. L'Europa incomincia agli Urali e non solo dal punto di vista geografico. La Nato lo preoccupa meno, visto che la potenza americana è stata indotta a spostare l'attenzione sul fronte del Pacifico dove l'altra vera potenza mondiale, cioè la Cina, mostra una certa insofferenza alla presenza dell'avamposto americano a poche miglia dalle sue coste.

Il problema non sembra facilmente solvibile perché non c'è modo per ridurre l'attrattività dell'Ue se non cercando di indebolirla, e questo è il vero obiettivo di Putin. Se non ci riesce, e noi europei non vogliamo che ci riesca, l'unica soluzione è assicurargli, con tutte le garanzie internazionali possibili, che una fascia di Paesi dell'Est europeo non entrerà nell'alleanza atlantica, pur restando nell'Ue. Questo implica un'Ue differenziata al suo interno tra un nucleo che fa parte della Nato e uno che non partecipa all'organizzazione militare e dispone solo di una «polizia» interna. Come ciò sia possibile, è difficile da immaginare; se c'è un mercato europeo e solo una parte di Paesi ha una moneta europea, forse si può inventare qualcosa di analogo anche per la dimensione militare.   

La caduta del muro e il crollo dell'Urss posero fine alla «Guerra fredda». Nei trent'anni successivi non si crearono però le condizioni per una pace duratura: la Guerra fredda ha dato luogo a una pace congelata che ha creato le condizioni per lo sviluppo di una globalizzazione selvaggia. Il bisogno di costruire un ordine internazionale multipolare dove l'Europa sia presente in posizione non subordinata agli Stati Uniti sembra evidente. Ciò non vuol dire che sia probabile, ma è senz'altro desiderabile.