Questo articolo fa parte dello speciale La guerra in Ucraina
Trascorsi sei mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, in questi giorni il conflitto è ritornato sulle prime pagine dei giornali. L’esercito di Kiev ha iniziato una nuova controffensiva nella regione meridionale del Paese, volta a riconquistare le regioni di Kherson e Zaporizhzhya, in mano russa dallo scorso marzo. Il consigliere presidenziale Oleksiy Arestovych ha però sottolineato che si tratta di “una lenta operazione pianificata per schiacciare il nemico, salvando la vita di militari e civili”. A coloro che si aspettano una rapida offensiva su larga scala, Arestovych risponde che l’operazione richiederà “tempo e fatica”. Questa comunicazione delle aspettative sembra rivolta non solo al popolo ucraino, ma anche alle democrazie occidentali in ascolto.
Dopo i primi mesi di manifesto appoggio alla resistenza ucraina, durante l’estate l’interesse in Europa nei confronti della guerra è andato scemando, rimpiazzato da un diffuso scetticismo. La maggior parte dei governi e delle istituzioni euro-atlantiche mantengono il loro impegno a supportare militarmente Kiev. Ma le voci di dissenso stanno aumentando, complici le campagne elettorali in Paesi importanti, la Francia prima, quella italiana ora. Inoltre, a luglio nessun Paese ha intrapreso nuovi impegni militari nei confronti di Kiev, accrescendo i sospetti che l’Occidente avesse perso interesse nel sostenerla.
La mancanza di supporto in Occidente è dovuta, in larga parte, ai costi della guerra sull’economia mondiale e su quella europea in particolare, complicata dalla consapevolezza che il conflitto durerà ancora a lungo. Con esso le sanzioni da un lato e la riduzione di approvvigionamenti del gas ed esportazioni di grano dall’altro. Le conseguenze più dirette per le popolazioni europee sono già tangibili, sotto forma di impennate nel costo delle bollette e dei consumi essenziali, con un tasso d’inflazione che non si vedeva da decenni.
Se ritorniamo indietro di sei mesi, al 24 febbraio scorso, l’opinione pubblica e i circoli politico-militari occidentali erano d’accordo sul fatto che l’offensiva russa avrebbe avuto un successo immediato: l'esercito ucraino sarebbe collassato in pochi giorni sotto la preponderanza numerica e la potenza di fuoco dell’armata di terra russa. Kiev sarebbe caduta. Il governo di Volodymyr Zelensky sarebbe stato sostituito da un governo fantoccio, oppure costretto a un’umiliante capitolazione. Tant'è vero che nei primi giorni di guerra i governi occidentali hanno fatto di tutto per assicurare la sopravvivenza di una rappresentanza ucraina fuori dal Paese e sostenere una guerriglia clandestina, simile a quella condotta dai Mujahidin in Afghanistan. Come riportato dal "Washington Post", a fine febbraio i governi occidentali cercarono di convincere Zelensky ad abbandonare il palazzo presidenziale e stabilire un governo a Lviv o in esilio.
Nessuna di queste previsioni si è avverata. Nonostante la Russia abbia conquistato diverse città nel Sud quali Kherson e Zaporizhzhya, Kiev non è caduta, il governo è rimasto in carica, e l’aggressore è stato respinto dal Nord del Paese. La battaglia di Kiev è stata vinta grazie alle ottime scelte tattico-strategiche dell’esercito ucraino e alla resistenza da parte della popolazione, ma anche grazie a una serie di errori strategici russi: errori di intelligence (Mosca si aspettava una resistenza minima da parte ucraina), con la dispersione di forze su tre fronti anziché su uno. Nella ritirata da Kiev, Mosca ha subìto una gran quantità di perdite materiali e umane, anche di alti ufficiali.
La battaglia di Kiev è stata vinta grazie alle ottime scelte tattico-strategiche dell’esercito ucraino e alla resistenza da parte della popolazione, ma anche grazie a una serie di errori strategici russi
La resistenza inaspettata da parte di Kiev ha convinto i governi occidentali a inviare armi adatte a un conflitto convenzionale, ormai convinti che l’esercito ucraino, addestrato dalla Nato per molti anni, sarebbe stato in grado di usarle. I governi hanno aumentato le sanzioni contro Mosca, convinti che esse avrebbero affossato la capacità russa di finanziare la guerra, smorzando di molto l’entusiasmo in patria. Dal punto di vista psicologico, gli eventi di Kiev hanno generato uno spirito di over-confidence nell’opinione pubblica occidentale, e forse anche nei vari governi: in molti credevano ormai che l’esercito ucraino avrebbe respinto i russi anche nel Sud Est, riconquistando tutto il Donbas separatista e persino la Crimea, strappate all’Ucraina nel 2014. Verso aprile, le cancellerie occidentali pensavano addirittura alla possibilità di offrire una via d’uscita a Vladimir Putin: limitare l’avanzata ucraina e concedere una vittoria di Pirro al Cremlino per salvare la faccia ed evitare le imprevedibili conseguenze di una disfatta, quali un’escalation nucleare guidata dalla disperazione.
Ma le aspettative sono state tradite di nuovo, questa volta in senso opposto. La guerra nel Sud Est è molto diversa da quella nel Nord del Paese. Mosca ha riorganizzato la propria strategia bellica, concentrando la sua potenza di fuoco sul Sud Est. Anziché avanzare per chilometri in territorio nemico, l’esercito russo ha optato per una nuova tattica, detta del “calderone”: bombardamenti a martello delle postazioni ucraine e piccole manovre di accerchiamento volte a far valere la propria superiorità in uomini e armamenti. In seguito a questa nuova strategia, tra maggio e luglio l’intero Lugansk è caduto in mano russa. Inoltre, per far fronte a questa nuova fase di guerra d’attrito, l’esercito ucraino ha avuto bisogno di nuove armi e sistemi bellici, quali i lanciarazzi a lunga gittata Himar: al contrario delle armi inviate in precedenza, che potevano essere impiegate immediatamente sul campo di battaglia, questi nuovi sistemi richiedono un periodo di addestramento, il che richiede tempo e difficoltà logistiche, visto che l’addestramento avviene principalmente fuori dall’Ucraina per evitare l’ingresso di personale Nato nel Paese e aggravare le tensioni.
Anche in merito alle sanzioni c'è stata un'aspettativa fallace, basata sull’idea che le sanzioni avrebbero costretto Putin a ritirarsi entro l’estate
Anche nell’ambito delle sanzioni c'è stata un'aspettativa fallace, basata sull’idea che le sanzioni avrebbero costretto Putin a ritirarsi entro l’estate. Stando ai dati a disposizione, le sanzioni hanno avuto un impatto significativo sull'economia russa, ma il loro effetto immediato è stato inferiore al previsto. Perché portino il Cremlino ad abbandonare l’“operazione militare speciale”, dovranno durare molto più a lungo, e non c’è comunque alcuna garanzia che potranno portare a quest’esito; né è chiaro quale sia l’obiettivo ultimo delle misure. Nel frattempo, le sanzioni e la reazione russa alle stesse stanno avendo un contraccolpo significativo sull’economia europea che, seppure in maniera diversa da Paese a Paese, dipende in buona parte dal gas russo. I governi occidentali potrebbero non avere la pazienza necessaria, visto che dipendono dal supporto dell’opinione pubblica. Le sanzioni avevano inizialmente anche un obiettivo domestico: bisognava dimostrare ai cittadini che si stava facendo tutto il possibile per rispondere all'aggressione. Quando la campagna bellica è rallentata, e l'opinione pubblica si è resa conto dei costi, le sanzioni sono state messe in discussione. I governi europei potrebbero così decidere che il gioco non vale la candela.
Ora che l’esercito ucraino sembra aver ripreso l’offensiva, dando inizio a una nuova fase del conflitto, l’obiettivo è evitare una nuova ondata di falso ottimismo, che potrebbe estinguersi in fretta. Nessuna delle due parti in causa sembra pronta a un accordo. La guerra sarà quindi lunga e costosa, in termini di vite umane ed economici. All’Ucraina servirà un rifornimento costante di aiuti esterni per farvi fronte. L’Europa dovrà superare gli effetti negativi della guerra sulla propria economia, ma ciò non potrà avvenire senza riforme significative del sistema di approvvigionamento energetico. In assenza di una vera consapevolezza delle difficoltà che si hanno davanti, non si potranno trovare soluzioni decisive e durature.
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