Instabilità coreana. In maniera assolutamente inaspettata, lo scorso 2 giugno, in occasione delle elezioni amministrative, il Grand National Party (Hannaradang), partito di cui il presidente Lee Myung-bak è diretta espressione, ha rimediato una sonora sconfitta: ciò ha probabilmente convinto lo stesso presidente dell’inevitabilità di un deciso rinnovamento. Il bilancio alla metà del percorso dell’amministrazione Lee è controverso: essa è stata frequentemente elogiata per le sue performance internazionali e, soprattutto, per aver efficacemente risposto alla sfida della crisi economica globale. Ciò nonostante, molti sono i nodi ancora irrisolti: da un grave deficit di comunicazione col pubblico, specialmente con le generazioni più giovani, alla scarsissima flessibilità dimostrata nella gestione dei rapporti con la Corea del Nord; dalla mancanza di coerenza in ambito di politiche per l’occupazione alla poca attenzione riservata alla sanità e al welfare in generale. Proprio lo scollamento tra la sfera politica e la società civile ha imposto un cambiamento di direzione, concretizzatosi poco alla volta: in luglio Yim Tae Hee, ex-ministro del lavoro, è stato nominato capo dello staff presidenziale; successivamente Ahn Sang Soo, un fedele seguace del Presidente è stato messo a capo del partito di maggioranza. La trasformazione più evidente, tuttavia, è arrivata l’8 agosto, quando Lee ha provveduto ad un sostanziale rimpasto di governo, rendendo pubblica la nomina di Kim Tae Ho, ex governatore della provincia del Gyeonsangnam, a primo ministro, e la sostituzione di ben sette ministri. La nomina di Kim Tae Ho ha segnato un momento di indubbia importanza per la scena politica del paese, dato che si trattava del più giovane primo ministro, soltanto 47 anni, dal 1971, quando – durante il regime militare del generale Park – Kim Jong Pil assunse l’incarico a 45 anni. La giovane età media dei componenti dell’esecutivo, solo 58 anni, indicava “il tentativo del governo di migliorare la comunicazione con le generazioni più giovani mettendo insieme persone di diverse regioni e classi sociali” secondo quanto dichiarato in un comunicato alla stampa da Hong Sang Pyo, segretario presidenziale per le relazioni pubbliche. In aggiunta, il fatto che i responsabili del ministero degli Affari esteri, quello della Riunificazione e quello della Difesa siano sfuggiti all’ipotesi di rinnovamento, dimostrerebbe l’assenza di cambiamenti sostanziali nell’approccio verso la Corea del Nord. Nelle prime dichiarazioni ufficiali, il neo primo ministro ha reso chiaro che avrebbe compiuto qualunque sforzo per migliorare i servizi per la cittadinanza, oltre a lavorare per la piena ripresa economica. Le forze di opposizione hanno denunciato l’operazione come il peggiore rimpasto nella storia del paese, dato che serve esclusivamente a “posizionare le guardie personali del presidente Lee in posizione avanzata”.

Questi cambiamenti, che avrebbero dovuto puntellare l’amministrazione di Lee in vista della seconda parte del suo mandato, sono miseramente falliti il 28 agosto, quando, solo 21 giorni dopo aver ricevuto l’incarico, il neo giovane primo ministro Kim ha rassegnato le sue dimissioni. I partiti di opposizione l’avevano attaccato violentemente chiedendogli conto di un suo presunto coinvolgimento, durante il suo incarico da governatore, in attività di finanziamento illecito. Kim ha dovuto ammettere di conoscere bene Park Yeon Cha – l’ex boss della Taekwang, importante casa produttrice di scarpe – che ha corrotto molti politici, ma si è detto totalmente estraneo ai fatti che gli sono stati contestati. Anche due dei nuovi ministri, Shin Jae Min – a capo del ministero della Cultura, sport e turismo – e Lee Jae Hoon – ministero dell’Economia della conoscenza – hanno annunciato le loro dimissioni dopo essere stati accusati di gravi violazioni. Il presidente ne ha preso atto. Nel mezzo di questa baraonda gli obiettivi del governo sono rimasti sostanzialmente immutati: la creazione di 200.000 posti di lavoro prima della fine dell’anno e una serie di riforme atte a ripulire la burocrazia, tagliare le tasse e riformare il poco flessibile mercato del lavoro. Le performance dell’esecutivo rispetto a questi obiettivi, nei restanti trenta mesi di mandato dell’esecutivo, ci diranno se questa amministrazione potrà essere considerata un successo o un completo fallimento.