L’emergenza contagi è preoccupante, non sarebbe più tempo di attese per vedere come si evolverà, ma di azioni per metterla sotto controllo e possibilmente bloccarla. Il governo ricorre al solito sistema dei Dpcm con la solita scusa che occorre fare presto. Peccato che poi i testi escano a sprazzi e bocconi, rivisti più volte, ed entrino in vigore almeno per varie norme dopo un qualche lasso di tempo. L’interlocuzione poi è solo con il Comitato tecnico scientifico, non esattamente un organismo di assoluta autorevolezza, visto che siamo invasi da opinioni le più varie e contrastanti di virologi e assimilati che vantano, almeno in non pochi casi, altrettanta se non maggiore autorevolezza scientifica dei membri del Cts.

Con le opposizioni non c’è uno straccio di confronto, neppure per snidarle dai loro numerosi e in parte assurdi preconcetti. Eppure il primo dovere della politica sarebbe in questo momento lavorare alla costruzione di un consenso nazionale, senza il quale difficilmente si potrà ottenere dalla popolazione una cooperazione convinta alla lotta contro il virus. Ci sono cose anche banali che un governo potrebbe fare: per esempio costruire un forum che coinvolga tutti i virologi e assimilati che sono presenti nel dibattito pubblico per costringerli a confrontarsi fra loro e ad arrivare a qualche ragionevole convergenza (se non da parte di tutti, almeno di una buona fetta). Questa cosa dispiace al Cts? Non lo sappiamo e può anche darsi che non sia così, ma se fosse vera, pazienza, sarà opportuno passarci sopra.

Ciò che preoccupa maggiormente in questo momento è la mancanza di visione che il governo sta dimostrando. Lasciamo anche in ombra la constatazione che nell’ultimo intervento Conte e i suoi hanno dimostrato di non essere capaci di scegliere una linea di intervento comprensibile, prendendo decisioni a metà e rimandando alla responsabilità di regioni ed enti locali le scelte incisive. Qui non è tanto questione di valorizzare chi è maggiormente in grado di conoscere le esigenze del territorio (peraltro il governo ha in ognuno di essi prefetti e quant’altro, sicché non è che sia privo di antenne…). È questione di dare linee specifiche di intervento che poi è ragionevole lasciare adattare ai governi locali, mentre invece ci sono provvedimenti generici eventualmente da inasprire, non si sa bene in presenza di quali indicatori.

Il tema principale che preoccupa è nello scollamento pressoché totale che il governo ha lasciato in campo fra la lotta alla pandemia e la legge di bilancio. Non è questione di prevedere interventi tampone per alleviare una serie di sofferenze che toccano la vita anche economica di varie fasce della popolazione, mentre altre non sono toccate che in minima parte. Di interventi di quel tipo ne sono previsti, anche perché ogni categoria ha i suoi sponsor fra i membri del governo e i loro partiti. Semmai qui il tema è quanto queste provvidenze saranno poi adeguate (al momento si dispone solo di cifre complessive che poi andranno suddivise) e quanto si sarà capaci di farle arrivare in tempi ragionevoli. Ciò che al proposito si è visto nella prima fase non è stato affatto confortante, si citi anche solo l’inefficienza nella corresponsione della Cassa integrazione.

Ciò che maggiormente colpisce è che non ci sia uno straccio di piano articolato, né per gli interventi fatti attingendo dal nostro debito, né per quelli che si spera arriveranno dal Next Generation Ue. Non ci conforta affatto sapere che ci saranno X miliardi per la sanità, Y per scuola, università e ricerca, Z per le politiche ambientali e via elencando. I cittadini potrebbero tranquillizzarsi sul futuro sapendo per esempio quante delle risorse per la sanità andranno all’efficientamento della medicina di territorio, quanti per il personale ospedaliero da reclutare (dicendo anche dove si pensa di trovarlo), quanti per continuare nel sostegno alla lotta a patologie importanti e altrettanto drammatiche del Covid come quelle oncologiche o quelle cardiovascolari.

Il discorso si potrebbe replicare per tutti gli altri settori. Avendo avuto esperienze nel campo di università e ricerca, sappiamo bene che in passato alle grandi cifre delle erogazioni pubbliche corrispondeva poi la loro dispersione in mille rivoli per le lotte delle varie corporazioni e lobby, ciascuna coi suoi santi in paradiso. Un lusso che nelle condizioni presenti non possiamo più permetterci.

Il premier Conte non riesce proprio a trasmettere al Paese il messaggio di essere un leader politico, cioè uno che lo guida verso una meta che conosce percorrendo le strade opportune per raggiungerla. Il suo governo è complessivamente debole, perché quello che non riesce al premier non è in grado di farlo nessuno dei suoi membri. Eppure sarà arduo affrontare i passaggi complicati che ci aspettano senza poter coalizzare il Paese, senza mostrare che c’è la consapevolezza che i mezzi tampone che si hanno a disposizione (pensiamo all’insegnamento a distanza o al lavoro cosiddetto agile, tanto per fare degli esempi) non sono bacchette magiche, ma strumenti che andrebbero messi a punto e dati in mano a strutture che sono addestrate al loro uso e consapevoli dei problemi che essi comportano.

Il tempo per tirare a campare si sta esaurendo ed è miope che a palazzo Chigi si continui a pensare che tanto nelle presenti condizioni non ci sono alternative a questo governo. La politica è razionale fino ad un certo punto: quando tutto si logora l’impalcatura finisce per crollare anche se non ce ne è una di riserva.

[Questo articolo è stato pubblicato originariamente su «mente politica»]