Da ultimo, Bondeno, piccolo comune del ferrarese lambito dal Panaro, ha occupato le cronache locali per via del rifiuto da parte dell’assessore Cristina Coletti a celebrare un matrimonio nella sala municipale in cui gli sposi e molti degli invitati erano scalzi. Eppure non si trattava di una delle originali messe in scena cui talvolta, con perplessità, tocca assistere o partecipare ai matrimoni. In questo caso la coppia intendeva manifestare la propria solidarietà a profughi e migranti, così come il giorno prima era avvenuto, in decine di città italiane, con le Marce delle donne e degli uomini scalzi. Non un gesto politico, si è affrettata a chiarire la sposa – laddove altri non avrebbero esitato a considerarlo e rivendicarlo come tale – ma "un gesto umanitario. Non c’è politica che tenga se si è di fronte all’umanità". L’assessore Coletti tuttavia è stata irremovibile, invocando "il decoro e il rispetto del luogo", e solo quando tutti hanno nuovamente indossato le scarpe la cerimonia ha avuto inizio. Naturalmente il sindaco, prontamente informato dell’accaduto, si è dichiarato d’accordo.
Il leghista Bergamini è stato eletto sindaco nel giugno di quest’anno, sostenuto anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia, con oltre il 58% dei voti. Sulle orme del suo predecessore e mentore, Alan Fabbri – che ha abbandonato il ruolo di amministratore per ricoprire quello di capogruppo della Lega alla Regione Emilia-Romagna – Bergamini ha da subito espresso la volontà di caratterizzare il proprio mandato in favore dei concittadini terremotati. Già, perché ai disastri che il Panaro ha provocato lungo i secoli, nel 2012 si è aggiunto il sisma: Bondeno è stato il comune della provincia di Ferrara maggiormente colpito. A oggi sono ancora numerosi gli edifici pericolanti, tristemente puntellati in attesa di restauri che non si sa se si potranno mai finanziare, e circa 700 persone sono lontane dalle loro abitazioni. Non senza casa, ma senza la possibilità di farvi ritorno, almeno per ora.
E in nome del credo "noi la nostra gente la tuteliamo" – o forse stanco delle dispettose rimostranze del Pd locale, che gli contesta di non far seguire i fatti ai proclami e di lasciare un territorio in abbandono – il sindaco nel giugno scorso ha risposto con una nota ufficiale, ripresa poi dall’Ansa e dai media nazionali, agli annunci da parte del governo Renzi di sgravi fiscali per i Comuni che accogliessero profughi (o "clandestini", a seconda dei punti di vista). "A Bondeno abbiamo 700 terremotati ancora fuori casa e Renzi pensa ad agevolare i Comuni che accolgono clandestini: deliri farneticanti di un presidente del Consiglio che ha scelto di preferire gli immigrati ai terremotati. Qui nessun profugo valicherà il confine fino a quando anche solo una delle 700 persone che hanno avuto la casa terremotata non avrà ultimato la ricostruzione".
Peccato che, evidentemente a insaputa del sindaco, alcune decine di profughi avessero già "valicato il confine", sostenute da famiglie bondanesi e dall’associazionismo cattolico locale. Proprio un sacerdote, don Domenico Bedin, animatore dell’Associazione Viale K di Ferrara, aveva pubblicamente invitato Bergamini a considerare come "un terremoto epocale quello che travolge questa umanità che fugge dalla guerra e dalla fame" e a riflettere sull’opportunità di "rimettere in circolo la solidarietà" ricevuta dopo il sisma. Niente da fare: scoperta l’incresciosa presenza di profughi a Bondeno, a inizio settembre, in concomitanza all’annuncio del Viminale di 20.000 nuovi arrivi da distribuire sul territorio nazionale, il sindaco, durante una riunione di Giunta, ha lanciato la proposta di elevare al massimo le aliquote di Tasi e Imu per chi ospita i migranti. Aggiungendo di sentirsi come Davide contro Golia, un piccolo paese battagliero contro la potenza arrogante dello Stato.
Certo, Bondeno è un piccolo paese battagliero, lo è stato con incredibile coraggio durante la Seconda guerra mondiale, quando ha sostenuto la lotta partigiana. La domenica del 18 febbraio 1945 200 donne appartenenti o vicine al movimento partigiano, organizzatesi nei giorni precedenti con grande cura ma anche con "tanta titubanza e tanta paura"– ricorda con sincerità una delle protagoniste, Lidia Bellodi – si sono trovate davanti al municipio e lo hanno preso d’assalto per distruggere i registri annonari e i registri di leva, evitando di fatto che tanti loro concittadini fossero richiamati, arruolati forzatamente o deportati (nessun "rispetto del luogo", in quella occasione). Quella mattina di febbraio, tra registri dell’Anagrafe che bruciavano e cartelli tirati fuori all’ultimo momento dai paletot, in cui si reclamavano il pane e la fine della guerra, vennero catturate dalla Guardia repubblicana alcune manifestanti, liberate nei giorni seguenti poiché, contestualmente, era stato fatto prigioniero dai partigiani il podestà, utilizzato poi come scambio. Quella mattina di febbraio, una delle manifestanti pronunciò un discorso dalla finestra del municipio ed espose la bandiera tricolore, per la prima volta nell’Emilia occupata. Un atto di resistenza imponente contro la dittatura, oggi ricordato da una targa affissa al palazzo comunale, che valse al comune la Medaglia di bronzo al valor militare.
Davide contro Golia, ma a parti invertite. Un po’ come pensare ai profughi come persone non senza casa, ma senza la possibilità di farvi ritorno, almeno per ora.
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