Saranno sempre le solite e a questo punto scontate lamentele dei giuristi, ma a volte sembra quasi che chi fa le regole cerchi apposta di nascondersi dietro la complessità della tecnica legislativa per rendere difficile la lettura dei testi. L’ultimo decreto sviluppo, peraltro pubblicato in versione provvisoria, in attesa, testuale e bellissima espressione, della “bollinatura” della Ragioneria Generale dello Stato, contiene diverse misure tra le quali alcune importanti per imprese e cittadini.
Mi riferisco a quelle che agevolano la rinegoziazione dei mutui ipotecari a tasso variabile di importo non superiore ai 150.000 euro, e che semplificano ulteriormente la portabilità dei mutui stessi.
Importante aiutare chi è in un momento di difficoltà, così come più si facilita la possibilità per i clienti di cambiare banca, più si rende competitivo il sistema e quindi si abbassano i costi dei servizi.
Spulciando tra le norme si scopre, però, anche un'altra modifica: per sintetizzare, si dà la possibilità alle banche di derogare ad alcuni obblighi informativi quando hanno rapporti con le imprese che non siano “micro” (sostanzialmente quelle con organico superiore ai 10 dipendenti e fatturato superiore ai 2 milioni di euro). Una norma del Testo Unico Bancario prevede che, quando ci sono modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, queste debbano essere sempre comunicate espressamente entro trenta giorni, per iscritto o su altro supporto accettato dal cliente, e ciò per rendere il cliente sempre consapevole dei costi e dei vincoli che riguardano il suo rapporto con la banca. Adesso le parti (che non siano appunto o un consumatore o una micro impresa) potranno consensualmente stabilire una diversa disciplina.
Anche qui si tratta di una semplificazione che però viene diversificata in ragione della tipologia di clientela, ritenendo che nelle imprese di maggiori dimensioni vi sia la capacità di contrattare questi profili, esonerando le banche da un obbligo innegabilmente oneroso. C’è però da chiedersi se abbia senso questa diversificazione, e se siamo così sicuri che nelle piccole e medie imprese italiane (la stragrande maggioranza del nostro sistema produttivo) esistano capacità e competenze per costruirsi in casa propria più forti tutele. In altri termini, e sono abbondanti le testimonianze di come clienti ritenuti abili e sofisticati abbiano preso solenni fregature (e qualche volte sebbene sia più politicamente sconveniente dirlo le hanno anche date), un sistema di tutele omogeneo e trasversale può rivelarsi più efficace e preventivo di comportamenti scorretti.
Qualcuno potrà considerare questa una piccola e insignificante chiosa in un provvedimento di ben 52 lunghe e intricate pagine, ma riflette un problema più grande.
E’ evidente che un provvedimento che fa della razionalizzazione, della eliminazione degli eccessi di burocrazia e della semplificazione il suo asse portante debba dare forti segnali, ma questi obiettivi, sacrosanti, stanno diventando una sorta di mantra buono per tutti gli usi.
Per quanto in questo periodo possa sembrare decisamente fuori moda, chi è interessato a un ordinamento efficace, chiaro e in grado di tutelare cittadini e imprese, si deve sempre chiedere quale sia l’equilibrio tra costi e benefici delle norme. E’, questa, opera non facile e sicuramente meno redditizia sul piano elettorale, nei confronti di una collettività che vive le regole come un macigno oneroso e insopportabile, ma alla lunga molto più lungimirante. Perchè poi quando le cose vanno male si torna notoriamente a invocare le regole per avere maggiori protezioni, e a quel punto sarà inutile lamentarsi.
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