Si sa delle ciliegie che “l’una tira l’altra”. E allora non è forse una coincidenza che a livello lessicale, nel gergo utilizzato per dissimulare la corruzione negli uffici romani dell’Anas, le mazzette si trasformassero d’incanto proprio in ciliegie. O in alternativa, a sancirne la funzione “terapeutica” per chi le riceve, in antinfiammatori e antidepressivi. Ma al netto del folkloristico squallore che circonda l’inchiesta giudiziaria sulla cosiddetta “dama nera” affiorano in questa vicenda – così come in altre analoghe – alcuni spunti di rilievo per chiunque sia interessato a cogliere le dinamiche nascoste dell’italica corruzione. Un fenomeno criminale che non sembra aver particolarmente risentito del ciclo economico negativo, anzi ha probabilmente rappresentato per molti suoi protagonisti una “nicchia” di rendita parassitaria cui attingere al riparo dalla concorrenza, in virtù di giuste entrature e di inossidabili protezioni politico-burocratiche.

Per quanto non se ne possano conoscere le dimensioni sotterranee, almeno due indicatori offrono un quadro d’illegalità rampante. Il primo è naturalmente l’indice di percezione del fenomeno elaborato da Transparency International, che nell’opinione di osservatori ed esperti internazionali ci colloca nel 2014 all’ultimo posto tra i Paesi dell’Unione europea, affiancati a Bulgaria, Grecia, Romania. A corroborare questo scoraggiante dato quantitativo va anche la lettura analitica di tutte le principali vicende di corruzione salite agli onori della cronaca negli ultimi mesi – la cui numerosità, sia detto, offre almeno un segnale confortante della persistenza di “anticorpi” istituzionali assicurati da una magistratura attiva e indipendente. Minimo comun denominatore è infatti la natura non occasionale e isolata degli episodi, che al contrario si inquadrano in un tessuto di interazioni seriali che assumono connotati “sistemici”. Per corruzione sistemica non è da intendersi la mera risultante di una moltiplicazione di atti individuali, quanto piuttosto il formarsi di una rete ampia e ramificata di relazioni informali se non illegali, e dunque di norma occulte, tra una pluralità di attori. Una corruzione organizzata, entro la quale vigono regole non scritte e meccanismi di coordinamento delle intese contrattuali che ne assicurano il rispetto, rafforzati in alcuni casi dalla presenza di una sorta di “cabina di regia”, cioè di un “garante” specializzato proprio nell’erogare o minacciare sanzioni agli inadempienti. Assicurando per questa via ordine, prevedibilità, stabilità ai loro rapporti.

Si prenda la descrizione del quadro indiziario in cui è maturato l’arresto per corruzione del vicepresidente della Regione Lombardia: “Nel corso della sua ascesa politica ancora in atto è rimasto circondato da una cerchia di persone che si è costantemente prodigato di favorire secondo varie modalità, traendone a propria volta vantaggi in termini di riconoscenza e di disponibilità da parte di questi soggetti a soddisfare le sue richieste, spesso volte ancora ad assicurare nuovi benefici ad appartenenti alla cerchia, secondo un sistema che tende così ad autoalimentarsi e a espandersi progressivamente”. Una tangente tira l’altra, appunto, entro ognuna di queste cerchie, cricche, comitati d’affari: le inchieste moltiplicano i termini, ma in sostanza si segnala il medesimo fenomeno, ossia il consolidarsi di un grumo di relazioni incrociate di scambio occulto – spesso indiretto e differito – tra molteplici soggetti (politici, burocrati, funzionari, imprenditori, faccendieri/facilitatori, professionisti, giornalisti, massoni, mafiosi, ecc.) che ha per oggetto la ripartizione di risorse (di bilancio, ambientali, politiche, ecc.) sottratte alla collettività. Ed entro il quale la varietà di “favori” fatti e ricevuti e la circolarità degli scambi finisce in alcuni casi per “smaterializzare” la stessa tangente, convertita in altri tipi di prestazione – assunzioni fittizie di parenti e prestanome, servizi impalpabili di consulenza offerti da società di comodo, quote di società costruite ad hoc per consorziarsi con le imprese aggiudicatrici di appalti, generosi incarichi fittizi concessi a professionisti di fiducia, etc.. Solo occasionalmente si osservano ancora episodi di corruzione vintage, in cui ancora circolano le buone vecchie mazzette “analogiche” di una volta.

Così nella vicenda Anas in cambio di un flusso costante di bustarelle il gruppo coeso di corrotti, egemonizzato dalla “dama nera”, assicurava a imprenditori più o meno collusi con le organizzazioni criminali, politici e aspiranti politici, faccendieri e professionisti un pacchetto completo di servizi di tutela da inconvenienti vari, tramite sblocco dei contenziosi, velocizzazione dei pagamenti, approvazione della cessione del ramo d’azienda assegnataria dell’appalto. In parole povere, gli acquirenti pagavano il prezzo di una protezione ad ampio spettro rispetto a tutti i possibili inconvenienti, intoppi, incidenti di percorso nei rapporti con l’inerte od ostile apparato amministrativo dell’Anas. Ben sapendo che farsi dei nemici in quella sede significa rischiare un costo altissimo, come la futura esclusione dal gioco. Lo sottolinea la stessa “dama nera” nel richiamare all’ordine gli interlocutori, ad esempio i due imprenditori che tardano nel pagamento o ne autoriducono l’ammontare, ai quali arriva un minaccioso sollecito: . "Io gliel'ho detto - afferma la donna - cercate di chiudere adesso eh! non vi fate sentire più... non vi fate chiamare più...".

Altri due elementi vanno sottolineati in queste cronache di ordinaria corruzione. I flussi di tangenti forniscono una rappresentazione dell’invisibile architettura del potere pubblico, tradotto in merce d’acquisto dallo scambio corrotto. Va notato allora che i politici siano presenti nelle inchieste dell’Anas, ma in una posizione defilata, come esemplificato dall’ex-sottosegretario e presidente regionale che, nell’ipotesi degli inquirenti, si sarebbe prestato a fare da “facilitatore”, mettendo a disposizione della “dama nera” la sua ragnatela di contatti a cavallo tra il sottobosco politico romano e quello calabrese. Gli interlocutori politici appaiono utili come sponda istituzionale che rassicuri gli imprenditori-corruttori sulla “qualità” delle prestazioni loro offerte, o come centri di comando ancora necessari per sostenere le aspirazioni di carriera dei funzionari corrotti. Ma restano tutto sommato ai margini di questo efficiente “ingranaggio” di corruzione, generando un vuoto di potere e responsabilità che viene naturalmente colmato dai burocrati, i quali tendono addirittura ad imitarne meccanismi e logiche d’azione. È la ”dama nera” che tenterebbe – con scarso successo, in verità – di capitalizzare la sua rete di relazioni occulte provando a far eleggere un parente all’assemblea siciliana, ma che invece avrebbe successo nell’imporre con metodi clientelari assegnazioni di lavori in subappalto a imprenditori in odore di mafia, nonché nel segnalare e far assumere personale agli imprenditori. Naturalmente non cerca consenso per sé, ma connivenza e futura disponibilità a restituire i favori ottenuti, anche mettendoli sul tavolo di uno scambio più complesso con i propri interlocutori politici, cui ha delegato le proprie aspirazioni di ascesa professionale mirando a diventare responsabile dell’ufficio gare – vero “cuore pulsante” di qualsiasi potenziale sistema corruttivo.

Dalle intercettazioni pubblicate emerge infatti come nella “desolante quotidianità” della corruzione la preoccupazione dominante dei protagonisti di questa rete di scambi occulti – secondo il Procuratore di Roma Pignatone imperniata su un vero e proprio “ufficio mazzette” – non sia di essere colti con le mani nel sacco dai magistrati, ma truffati o traditi dai propri partner in affari. Spiati dalle videocamere degli inquirenti i funzionari contano e ricontano ossessivamente le bustarelle calcolando la corrispondenza di quote e percentuali, lamentandosi delle “ciliegie smozzicate” – le tangenti impropriamente rateizzate – che complicano i calcoli, moltiplicano i rischi e possono così pregiudicare il rispetto di quanto pattuito. Quello della contabilità delle mazzette, e della gestione di tutti gli aspetti “amministrativi” di un’attività che, fino a prova contraria è ancora criminale e perseguita penalmente rappresenta un dilemma costante per i partecipanti al gioco, che ingenuamente qualcuno – un imprenditore agrigentino, arrestato di recente – tenta di risolvere tenendo un “libro mastro” della corruzione, inclusivo di “appunti, tabulati, contabilità e subtotali”. Ma l’impiego di uno strumento di questo tipo, per quanto finalizzato all’efficienza della corruzione, della quale facilita calcoli e controllo della regolarità delle transazioni, espone a un rischio consistente in caso di incidente giudiziario, in questo caso il sequestro accidentale ad opera degli inquirenti.

Per disciplinare queste transazioni sottobanco occorre dunque l’acquisizione di specifiche “competenze di illegalità”, ma è d’aiuto anche il riconoscimento informale di una comune struttura di autorità da parte dei molteplici partecipanti all’illecito. Qui negli uffici romani dell’Anas arriva provvidenziale la Dama Nera, non a caso collocata dai magistrati al vertice della struttura criminale, che facendosi forte del suo ruolo istituzionale provvede a controllare i flussi di risorse in entrata e in uscita, smistare i proventi, e soprattutto a strigliare gli imprenditori recalcitranti minacciando l’erogazione di sanzioni in caso vi siano ritardi o inadempienze. In questo caso, dunque, il “governo” delle relazioni inquinate tra corrotti è endogeno, non esternalizzato a un’organizzazione criminale ad hoc come nel caso di “mafia capitale”, e tende a sovrapporsi alla gerarchia e ai poteri sanciti dai ruoli pubblici ricoperti. Solo chi sta ai patti e si assoggetta supinamente al vincolo di omertà e fedeltà potrà rimanere nel circuito della corruzione sistemica, che nell’auspicio della dirigente permetterà a tutti quanti di ottenere nel tempo sempre più vantaggi e profitti, senza finire “azzoppati” come accaduto ai “battitori liberi”: “Speriamo di tenerci forte come abbiamo fatto fino ad adesso e di fare un saltino in avanti per poterci aiutare. Perché quello è lo scopo: chi cresce fa un salto in avanti e si porta gli altri dietro. Chi ha cercato di viaggiare da solo poi l’hanno azzoppato”.

Difficile immaginare che queste profonde sacche di degenerazione dell’attività amministrativa possano miracolosamente sciogliersi in virtù delle doti taumaturgiche dell’Autorità anticorruzione e del suo presidente Raffaele Cantone, nonostante gli sforzi messi in campo dall’Anac di attuare modelli virtuosi di prevenzione e controllo con le limitate risorse a disposizione. Per spezzare questa rete di connivenze, ma soprattutto ribaltare le aspettative convergenti dei molte beneficiari del gioco sporco della corruzione, occorrerebbe in prima istanza un cambiamento “rivoluzionario” del modello di selezione e promozione del personale imperante nella Pubblica amministrazione, dominato da una cultura giuridica formalistica, premiando i meriti gestionali delle gare e non le opache “capacità relazionali”, cogliendo per tempo le anomalie nell’assegnazione e gestione degli appalti, e naturalmente incrementando la trasparenza e la responsabilità in tutte le fasi di gestione dei contratti pubblici – non solo nell’aggiudicazione. Purtroppo i segnali che provengono dalla sfera politica sono ambigui e spesso contraddittori, basti pensare all’inadeguatezza delle nuove norme sul falso in bilancio e sui reati fiscali o alla discutibile prospettiva di innalzare la soglia di utilizzo del contante, misure che rischiano di estendere i margini di impunità per attività criminali dall’altissimo costo sociale, e spesso complementari alla corruzione. Per riscuotersi da questo torpore basterebbe forse ascoltare con attenzione le parole di papa Bergoglio, che invece ha ben colto e denunciato l’urgenza e l’indifferibilità di un intervento robusto contro la “malattia” della corruzione sistemica: “Magari, s’incomincia forse con una piccola bustarella, ma è come la droga, anche se la prima bustarella è piccola, poi viene quell’altra e quell’altra: e si finisce con la malattia dell’assuefazione alle tangenti”.