Siamo arrivati a Shatila – alcuni giornalisti libanesi, il fotografo palestinese Ramzi Haddar ed io - con la jeep piena di macchine fotografiche usa e getta, fogli, matite e qualche libro di fotografia, giusto per dare un’idea di quello che sarebbe stato spiegato in quella classe. In questo campo profughi, nella primavera del 2007, cominciava a muovere i primi passi il progetto “Attimo” (Lahza) che, ancora oggi, prosegue, con sempre nuove iniziative, la propria attività. Promosso da un gruppo di fotografi libanesi professionisti e ideata da Ramzi Haddar - tutti membri dell’Image Festival Association Zakira - il progetto è partito in tutti e dodici i campi profughi del Libano, con l’obiettivo di permettere ai bambini che vi risiedono di raccontare la propria realtà quotidiana e di fornire loro un mezzo attraverso cui raccontarsi e che sarebbe potuto diventare, in futuro, anche un lavoro vero. In principio sono stati raccolti i mezzi fondamentali per cominciare il progetto (le macchine fotografiche) ed è stato fornito il know-how attraverso l’impegno di tanti volontari appassionati, sia fotografi professionisti sia studenti di fotografia. Uno dei primi passi è stato di selezionare i bimbi più dotati di “sguardo fotografico”, osservando e studiando i loro disegni (per controllarne l’abilità sia compositiva che tematica). Quindi, nella primavera del 2007, 500 bambini si sono presentati curiosi, ma anche fieri di sé, alle prime lezioni di fotografia. Piccoli, dai 6 ai 14 anni, tutti sono arrivati emozionati e puntuali. Probabilmente, anche  orgogliosi di essere stati selezionati. Ma nessuno, se non qualche eccezione, aveva davvero idea di quello che si sarebbero impegnati a fare nei mesi successivi.

Dopo neanche un anno di lavoro, studio, sbagli e complimenti incoraggianti, quelle fotografie venivano raccolte in un libro (le cui foto e i cui punti vendita nel mondo sono presenti sulla home page del sito di Zakira). Sono fotografie di vita comune, di vita di ogni giorno. Sono le foto di bagni in strane piscine improvvisate, sono foto di armadi della nonna, di coppie appena sposate, di ragazzine che si atteggiano, come le loro coetanee occidentali, a giovani star. Ma sono anche foto di bambini che, con alle spalle quella bandiera che ancora non riesce a trovare pace, fanno il segno “V” della pace. Sono fotografie di bimbi alti un soldo di cacio che indossano magliette di squadre di calcio (solitamente di Milan e Inter) o quelle di uomini avvolti dalla kefia bianca e nera. Hanno semplicemente inquadrato e raccontato quello che avevano di fronte agli occhi.

Dal momento in cui il libro è stato presentato a Beirut con una mostra, moltissime altre sono state organizzate: da, Dubai ad Atene, da Parigi ad Harvard, fino a Bari nel novembre 2009, durante la mostra di “Vista dal Basso” dove, foto realizzate a Bari vecchia da bambini pugliesi, sono state accompagnate da quelle dei loro coetanei profughi palestinesi.

Il progetto della Ong libanese non si è fermato con il progetto Lahza, ma ha continuato ad essere presente nelle scuole palestinesi dei campi e, successivamente, di campi profughi ne sono stati selezionati soltanto quattro. Questa volta, i giovani studenti palestinesi sono stati accompagnati nel loro apprendistato da altri ragazzini libanesi, per fare anche in modo che, antiche antipatie tra i due popoli, venissero automaticamente smorzate all’interno dell’avventura scolastica di studio e creazione comune.

Lo scorso anno anche la regista brasiliana Iara Lee, che ha viaggiato per mesi tra Africa, Medio Oriente, Sud America e Asia cercando situazioni in cui l’Arte si coniugasse a processi di cultura di pace, è arrivata in Libano. Proprio a Shatila ha filmato, per il documentario Cultures of Resistance, quei ragazzini, ripresi mentre sono alle prese con obiettivi e macchine fotografiche decisamente più professionali di quelle piccole macchinette di carta e da buttare una volta utilizzate. Quelle che, solo un paio di anni prima, avevano aperto la strada all’avventura di Lahza. Oggi Zakira continua ad operare nei campi profughi palestinesi e, poco alla volta, riesce a farsi conoscere sempre meglio nel mondo, incoraggiando il pensiero della convivenza attraverso una nuova cultura per le nuove generazioni.