Il Berlusconi cileno alla Moneda. Salvador Allende aveva efficacemente indicato la chiave interpretativa in grado di spiegare i rapporti di forza nella società cilena: il controllo delle risorse naturali, il rame in particolare, di cui il Paese è primo produttore al mondo. Tanto che decise di nazionalizzarlo, scontentando Nixon. Nell’ultimo anno, l’economia, la gestione del patrimonio minerario e la disuguaglianza sono stati i principali temi della lunga campagna elettorale presidenziale - e parlamentare – complice la presenza del candidato dell'Alianza fra Udi e Renovacion Nacional (i due partiti della destra), il magnate e imprenditore Sebastián Piñera Echenique. Piñeira, dopo avere sconfitto al primo turno i tre (!) candidati di centro-sinistra, ha battuto al ballottaggio con il 51,6% delle preferenze Edoardo Frei Ruiz-Tagle, presidente tra il 1994-2000, senatore in carica per la democrazia cristiana e figlio di Edoardo Frei Montalva, capo di stato a sua volta prima di Allende e morto in circostanze oscure da oppositore di Pinochet, dopo esserne stato sostenitore. La sconfitta della Concertación de partidos por la democrazia (socialisti, radicali e Dc) al governo dal 1990, si è consumata al primo turno. O meglio, nella selezione delle candidature, posto che il presidente uscente, la socialista Michelle Bachelet, nonostante l’elevato gradimento popolare (oltre l’80%) - che Frei non è riuscito a capitalizzare - non poteva ricandidarsi per un secondo mandato consecutivo come prevede la (assurda) legge elettorale.
Le primarie, utilizzate per selezionare il presidenciable di centrosinistra nel 1993 (chiuse) e nel 1999 (aperte), non si sono svolte (come nel 2004) e ha prevalso la designazione di Frei, percepito come conservatore, uomo d’apparato e del passato, inducendo due socialisti a condurre una competizione autonoma, contestando la logica della staffetta presidenziale tra partiti della coalizione. Marco Enríquez-Ominami, quarantenne non troppo brillante ma determinato e promettente, è riuscito nell’impresa di raccogliere un quinto dei consensi, chiedendo un partito nuovo con primarie obbligatorie e scagliandosi contro il grigiore della casta socialista. La candidatura come indipendente, sostenuto da dissidenti socialisti e comunisti, farà bene ai progressisti cileni, tanto da condurlo alla guida del centrosinistra tra quattro anni, se riuscirà a tenere desta l’attenzione su di lui nonostante non abbia parlamentari su cui contare. A completare l’eccentrica offerta elettorale del centrosinistra, diviso e conflittuale anche a queste latitudini, un ex ministro del governo di Unidad Popular, Jorge Arrate, portabandiera dei comunisti. Il sistema presidenziale con ballottaggio chiuso ha dispiegato inesorabilmente la sua dinamica. La iper frammentazione dell’offerta elettorale del centro-sinistra ha disperso i consensi, creato fratture difficilmente sanabili soprattutto tra il “passato” Frei e il “nuovo” Enriquez-Ominami, rendendo praticamente impossibile un recupero praticabile almeno teoricamente (Pineira 44%, Frei 29%; Marco 20%, Arrate 6%). La riforma della legge elettorale parlamentare, unica al mondo (che sino ad ora ha escluso i partiti minori dalla rappresentanza a causa del sistema binominal, in cui i due seggi da assegnare sono appannaggio solo di Concertacion e dei partiti di destra), l’adozione di un sistema federale (in un paese largo 4.200 km) e la lotta alla disuguaglianza, sono le sfide future del Cile, posto che il presidenzialismo ha garantito stabilità istituzionale e democrazia.
La vittoria di Piñera, mai critico sul passato autoritario, lascia l’amaro in bocca alle vittime della dittatura, ma non sconvolge le cancellerie. La tirannia ha prodotto migliaia di desaparecidos, omicidi, violazioni dei diritti umani e esuli, molti dei quali giunti, accolti e integratisi in Italia. Altri tempi. I timori aleggiano perché il Cile, paese del condor, uccello che vola tra le creste delle Ande, è stato anche artefice del Piano Condor, lo sciagurato progetto autoritario dell’intero Cono Sur, di cui Pinochet era capofila con gli omologhi argentini e qualche esule nazista. La debolezza del sistema sull’orlo della dittatura era certamente politica, tanto da indurre Enrico Berlinguer a palesare preoccupazione per un esito simile in Italia, derivante da un progetto di governo non sostenuto dalla classe media, impaurita dal socialismo andino e impoverita. Con l’aggiunta delle trame di Kissinger e dei satrapi dileggiati da Neruda. Ma la fragilità era istituzionale, posto che Allende al secondo turno fu eletto dal Congresso (al primo turno conquistò il 36%), senza “piena” legittimazione popolare e poco sostegno parlamentare, indispensabile per condurre riforme radicali. E già nel 1971 Allende propose la riforma del bicameralismo e la simultaneità tra elezioni politiche e presidenziali per rafforzare l’esecutivo, forse inconsapevolmente ribadendo che l’instabilità politica genera truci marce marziali e derive populiste. Fu l’11 settembre prima delle Twin Towers. Dopo la sconfitta nel referendum del 1988 che indusse Pinochet a lasciare il potere, la destra è entrata a la Moneda senza bisogno di bombardarla, attaccare la radio o mobilitare la marina, le cui navi restano alla fonda nel torpore del porto di Valparaiso - tan pequeña como una camiseta desvalida-, sulle cui colline dominanti una delle splendide dimore di Neruda, prima che dal 1949 fosse costretto all’esilio dal radicale González Videla con la Legge maledetta che escluse i comunisti dalla politica. La Guerra Fredda giunse in America Latina.
Il Cile odierno è giovane, dinamico (ma malinconico) e proiettato nel futuro. I servizi pubblici – scuola e sanità in primis - sono assai dignitosi anche grazie alle policies promosse da Bachelet, l’economia ha superato senza traumi la crisi finanziaria internazionale (il Pil crescerà nel 2010 del 4%), nonostante il 20% di disoccupazione tra i giovani. Il mondo culturale è in fermento, ricco di scrittori, registi, musicisti, di cui Isabel Allende, Luis Sepùlveda e Patricio Guzman sono epigoni conosciuti oltre Oceani. Il Paese ha dunque fatto i conti con il passato e potrebbe essere per taluni aspetti un caso da imitare – tranne per le orride cravatte dei politici – per gli stati sudamericani. Tuttavia, il Chile verde cantato da Chavela Vargas è messo a repentaglio dalle compagnie di estrazione mineraria (il sito di Chuquicamata è la più grande cava di rame a cielo aperto del mondo, l’acqua è un business miliardario), su cui pesa l’ambiguità di Piñera, incline a privatizzare. Con il cambio di governo, per la prima volta dopo il 1973 deciso contando le teste e i loro voti, il Cile prova a lasciarsi alle spalle i suoi fantasmi, e la legittimazione dell’alternanza aiuta il consolidamento della democrazia. La fine della transizione. Restano problemi sistemici: l’assenza di una maggioranza presidenziale al Congresso e il conflitto di interessi di Piñera, benché abbia garantito di eliminarlo prima di insediarsi. Il neo presidente possiede un’importante rete televisiva privata, una compagnia aerea e una squadra di calcio di serie A… Altre similitudini maliziose? In campagna elettorale, centrata sul “Cambio”, ha promesso un milione di nuovi posti di lavoro. Molto più ambizioso, non c’è che dire, considerato che il Cile ha meno di 18 milioni di abitanti.
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