Il Cile e la morte di Castro. Quando, il 4 settembre 1970, Salvador Allende viene eletto presidente del Cile, Cuba sta già sperimentando i risultati di un governo marxista in carica da undici anni. L’anno seguente Fidel Castro si reca in visita nel Cile già turbato dalla crescente insofferenza degli Stati Uniti nei confronti del governo socialista di Allende. La visita di Castro dura quasi trenta giorni, dei dieci previsti inizialmente, ed è tuttora nella memoria storico-politica del Cile la più lunga visita di un capo di Stato straniero. Nonostante il comune progetto di realizzare la nazionalizzazione delle grandi imprese e la riforma dei sistemi sanitario, agrario e scolastico, dagli incontri tra Allende e Castro emergono soprattutto le differenze reciproche. La «via cilena» al socialismo proposta da Salvador Allende non può prescindere dalla componente democratica, che invece la rivoluzione armata proclamata da Fidel è pronta a sacrificare. Distanza, questa, tra mezzi e ideali da realizzare, che anche Berlinguer riconoscerà nella sua visita a Cuba nell’ottobre del 1981.

La fedeltà di Allende ai valori democratici rimane salda fino alla fine. Quando, alla metà del 1973, l’esercito guidato da Augusto Pinochet è ormai vicino a realizzare il colpo di Stato, Allende rinuncia alla proposta di Castro di un intervento armato e la resistenza non esce dai confini dell’ambasciata cubana. Sarà Castro a creare il mito di Allende morto combattendo. Quando gliene chiederanno conto, Castro dirà di averlo fatto «affinché i cileni sappiano che non esiste altra alternativa alla lotta armata rivoluzionaria». Convinto che questa sia l’unica via possibile, nel 1986 Fidel appoggia l’invio di 80 tonnellate di armamenti recuperate dal Vietnam per sostenere il Frente Patriótico Manuel Rodríguez nell’operazione Siglo XX, che prevede l’assassinio di Pinochet. Il fallimento dell’attentato è il fallimento della lotta armata. Il Cile erede dell’ideale democratico di Salvador Allende si libererà del dittatore solo votando «no» nelle elezioni libere e democratiche del 1988.

Oggi, Maya Fernandez Allende, deputata del Partito socialista e figlia del diplomatico cubano Luis Fernadez Oña e della figlia di Allende, Beatriz Allende Bussi, nonostante il suo affetto personale per Fidel dovuto agli anni vissuti in esilio a Cuba, dichiara al quotidiano cileno «La Tercera» che «la maggiore differenza era circa il mezzo per realizzare lo stesso sogno: una società più giusta. La via cilena era attraverso le urne». Della stessa idea è José Rodríguez Elizondo, professore di Diritto internazionale alla Universidad de Chile. Secondo Elizondo, Fidel non fu mai un fattore unificante della sinistra perché «la sinistra “in generale” non è mai esisistita».

Sarà forse questa differenza che ha portato molti – non solo il leader del partito di destra Udi, Hernán Larraín, ma anche il direttore per le Americhe di Human Rights Watch José Miguel Vivanco – a criticare il messaggio twitter con cui Michelle Bachelet, attuale presidente cilena, alla notizia della sua morte ha definito Castro un «leader per la dignità e la giustizia sociale». Il rimprovero alla presidente – che comunque non si è recata ai funerali di Castro – è di non tenere conto della perpetuata violazione dei diritti umani da parte del governo cubano. D’altra parte, il Partito socialista cileno aveva preso le distanze definitivamente dal governo cubano con un discorso tenuto nel 1996 dalla vedova di Allende. Hortensia Bussi dichiarò allora – senza turbare più di tanto Castro, il quale poi affermò che la sua amicizia con la famiglia Allende sarebbe rimasta immutata – che, nonostante la rivoluzione cubana avesse prodotto grandi esiti, «nessuno può stare al governo per più di trent’anni».

C’è poi un’altra questione da considerare, ed è ovviamente il rapporto con gli Stati Uniti. Secondo i dati risalenti al 2013 diffusi dalla Bbc, con il 62% degli intervistati il Cile è il Paese latinoamericano più favorevole all’influenza statunitense. Dieci anni prima, nel 2003, lo stesso Paese – che oggi è l’unico Paese sudamericano appartenente all’Ocse e l’unico a far parte del programma di estensione del visto creato dagli Stati Uniti – aveva firmato un trattato di libero scambio con gli Stati Uniti.

Il Cile di oggi sembra più preoccupato dall’elezione di Donald Trump che dalla morte di Fidel Castro.