La burocrazia regionale è la malattia mortale della sanità in Sicilia: è un castello kafkiano la cui struttura organizzativa fa lievitare i costi, minaccia la qualità dei servizi, rende la vita difficile agli onesti, ai professionisti e agli innovatori, protegge clan, lobby e gruppi mafiosi. Una buona politica di spesa e la selezione di dirigenti integri è necessaria, ma non sufficiente. Occorre riorganizzare profondamente l’Assessorato e le sue reti.
È possibile: Massimo Russo e Lucia Borsellino ci hanno provato, lasciando un’eredità preziosa. Riorganizzare è un obiettivo politico e tecnico imprescindibile.
La sanità è la più grande azienda dell’isola, con 9,5 miliardi di euro di spese, di cui il 70% sono stipendi. Quasi il 7% degli occupati in Sicilia lavora nella sanità e oltre l’8% del valore aggiunto è riconducibile a tale settore. La spesa sanitaria pro capite è fra le più alte d’Italia e la qualità dei suoi servizi fra le più basse.
Il dibattito attuale. “Sciarra per le poltrone” o crisi organizzativa? Le recenti notizie di stampa su intercettazioni, minacce, tradimenti hanno avuto come oggetto principale le interferenze nelle decisioni gestionali e delle nomine dei dirigenti dell’Assessorato e delle aziende sanitarie da parte di clan e “cerchi magici”. I ricorrenti episodi di eventi avversi nelle terapie hanno continuato a generare allarme sociale. I conti non tornano: la Regione tecnicamente fallita è sotto piano di rientro; la Procura della Corte dei conti ha evidenziato una crescita della spesa sanitaria siciliana di 615 milioni nel 2014 (per un totale a 9,5 miliardi). Tutto ciò sta facendo traballare gli assetti politici. Questo però fa velo su una realtà meno visibile ma più strutturale: il castello kafkiano della burocrazia regionale.
L’amministrazione dell’Assessorato e la maggior parte delle aziende sanitarie sono costituite da una burocrazia costosa, inefficiente, inaffidabile ma potente, miniera di consenso elettorale, dietro cui può annidarsi ogni clan che gestisca interessi privati, occulti e in qualche caso criminali. Chi vuole innovare deve infrangere le mura e i labirinti del castello: e non è facile. Le aziende sanitarie, che dovrebbero essere regolate e controllate dall’Assessorato, spesso sono feudi con prestazioni, costi, capacità organizzativa molto differenziate. I medici sono bravi. Ma il servizio pubblico imparziale di weberiana memoria è sostituito dai vincoli di leggi e regolamenti. La cultura diffusa è quella dell’adempimento burocratico.
Il progetto organizzativo dell’assessore Russo. Ho incontrato questo “castello kafkiano” cercando di aiutare Massimo Russo e Lucia Borsellino (che me lo avevano chiesto) e Rosario Crocetta, che non conosco (e che non me l’aveva chiesto).
La storia comincia nel 2011 con un incontro con l’assessore Russo, ex magistrato che ancora non conoscevo, il quale mi dice: «Ho tagliato i costi della sanità di miliardi con manovre amministrative e di moralizzazione. Per fare di più occorre ora toccare l’organizzazione dell’Assessorato e delle aziende sanitarie. Mi hanno fatto il suo nome, come padre degli studi e della consulenza organizzativa in Italia. In più è siciliano: può guidare un progetto avvalendoci della legge 133/2008 sulla programmazione e riorganizzazione e con le risorse reperite sul surplus (il cd. 6/5) di una gara da 11 milioni di euro vinta da una società di consulenza per mettere ordine nei dati?». Feci a Russo una domanda preliminare: nell’Assessorato e nelle aziende sanitarie ci sono almeno il 50% di persone disponibili al cambiamento? Mi rispose che erano molte di più.
Accettai e predisposi un progetto da condurre con la partecipazione di dirigenti, funzionari e personale sanitario, accreditando una ampia rosa di manager innovatori. Prevedeva obiettivi ambiziosi di efficienza, efficacia, trasparenza dei servizi, qualità della vita di lavoro degli addetti, soddisfazione degli utenti. L’oggetto sarebbero state le dimensioni organizzative del sistema della salute, visto non come una burocrazia ma come una rete di processi integrati fra Assessorato e aziende sanitarie: strutture, processi, governance, programmazione e controllo, rapporto fra professionisti sanitari e organizzazione, regole per l’allocazione delle risorse e la gestione delle risorse umane.
La società di consulenza che aveva vinto la gara, dopo tre mesi di trattativa si rifiutò di rinunciare a una frazione anche minima degli 11 milioni di euro (poi lievitati a 25 milioni) disponibili e a ingaggiarsi in un complesso processo di change management. Le strutture regionali non mossero un dito per sostenere ciò che Russo voleva.
Percorremmo allora un’altra strada: una convenzione fra la Regione e le Università di Palermo e di Milano Bicocca. Furono redatte 12 versioni del progetto che attraversarono tutti i meandri degli uffici regionali. Ogni ufficio fece del suo meglio per rallentare, burocratizzare, snaturare, porre vincoli formali. Il progetto evocava il rischio che una organizzazione razionale e integra non avrebbe reso facili comportamenti opportunistici sulla allocazione di risorse e di poteri. Passarono ben 8 mesi togliendo al progetto la tempestività e a noi la pazienza.
Contemporaneamente l’Agenas (l’Agenzia nazionale sanitaria) aveva avviato un percorso di valutazione dei dirigenti delle Aziende sanitarie a fini di pervenire a nomine in base al merito. Scoprimmo che l’Assessore, pur animato dalle migliori intenzioni, non aveva la forza di imporsi alla burocrazia per fare avvenire le cose che gli servivano. Alla fine decidemmo di “levarci mano”, come si dice in Sicilia.
Il calvario di Lucia Borsellino. A quel momento si chiudeva il governo, Russo lasciava, Rosario Crocetta diventava presidente della regione, Lucia Borsellino veniva nominata assessore alla Sanità.
Scrissi a Crocetta, che non conoscevo, donandogli una proposta tecnica di piano finanziario e una bozza di piano industriale. Andai poi a trovare Lucia Borsellino e le suggerii di riprendere alcune parti del progetto che avevamo elaborato con Russo e a cui lei aveva partecipato come direttore generale. Le suggerii di procedere anche indipendentemente dalle nomine: l’organizzazione della Sanità doveva essere una buona burocrazia weberiana efficiente, imparziale portatrice di valori, non un insieme di imprenditori/feudatari. Aggiornammo il progetto. Crocetta non rispose a me (poco male) ma non rispose neanche a lei (molto male). Il progetto non partì.
L’assessore Borsellino non cessò di condurre azioni di buona amministrazione con ottimi risultati, ma purtroppo continuava a operare nel “castello kafkiano” che aveva trovato. Le cronache di questi giorni dicono che resistette fino all’ultimo alle pressioni del “cerchio magico” e di altre lobby sulle nomine e altri provvedimenti.
La proposta. Qual è la conclusione? È che l’assessore alla Sanità e il presidente della Regione Sicilia dovranno riprogettare l’amministrazione con due requisiti chiave.
Il primo è che si rompa il muro del castello, ossia l’amministrazione non solo diventi di vetro ma si apra alla collaborazione con le forze istituzionali, professionali e imprenditoriali sane della regione. L’amministrazione operi come l’agenzia strategica di una rete che genera valore e economico e sociale fissando e controllando obiettivi, proteggendo i nodi sani e tagliando quelli malati, creando regole economiche limpide, informatica efficace, cultura della efficienza e della legalità.
Il secondo è che si attivino progetti con la partecipazione delle forze sane che operano nell’amministrazione e nella sua rete al fine misurabile di migliorare i servizi e ridurre i costi; e di potenziare la capacità amministrativa. Nei progetti non c’è spazio per partiti, clan, cosche ma c’è molto da lavorare.
Questa proposta ha due destinatari: la politica e i suoi rappresentanti nelle istituzioni, perché la politica deve’essere sempre più “politica dei progetti”; il mondo della cultura e delle professioni, affinché si generino metodi per abilitare gli operatori e best practices che si impongano più delle parole.
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