Il programma della coalizione di centrodestra che ha vinto le elezioni prevedeva di “attuare il percorso già avviato per il riconoscimento delle Autonomie ai sensi dell’art. 116, comma 3 della Costituzione, garantendo tutti i meccanismi di perequazione previsti dall’art. 119 della Costituzione”, oltre che la “piena attuazione della legge sul federalismo fiscale”.
A poche settimane dall'insediamento del governo Meloni, il 17 novembre 2022, il ministro per gli Affari regionali e le autonomie presenta alle regioni una bozza di Ddl dal titolo: Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, trasmesso poi, entro la fine dell’anno, alla presidenza del Consiglio come disegno di legge sull’autonomia. Bozza che ottiene il via libera da parte della Conferenza Stato-regioni, con gli unici voti contrari di Toscana, Emilia-Romagna, Puglia e Campania, e viene approvata dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio 2023.
In sintesi, il Ddl prevede che l’attribuzione di nuove funzioni legislative e amministrative in forma differenziata debba essere subordinata alla determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” (Lep) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e definisce la procedura per l’attribuzione delle ulteriori “forme e condizioni particolari di autonomia”.
Trattandosi di un percorso decennale di confronto e discussione, il tema della autonomia differenziata, soprattutto in ambito sanitario, è stato affrontato in modo attento e critico sia dal punto di vista giuridico sia da quello economico (a questo proposito, si vedano gli articoli di Gianfranco Viesti e Francesco Pallante su questa rivista). In questa sede quindi, ripartendo dalle considerazioni espresse dalla Fondazione Gimbe, proviamo a indicare due ulteriori elementi di riflessione che a nostro parere devono essere presi in esame per valutare la bontà del documento presentato dal ministro Calderoli.
La Fondazione Gimbe ha elaborato un’analisi critica del progetto (Report Osservatorio Gimbe 1/2023. Il regionalismo differenziato in sanità), indicando nella sanità una cartina di tornasole per approfondire gli effetti dell’autonomia. A distanza di vent'anni i dati sui Lea documentano infatti la persistenza di profonde – e crescenti – diseguaglianze, tanto nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie quanto negli esiti di salute. I princìpi fondanti del Ssn sembrano essersi quindi “già dissolti senza alcun ricorso all’autonomia differenziata, ma solo in ragione della competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute” (p. 16).
Il report sottolinea quindi come “l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità (debba essere) gestita con estremo equilibrio, colmando innanzitutto il gap strutturale tra Nord e Sud”. Senza contare che, sulla base degli approcci dell’Health in all policies e One Health – elaborati dall'Organizzazione mondiale della sanità –, numerosi ambiti sui quali viene richiesta una maggiore autonomia hanno un impatto sulla salute pubblica.
Così, nonostante venga evidenziato come alcune delle richieste già sottoscritte nel 2018 durante il governo Gentiloni – quali l’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di famiglia – possano configurare elementi positivi, da estendere a tutte le regioni, il giudizio sulla proposta rimanga nel complesso negativo.
Nello specifico, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto hanno chiesto maggiore autonomia sul sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, sulla governance delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale oltreché sulla determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia. Ulteriori, e forse maggiori, problemi sono collegati con le materie inerenti la istituzione e la gestione di fondi sanitari integrativi che, secondo Gimbe, darebbero “il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale” (p. 8). Infine, la richiesta del Veneto sulla contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del Ssn, sull’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale potrebbe alimentare una concorrenza tra regioni con il rischio di migrazione di personale dal Sud al Nord.
Per sviluppare la propria critica alla proposta Calderoli il Rapporto Gimbe, accanto ai punteggi della griglia Lea, utilizza le evidenze relative alla mobilità sanitaria, che confermano la forte capacità attrattiva delle regioni del Nord, a cui corrisponde quella estremamente limitata delle regioni del Centro Sud (a questo proposito, si veda il Report Osservatorio Gimbe 2/2023. La mobilità sanitaria interregionale nel 2020).
Il regionalismo differenziato rischia di legittimare normativamente e in maniera irreversibile il divario tra Nord e Sud
Come conseguenza, il regionalismo differenziato rischia dunque di legittimare normativamente e in maniera irreversibile il divario tra Nord e Sud.
Risultati simili rispetto alle differenze territoriali emergono anche all’interno del Rapporto Crea Sanità 2023, che dedica un paragrafo specifico alla necessità di implementare un sistema di monitoraggio degli effetti (prospettici) dell’autonomia differenziata. Qui gli autori osservano come l’elemento chiave sia la verifica che tutte le regioni procedano nel processo di miglioramento, evitando peggioramenti attribuibili alla "generazione di forme di competizione 'non voluta' fra le regioni" (p. 111).
Come osserva Claudio Maria Maffei (Se l’autonomia differenziata va male, l’autonomia mal esercitata non va molto meglio, "Quotidiano Sanità", 14.3.2023) tali considerazioni richiedono però l’introduzione di una ulteriore dimensione, che in un certo senso precede le altre: la reale capacità delle regioni (intese come sistemi più ampi, che includono le Università, i mondi professionali, la società civile) di esercitare – soprattutto a partire dalla modifica del Titolo V – la propria autonomia.
Il richiamo alla capacità delle regioni permette infatti di analizzare in maniera distinta le due variabili utilizzate da Gimbe nel Rapporto: i risultati della griglia Lea e i dati sui flussi di mobilità. Così, mentre i flussi di mobilità sanitaria – escludendo quella non di “confine”, che di per sé non dovrebbe rappresentare un problema – sono frutto di una disomogeneità nella struttura “fisica” dell’offerta, che sarà possibile colmare soltanto nel lungo periodo, le differenze rispetto ai punteggi Lea attirano invece l’attenzione sulla qualità dei servizi – distrettuali e di prevenzione – che dovrebbero essere più semplici da ridurre e, soprattutto, in tempi più brevi. Eppure, è proprio in queste aree che il divario tra le regioni sembra aumentare, come dimostrato dai dati del Nuovo sistema di garanzia utilizzato per il monitoraggio dell’erogazione dei Lea. I quesiti da porsi diventano quindi: perché le Case della salute (oggi Case della comunità), gli infermieri di famiglia e di comunità o la Rete dei servizi per le demenze sono state sperimentate e risultano oggi diffuse in alcune regioni e non in altre?
Soltanto rispondendo a queste domande sarà infatti – forse – possibile capire meglio perché alcune regioni aspirino a una maggiore autonomia e perché in altri contesti l’autonomia già presente venga “sprecata”. Altrimenti, come scrive Maffei, “la banale considerazione che non possono essere i vagoni più lenti a condizionare la velocità dell’intero convoglio (che è poi più o meno uno dei punti di partenza delle richieste di autonomia differenziata da parte dei vagoni più rapidi) sarà difficile da smontare”. Dal nostro punto di vista, questa ricostruzione solleva però almeno tre nuovi spunti di riflessione.
Anzitutto, il ricorso alla griglia Lea è certamente utile ma, come osservato dallo stesso Gimbe (5° Rapporto sul Ssn, in particolare il cap. 4), gli indicatori monitorati possono essere rigidi, selezionati talvolta in maniera poco chiara e con soglie di adempimento eccessivamente basse. In altre parole, gli autori evidenziano come, “pur riconoscendo gli aspetti positivi nell’evoluzione dello strumento [...] i numerosi limiti segnalati rendono il Nsg (Nuovo sistema di garanzia) limitato agli indicatori Core più uno strumento di political agreement tra governo e regioni che un fedele specchio in grado di valutare in maniera tempestiva, sistematica e multidimensionale la qualità dell’assistenza erogata e garantire ai cittadini il diritto alla tutela della salute” (Gimbe 2022, p. 53).
Si corre il rischio di evidenziare la presenza di un contesto istituzionale favorevole alle innovazioni richiamate senza tuttavia entrare nel merito della concreta implementazione delle riforme, delle strutture e dei processi
In secondo luogo, le considerazioni rispetto alla capacità di esercizio dell’autonomia regionale corrono il rischio di rappresentare una “fotografia” dell’esistente, evidenziando così soltanto la presenza di un contesto istituzionale favorevole alle innovazioni richiamate senza tuttavia entrare nel merito della concreta implementazione delle riforme, delle strutture e dei processi. Infatti, anche in molte delle regioni “virtuose” la costruzione delle Case della salute o l’introduzione degli infermieri di famiglia e comunità ha scontato ritardi e inefficienze (si veda, ad esempio, il capitolo 10 nel Rapporto Oasi 2022). Alla stessa maniera, alcune novità istituzionali, come nel caso della figura del Direttore assistenziale in Emilia-Romagna, stanno sperimentando impasse che ne frenano la portata innovativa (si veda S. Simonetti, Le impasse nelle novità istituzionali e organizzative dei Ssr tra insidie partitiche, sindacali, giuridiche e finanziarie, "Sanità24", 23.2.2023).
Questo aspetto si collega all’ultimo spunto di riflessione. La gestazione del dibattito sulla riforma del sistema sanitario e sull'autonomia differenziata dura oramai da diversi anni e nel mentre i contesti regionali hanno attraversato profondi cambiamenti, sia istituzionali sia politici. A ciò si associa la sfida rispetto all'implementazione della “sanità territoriale”, il c.d. Dm77 (si veda la Terza relazione sullo stato di attuazione del Pnrr del 31 maggio).
In un contesto di mutamenti così profondi dobbiamo quindi fare attenzione a leggere le trasformazioni con le lenti del passato. Come ricordano gli astrofisici, infatti, spesso si osserva il cielo pensando di guardare il presente ma in realtà si finisce per ammirare la luce di stelle lontane, che potrebbero essere già da tempo scomparse. Alla stessa maniera, concentrarsi solo sugli aspetti ritenuti positivi non permette di considerare se le condizioni politiche, istituzionali e sociali che li hanno generati rimangono ancora presenti o se, al contrario, si siano nel tempo modificate, fino a scomparire del tutto.
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