“C’è una diffusa sfiducia nella scienza”. “L’Italia è un Paese antiscientifico”. Quante volte abbiamo sentito ripetere queste affermazioni da autorevoli scienziati, esponenti politici e commentatori? Simili affermazioni sono state all’ordine del giorno anche durante la crisi pandemica. Spesso la presunta sfiducia dei cittadini nei confronti della scienza è collegata, quando non attribuita, a: 1) (più tradizionalmente) un livello basso di “alfabetismo scientifico”; 2) (più recentemente) una “disinformazione” dilagante, soprattutto sui social.
Questi stereotipi sugli atteggiamenti del pubblico verso la scienza sono diffusi e radicati, non solo in Italia. Si tratta, come vedremo, in larga misura di pregiudizi infondati, ma proprio per questo è interessante approfondirne le caratteristiche e le ragioni della loro persistenza.
Fiducia nella scienza e negli scienziati: quello che sappiamo. Tutti i dati disponibili sul tema, raccolti dalle fonti più autorevoli a livello nazionale e internazionale, ci dicono ormai da anni la stessa cosa. I cittadini hanno grande fiducia nella scienza e negli scienziati, una fiducia che è cresciuta nel tempo (incluso il periodo pandemico) e si attesta ormai stabilmente su livelli di fiducia superiori all’80% della popolazione, rilevanti sia in termini assoluti sia relativi (ovvero: molta più fiducia nei ricercatori rispetto ad altre categorie quali politici, giornalisti e imprenditori). Nelle righe seguenti approfondiremo i dati relativi all’Italia, ma risultati e tendenze analoghe sono rilevate in numerosi Paesi (Germania, dall’Osservatorio Wissenschaft im Dialog; Svezia, da Vetenskap & Allmanhet; Spagna, da Fecyt; Stati Uniti, da Pew Foundation) nonché a livello europeo e globale (Eurobarometro; Pew Fondation).
In Italia, l’Osservatorio scienza tecnologia e società di Observa Science in Society analizza da oltre vent’anni il rapporto degli italiani con la scienza e la tecnologia, in generale e in relazione a temi salienti nel dibattito pubblico. Si tratta di un’indagine unica in Italia e di una delle serie di dati più longeva e continua a livello internazionale. Ogni anno l’Osservatorio prende in esame un campione di 1.000 casi, proporzionale e rappresentativo per genere, classe d’età e provincia di residenza della popolazione italiana con età maggiore o uguale ai 15 anni. Poiché molte domande vengono ripetute nel tempo, l’analisi delle serie storiche costituisce uno strumento prezioso per cogliere tendenze e cambiamenti più significativi.
In generale, la percezione dominante in Italia è che i risultati ottenuti dalla scienza portino soprattutto benefici. Lo pensavano in questo modo circa sei italiani su dieci nel 2007 e nel 2023 tale quota è salita a quasi otto su dieci (vedi Fig. 1).
La percezione dominante in Italia è che i risultati ottenuti dalla scienza portino soprattutto benefici
Per quanto riguarda la fiducia, questa è stata approfondita nelle rilevazioni più recenti dell’Osservatorio suddividendola in quattro dimensioni: la scienza in generale, le istituzioni di ricerca, gli scienziati e gli esperti che intervengono pubblicamente. Nel complesso, la netta maggioranza degli italiani – circa nove su dieci sia nel 2022 sia nel 2023 – mostra di fidarsi in modo significativo della scienza e degli attori della ricerca scientifica (vedi Fig. 2).
Tanto il giudizio positivo sull’impatto della scienza quanto la fiducia nella scienza e negli scienziati sono correlati in modo chiaro soprattutto con variabili quali età e titolo di studio, ovvero i più istruiti e giovani tendono ad avere ancora più fiducia. Anche questo è un dato tanto consolidato quanto poco conosciuto. A fare la differenza negli atteggiamenti verso la scienza non è tanto, come spesso si ripete, l’iniezione di contenuti comunicativi ad hoc, ma il livello di istruzione generale.
Interessante notare come gli orientamenti più critici emergano verso gli esperti che intervengono pubblicamente in televisione o sui social (si legga a tal proposito l'intervento di Giorgio Parisi sul “Guardian”). La fiducia è, in questo caso, di poco superiore al 50%. Per circa un italiano su due, chi si occupa di questioni scientifiche dovrebbe farlo senza esporsi troppo pubblicamente. Si tratta di un tema estremamente attuale e divenuto ancora più rilevante durante la pandemia, quando numerosi ricercatori e ricercatrici sono divenuti volti familiari al grande pubblico. Nel corso della pandemia, numerose indagini in Italia e all’estero avevano rilevato un giudizio sempre più negativo sugli interventi pubblici degli esperti, considerati spesso fonte di confusione più che di chiarezza informativa. Sempre nel corso della pandemia, i dati sul pubblico avevano evidenziato uno scarso ricorso alle fonti social e un giudizio molto negativo sulla loro credibilità.
Ignoranza o ideologia? Se dunque i dati sono così chiari, confermati da anni di studi nel settore della comunicazione pubblica e della percezione pubblica della scienza, come mai lo stereotipo di cittadini sfiduciati nei confronti della scienza è così diffuso e radicato perfino tra esponenti di scienze che dovrebbero per vocazione professionale basarsi sui dati e non sui pregiudizi?
Una prima, e più semplice spiegazione, è che non ci si dà la pena di andare a cercare dati e studi scientifici (peraltro ormai facilmente accessibili) preferendo affidarsi alle proprie sensazioni ed esperienze aneddotiche. Anche in questo caso, la pandemia è stata un’occasione esemplare per toccare con mano una forma piuttosto naif di “scientismo” che porta a ritenere la comunicazione della scienza un’attività semplice e alla portata di chiunque abbia una preparazione tecnica in una materia specifica. Abbiamo visto purtroppo i risultati: scarsa intelligenza dei pubblici e dei contesti, comunicazione improvvisata e affidata alla buona volontà dei singoli, esclusione dal Comitato tecnico scientifico (Cts) di competenze professionali specifiche nella comunicazione della scienza.
La pandemia è stata un’occasione esemplare per toccare con mano una forma piuttosto naif di “scientismo” che porta a ritenere la comunicazione della scienza un’attività semplice
Ma la narrazione di un pubblico sfiduciato e anti-scienza è anche ideologica in termini funzionali. Esonera infatti attori e istituzioni da ogni sforzo per migliorare la qualità della propria comunicazione della scienza – dopo tutto, se la gente è sfiduciata e incapace di capire, perché darsi pena? Emblematico, da questo punto di vista, lo spot realizzato dalla Rai durante la campagna di vaccinazione: nessun tentativo sostanziale di spiegare il funzionamento dei vaccini e appello quasi unicamente alle emozioni: “ti devi vaccinare perché così potrai tornare ad abbracciare tua nonna”. In questo senso, il pregiudizio diviene una “profezia che si auto-adempie” nel senso descritto dal fondatore della sociologia della scienza Robert K. Merton: il risultato, come si è visto, è una comunicazione della scienza di bassa qualità che rinforza quegli stessi stereotipi.
La rappresentazione del pubblico come ostile, scettico e ignorante ha una funzione ideologica, funzionale a sostenere una visione paternalistica e in definitiva autoritaria della comunicazione della scienza e del rapporto tra scienza e società. Una visione, come si è visto, che non ha nulla di “scientifico” ma riflette in larga misura pregiudizi infondati.
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