Berlusconi ha vinto su tutta la linea: ha ottenuto la fiducia, ha attratto dalla sua parte cani sciolti e transfughi, ha sconfitto Fini e ne ha azzoppato il progetto. Una vittoria su tutta la linea che è sbagliato sminuire o ridurre a “vittoria aritmetica”. Su questo scontro si giocava non solo la continuità di un governo o la durata della legislatura, bensì il futuro del sistema partitico italiano. Una sconfitta del Cavaliere avrebbe rimesso in moto la politica: avrebbe scongelato il centrodestra ibernato dalla presenza dominante, e agghiacciante, del presidente del Consiglio. Ora, fallito il disegno di una implosione del PdL, non ci sono più argini alla capacità attrattiva di Berlusconi. La vittoria ha un profumo inebriante anche in politica. Coloro che nel PdL mugugnavano rientrano nei ranghi allineati e coperti (e un po’ codardi).
I centristi dell’Udc non resisteranno più di tanto alle sirene del Cavaliere. E per Futuro e Libertà il domani è nerissimo. Il ritorno all’ovile pidiellino da parte dei suoi parlamentari si preannuncia massiccio perché Fini non offre più né garanzie né prospettive. Del resto, la sfida era senza vie d’uscita.
Lo sconfitto avrebbe perso tutto. E lo sconfitto è Fini; che ha perso per molte ragioni. Per l’incapacità a mantenere alto il progetto di una “nuova destra” senza ridurlo alla cacciata del “caimano”; per l’eccessiva vicinanza “oggettiva” alla sinistra, inevitabile in una mozione di censura al governo ma tale da produrre l’orticaria a molti dei suoi; per la scelta dei tempi, quando lasciare più di un mese all’uomo più ricco e potente d’Italia significava perdere giorno dopo giorno il vantaggio accumulato; per la perdita di appeal nei confronti dei pidiellini critici.
A questo punto il governo ha tutte le carte in mano: può decidere di rimanere in carica senza cambiare nulla essendo inimmaginabile, allo stato dei fatti, una nuova spallata; può allargare la maggioranza ai tanti desiderosi di correre in soccorso al vincitore; può dimettersi e incaricare un suo fido a gestire l’allargamento della maggioranza, mettendosi in riserva, in attesa della chiamata al Colle del 2013; può andare alle elezioni, forte della vittoria, per schiacciare definitivamente Gianfranco Fini, il nemico numero uno. Tutte le carte sono ora in mano al Cavaliere (con l’unica incognita della sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento).
In questo quadro risalta ancora più chiara, nel suo pallore mortale, la sinistra. Non è stata capace di fare nulla. Non una iniziativa, al di là della mobilitazione dell’11 dicembre, ottima per rincuorare i militanti ma del tutto irrilevante politicamente, non una proposta politica, non una idea per il dopo-Berlusconi, non un’offensiva “seduttiva” nei confronti dei sofferenti della destra. L’autismo della sinistra ha raggiunto livelli disperanti. Tanto che il suo silenzio rischia di essere occupato dalle grida – e non solo – della protesta sociale. A Roma, in contemporanea con una imponente mobilitazione di studenti – una delle più partecipate degli ultimi anni – si è scatenata la violenza, forse ad opera di professionisti della provocazione, forse alimentata da teste calde di un giorno. Il contrasto tra il ribollire della piazza e le manovre di palazzo è lampante. Potrebbe sembrare, mutatis mutandis, una replica di quanto successe nel 1993, quando Bettino Craxi venne salvato dai colleghi parlamentari ma ricoperto di monetine dai dimostranti. Fratture tra politica e società sono state frequenti nella nostra storia, e hanno portato disastri. Speriamo che la crisi tuttora incombente, contrariamente allo stucchevole e irrisorio mantra del Cavaliere, non faccia precipitare la protesta in una spirale di violenza.
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