Il legislatore, nel 1977, introdusse nell’ordinamento giuridico il tributo sul costo di costruzione, quale prelievo sulla ricchezza prodotta dall’attività edilizia. Da allora tale istituto non è mai stato rivisitato. Una sua riformulazione porterebbe a una più equa distribuzione del carico fiscale.
L’attività edilizia, in generale, necessita di un titolo abilitativo rilasciato dal Comune, a fronte della corresponsione del «contributo di costruzione» da parte del soggetto attuatore.
L’impostazione del calcolo del contributo di costruzione fu determinato dalla legge n. 10/1977, poi recepito dal Testo unico dell’Edilizia Dpr n. 380/2001, e da allora non ha subito sostanziali cambiamenti.
Il contributo di costruzione si compone di due quote: l’una correlata alle opere di urbanizzazione (fognature, scuole ecc.) che il Comune dovrà realizzare per assicurare la funzionalità dell’intervento edilizio; l’altra correlata all’«aumento di capacità contributiva del costruttore», derivatagli dal permesso di costruire.
Il legislatore stabilì che quest’ultima quota dovesse essere proporzionale al costo di costruzione, costituito dalla somma dei costi della manodopera, dei noli e dei materiali; il che significa che per ogni metro quadrato di edificio costruito o ristrutturato, l’imprenditore deve corrispondere un tributo pari a una percentuale compresa tra il 5% e il 20% del costo di costruzione.
È compito della Regione determinare tale costo, nonché stabilire le percentuali citate «in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione» (art. 16, c. 9). Appartiene all’autonomia delle Regioni interpretare le parole «caratteristiche», «tipologie», «destinazione» e «ubicazione» in riferimento alle costruzioni.
Qui proviamo ad avanzare una proposta di riforma che circoscrive l’applicazione del termine «ubicazione».
La Regione Toscana, per esempio, differenzia il tributo in relazione alle caratteristiche orografiche del Comune (montagna, costa, pianura/collina); mentre la Regione Emilia-Romagna differenzia il tributo solo in base alla posizione della costruzione rispetto al centro abitato: all’interno o all’esterno del medesimo.
Le modalità di recepimento effettuato da quasi tutte le Regioni dell’articolo citato disattendono il principio di progressività del sistema tributario enunciato dalla Costituzione. Infatti, la mancata considerazione del valore di mercato generato anche dalla ubicazione porta il tributo a prescindere dal profitto dell’imprenditore, poiché tale tributo risulta identico sia per le zone ove i prezzi di mercato sono più elevati sia per le zone marginali o periferiche.
Ad esempio, la nuova costruzione di una palazzina di 6 alloggi da 90 mq ciascuno in Emilia-Romagna vedrebbe un tributo relativo al costo di costruzione pari a circa 4.040 euro/alloggio; lo stesso a Riccione come a Bettola. Nonostante sia noto che la collocazione di un immobile è un fattore essenziale per il suo valore di mercato: immobili di uguali caratteristiche costruttive possono avere differente valore pur posti all’interno dello stesso Comune e, a maggior ragione, se posti in Comuni differenti.
Da qui la necessità di individuare un criterio alternativo a quello attualmente applicato, che non stimi il tributo dovuto dall’imprenditore in base al costo di costruzione, ma in base al prezzo di mercato, in quanto attributo riassuntivo di tutte le caratteristiche proprie di ciascun edificio e rappresentativo del profitto d’impresa.
La nostra proposta consiste nel sostituire l’attuale metodo di determinazione del tributo con un’unica percentuale applicata ai valori di mercato presenti nell’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) gestito dall’Agenzia delle entrate: «l’ipotesi di base dell’Osservatorio è che il fattore posizionale sia quello maggiormente esplicativo delle differenze di valore tra le varie unità immobiliari, in particolare di quelle a destinazione residenziale» (dalla Sintesi del Manuale operativo della banca dati Omi).
L’Omi rileva semestralmente i prezzi di vendita degli immobili e pubblica le relative medie per zona omogenee (per fare un esempio, Bologna è suddivisa in 34 zone), per tipologia immobiliare, per stato di conservazione e per destinazione d’uso.
L’adozione della banca dati Omi consentirebbe di rapportare il tributo al reale valore dell’edificio e fornirebbe i tecnici comunali di valori sufficientemente aggiornati, offrendo un metodo unico e trasparente per tutto il territorio nazionale.
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