Ha ragione Roberto Escobar nel sostenere che “perduto lo spazio pubblico, perduta la piazza, si è perso anche il luogo della libertà” ("il Mulino" 5/10, p. 14). Occorre "ripensare lo spazio pubblico", sapendo che la democrazia ha bisogno di luoghi fisici, spazi concreti dove possa avvenire il riconoscimento reciproco tra cittadini, che è la condizione di qualsiasi uguaglianza politica. La democrazia plebiscitaria, sia nella versione delle adunate mussoliniane di Piazza Venezia sia nella versione televisiva di Porta a porta, non può essere che negazione dello scambio e dell’arricchimento reciproco su cui si costruisce la libertà. Né Facebook né Anno zero possono sostituire l’esperienza del discutere faccia a faccia. Lo spazio pubbico dev’essere articolato su luoghi fisici che, per svolgere una funzione democratica, devono essere luoghi di uguaglianza. Non ogni spazio "aperto al pubblico" è però pubblico, né è necessariamente attraente: occorre quindi progettare degli spazi che siano gradevoli e autogestiti o facili da gestire. Questa è la condizione perché si manifesti quella che Escobar chiama “una ritrovata capacità dei privati – individui, movimenti, associazioni – di parlare e di fare in pubblico”. Non si faranno uscire i cittadini dal loro privato universo televisivo senza offrire loro la dimostrazione che esistono luoghi più interessanti del salotto di casa o dello schermo del telefonino. La struttura della città ne offre molti: piazze, caffè, chiese, biblioteche, librerie, università. Si tratta di lavorare per renderli fruibili a chi voglia ricostruire un tessuto di relazioni più ricco, più egualitario, più politico.
Da dove si comincia? Si comincia dal creare piazze dove accadono molte cose, dove ci sia un’offerta di esperienze il più varia possibile. Se si guarda a campo Santa Margherita, a Venezia, si scopre che il suo fascino deriva da una gamma sorprendentemente vasta di possibilità che esso offre tra le 6 del mattino e le 2 di notte: comprare giornali, fiori o verdure; bere un caffè, un aperitivo o una birra; mangiare un tramezzino, un piatto di pesce o un pasto completo; entrare in una libreria, in un tabaccheria o in un’osteria; fermarsi al mercatino di oggetti usati, in un negozio di antiquariato o al centro informazioni per gli anziani, tirare tardi con gli amici. Malgrado abbia perso i due cinema che esistevano un tempo e ormai non sia più il luogo di elaborazione culturale e politica che fu subito dopo il colpo di Stato in Cile del 1973, Santa Margherita conserva le caratteristiche di un luogo piacevole e il potenziale per un suo uso civile e politico.
I luoghi di incontro non si creano a comando: è necessario creare continuità fra centri di attrazione forti e lo spazio circostante. Le biblioteche di pubblica lettura di concezione moderna sono questo: luoghi capaci di attirare i cittadini con l’abbondanza della loro offerta culturale, la piacevolezza degli ambienti, la filosofia che le anima. Le public libraries sono un elemento del paesaggio urbano negli Stati Uniti: accanto al municipio e alle chiese principali non può mancare una biblioteca pubblica dove i cittadini vanno ben più spesso di quanto non sia necessario per restituire l’ultimo bestseller e leggere riviste di hobbistica. E dove ora vanno a fare la coda per usare quel computer collegato a internet che non possono più permettersi (difficile accedere alla rete quando si vive in una roulotte…).
Biblioteche come quelle di Seattle, di Amsterdam, di Whitechapel, a Londra, sono luoghi dove si può redigere un curriculum per trovare lavoro, farsi fare un massaggio, organizzare un cineforum. Nulla di tutto questo è di per sé politico, ma tutto questo è profondamente politico se contribuisce a ricreare quel tessuto di relazioni con l’altro che è l’opposto dell’isolamento casalingo davanti alla TV.
In Italia, queste biblioteche di nuovo tipo possono ispirarsi alla positiva esperienza del Parco della Musica di Roma, diventato nel giro di pochi anni un ente multimediale che fa ben di più di organizzare concerti: ospita affollatissime lezioni di storia, invita artisti a lavorare per qualche mese in residenza, propone mostre e attività culturali di ogni tipo. Abbiamo bisogno di istituzioni di questo tipo, che abbiano una direzione unica, un piano culturale di alto livello e una visione coerente del rapporto con il territorio: il Beaubourg di Parigi non sarebbe il Beaubourg se non ci fosse la sua affollatissima biblioteca e la sua piacevole piazza antistante con i suoi giocolieri, mangiafuoco e capannelli di giovani.
Naturalmente, in un momento in cui le risorse per la cultura, la scuola e l’università vengono tagliate selvaggiamente da un governo che preferisce spendere 4,4 miliardi per pagare le multe dell’Unione europea per le quote latte, tutto questo può sembrare un libro dei sogni. L’Italia è però ricca di gruppi di cittadini che vogliono fare qualcosa di utile, proporre concerti o rassegne di film, sostenere Emergency, insegnare l’italiano agli stranieri, spesso con grande sacrificio personale. È a questi milioni di persone che occorre rivolgersi: battersi per una biblioteca-piazza, per una piazza dotata di biblioteca, per un museo o un auditorium che diventi il motore della vita culturale cittadina può essere un obiettivo che risveglia energie, coinvolge persone oggi disinteressate o diffidenti verso la politica, risveglia le amministrazioni comunali dal torpore. Vogliamo provarci?
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