Nel 1994, il fantomatico editore Otzium di Londra pubblica (in italiano) uno strano volume, dal titolo Berlusconi in Concert, firmato a quattro mani dal giornalista Gigi Moncalvo e dal docente Stefano E. D’Anna. Si tratta di un oggetto bizzarro, difficile da decifrare appieno, uscito certo in un anno non casuale ma presto scomparso, dimenticato, persino rimosso: è un manuale del buon imprenditore, ricco di massime motivazionali e altri voli pindarici; un’agiografia spudorata, che indica in Silvio Berlusconi il modello da seguire,la perfetta rappresentazione di una nuova figura di manager; ma soprattutto è il resoconto dettagliato e sincero di una lunga osservazione quasi etnografica di Berlusconi che Moncalvo ha portato avanti per settimane, forse mesi, seguendolo da vicino nella casa di Arcore e fuori, in varie città italiane, durante le convention e gli incontri con gli investitori di Publitalia. Dal libro emerge un ritratto accurato dell’uomo, delle sue idee e ambizioni, dei suoi collaboratori, di una macchina aziendale sulla soglia del trasformarsi in un movimento politico: un’analisi certo parziale, ma proprio per questo schietta, sfrontata, addirittura profetica. Un’ottima rappresentazione di quegli anni, e di quel clima.
Leonardo Notte, interpretato da Stefano Accorsi e vero protagonista della serie 1992, si muove proprio su questo sfondo, pur stilizzato: pubblicitario geniale ma dall’oscuro passato, collaboratore rampante di Publitalia, abile a capire insieme ai suoi superiori, e in primis a uno ieratico Marcello Dell’Utri (Fabrizio Contri), la trasformazione dello scenario politico in uno dei tanti possibili oggetti del marketing. È una delle chiavi di lettura offerte dalla fiction Sky che racconta anche persone reali come Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi) e, appunto, Dell’Utri e procede mese dopo mese in quell’anno denso di eventi, tra l’emergere di Tangentopoli, le stragi di mafia, gli smottamenti del quadro politico, i furori astratti o più concreti che sembravano sul punto di cambiare tutto (spoiler alert: non è successo). Accanto a Notte, quattro altri personaggi di finzione si fanno portatori d’istanze differenti, exempla di vorticosi percorsi di rapida ascesa e inevitabile caduta: il poliziotto del pool di Mani Pulite Luca Pastore (Domenico Diele), l’ambiziosa starlette Veronica Castello (Miriam Leone), l’ex militare nella guerra del Golfo divenuto parlamentare leghista Pietro Bosco (Guido Caprino) e – sola a salvarsi dai simboli di un’onomastica esplicita – Beatrice “Bibi” Mainaghi (Tea Falco), figlia smarrita dell’industriale inquisito e poi suicida.
Con 1992, fatto tesoro dell’esperienza di Romanzo criminale, e soprattutto del grande successo di Gomorra, Sky Italia prosegue quindi la ricerca di un proprio modello originale di fiction, adottando pezzature medio-lunghe di 10-12 episodi, come nelle serie cable americane, e soggetti che (almeno sulla carta) possano proseguire per più annate. Gli alti valori produttivi (e i budget conseguenti), la qualità visiva e formale, la focalizzazione su figure di antieroi controversi e mai pienamente positivi, la scelta di temi stratificati e complessi, l’acceleratore su sesso, soldi e violenza, l’attenta pianificazione promozionale sono gli strumenti attraverso cui Sky cerca di differenziarsi dalle più classiche e rassicuranti produzioni di Rai e Mediaset, e che in buona parte si ritrovano anche nella serie scritta da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, diretta da Giuseppe Gagliardi e prodotta da Wildside. Mai come questa volta, però, lo sfondo denso d’implicazioni storiche, culturali e politiche e la lunga e complessa fase di sviluppo e produzione hanno finito per ridurre di molto questa rivendicata differenza, con scelte di casting e scrittura, dietro le apparenze, piuttosto tradizionali e “generaliste”.
Ogni episodio si dedica a un mese di quell’anno, in un complesso gioco d’incastri tra storia e finzione. I cinque personaggi principali passano come trottole da una situazione all’altra, si muovono quasi per caso e altrettanto per caso s’incontrano, sono travolti da eventi che non capiscono fino in fondo e protagonisti di un mondo che, per quanto si atteggi diversamente, resta “piccolo” e provinciale. Legami accidentali e intricati, parallelismi con situazioni dimenticate, ambizioni scoperte e segreti rimossi sono così l’altro motore di una trama che altrimenti pare procedere soprattutto per accumulo, elencando fatti e dettagli, toccando tante questioni (dal sangue infetto all’uranio impoverito, dai suicidi di imprenditori al sequestro di Farouk Kassam, dalla scuola steineriana al matrimonio Frizzi-Dalla Chiesa), e mettendo costantemente in scena una successione di citazioni dirette, richiami, mezze frasi, oggetti e altri elementi che inquadrano bene il contesto, ma rischiano spesso di diventare pura didascalia. Le magliette dei Nirvana, i cellulari, le riviste, i televisori accesi in sottofondo sono gli arredi di un mondo narrativo che rischia troppo spesso di fermarsi al ricalco, preso dall’ansia compilativa, e intanto si dimentica di costruire dei personaggi a tutto tondo, di farli avanzare, anche a scapito di qualche licenza poetica. Se nella sigla i frantumi di vetro – riflettenti, deformanti, taglienti – si ricompongono nel logo della serie, non sempre succede lo stesso con l’intrecciarsi dei dialoghi, dei riferimenti e delle storie.
Nella serie, poi, il 1992 è uno snodo, un passaggio obbligato, anche (e forse soprattutto) perché gli anni Novanta connettono un prima e un dopo, il nostro passato e il nostro presente. Oltre alla complessità d’incastri, la serie è un gioco di specchi, insieme riflettenti e deformanti. Da un lato, i personaggi, fittizi e reali, scontano le colpe, spesso non loro, accumulatesi nella cronaca e nell’immaginario degli anni Ottanta, dalle mazzette alla tv commerciale: agiscono, reagiscono, ma non si liberano mai fino in fondo del peccato originale, e sarà questo, dopo la breve parodia della rivoluzione, a riportare tutto al punto di partenza, a cambiare tutto perché nulla cambi, nella migliore delle tradizioni italiche. Dall’altro, il punto di vista della serie ci costringe continuamente, come diceva McLuhan, a “guardare il presente in uno specchio retrovisore”, a indossare occhiali fin troppo contemporanei per rileggere i primi anni Novanta con ampie concessioni al senno di poi: e così Accorsi/Notte che convince l’inserzionista di Publitalia a investire su Non è la Rai con allusioni al limite del lecito non è pensabile senza la polemica sulle veline e il corpo delle donne, e così l’ingresso dei leghisti in Parlamento ricalca quello dei grillini, e così il navigato politico democristiano che festeggia in terrazza arriva dopo Jep Gambardella e La grande bellezza, e così ancora il compleanno in Costa Smeralda con le amiche di una Barbara Berlusconi ancora bambina non può prescindere dagli scandali che verranno. Se spesso il 1992 è in modo ingombrante sullo sfondo, limitato all’affastellarsi di una cronaca mese dopo mese, forse è anche perché il vero interesse degli sceneggiatori (didascalico, persino pedagogico) sembra essere altrove, molto più vicino.
Nonostante gli innegabili difetti, che nascono però soprattutto dal confronto tra le ambizioni elevate (e rafforzate dalla necessità promozionale di marcare la differenza) e lo sviluppo più ordinario, 1992 resta comunque un ottimo punto di partenza per scandagliare le potenzialità narrative del recente passato. E, senza cedere – come avvertiva Berselli – al “ricatto del contenuto”, cioè al prevaricare dei temi e degli obiettivi su forme e linguaggi, possiamo però ammettere in modo franco il fascino nostalgico che i primi anni Novanta esercitano su un buon numero di generazioni. Incuranti dei dialoghi o della trama, può bastare il frammento televisivo, la nostalgia di un oggetto o la colonna sonora per appassionarci. Trasformiamo forse così la quality television in guilty pleasure, ma poco importa. Come dice proprio Notte (lui parla d’altro, ma può valere per tutta la serie, e non solo): “Il segreto è fare finta di crederci”.
Riproduzione riservata