Il 9 marzo scorso il Senato ha approvato il Disegno di legge delega al governo per il contrasto alla povertà e il riordino delle prestazioni e del sistema degli interventi e dei servizi sociali che introduce su tutto il territorio nazionale una nuova misura di sostegno al reddito per le famiglie povere: il Reddito di inclusione sociale (Reis). Come ha dichiarato il presidente del Consiglio Gentiloni, si è compiuto in tal modo un «passo avanti per venire incontro alle famiglie in difficoltà». Ma non è un passo da gigante, come vedremo più avanti. Intanto occorre riconoscere che si tratta effettivamente di una svolta importante che comporta l’abbandono dell’approccio basato su successive «sperimentazioni», per periodi limitati di tempo e per aree geografiche ristrette, di misure con caratteristiche e denominazioni molto variegate che ha caratterizzato sin qui l’intervento di contrasto alla povertà. Va inoltre sottolineato che la misura, pur rivolgendosi alla sola platea dei poveri (individuati con il criterio molto restrittivo di un reddito Isee inferiore ai 3.000 euro annui), ha per la prima volta una natura universalistica, poiché si rivolge a tutti i cittadini italiani e stranieri, residenti da un certo numero di anni in Italia, e non a particolari categorie di soggetti (famiglie con figli minori, anziani, persone non autosufficienti e via di seguito). Anche l’impegno finanziario è sicuramente apprezzabile, se confrontato con i tagli lineari delle precedenti legislature. Esso infatti per il 2017 ammonta a 1,6 miliardi (che salgono a 2 miliardi considerando anche le risorse europee).
Tuttavia, al provvedimento mancano alcuni requisiti importanti per poterlo considerare una vera innovazione. In primo luogo il trasferimento previsto è a cifra fissa (80 euro a persona – evidentemente considerato un numero «magico» - con un tetto massimo di 480 euro indipendentemente dalla numerosità della famiglia) e non è concepito dunque per colmare la distanza tra il reddito disponibile e la soglia di povertà. In tal modo s’introduce una disparità di trattamento tra famiglie numerose beneficiarie, lontanissime dalla soglia dei 3000 euro, e famiglie con meno componenti e più vicine alla soglia. In secondo luogo il trasferimento è condizionato all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e d’inclusione sociale e lavorativa che ripropone tutte le ambivalenze di questo tipo di interventi che spesso non tengono conto di carichi familiari, scarsa attrattività dei lavori offerti, a volte anche delle caratteristiche personali dei soggetti che richiedono per il loro reinserimento un lavoro più lungo e complesso di quello previsto dalla misura.
Inoltre la cifra stanziata, pur considerevole rispetto al passato, rimane largamente al di sotto di quanto le stime più prudenti calcolano sia necessario per il solo sostegno economico di quanti sono in povertà assoluta. Si configura pertanto la possibilità, in fase di decreto attuativo, della reintroduzione delle graduatorie di merito, e dunque nuovamente di una logica categoriale, e di una sostanziale vacuità dei progetti di inclusione, come già è accaduto in precedenti sperimentazioni di carattere locale.
Un ulteriore aspetto critico riguarderà la valutazione della efficacia della misura. Va infatti tenuto presente che il Reis interessa lo «zoccolo duro» della povertà e non le situazioni «a rischio di povertà». Più che a una improbabile uscita da condizioni di povertà, tenuto conto dell’esiguità dei trasferimenti previsti (a fronte come si è detto di condizioni di partenza e composizione familiare diseguali), occorrerà valutare a consuntivo, anche mediante metodi qualitativi, l’idoneità della misura prevista a mettere in pari chi è in condizioni di maggiore disfavore, attenuando i rischi di trasmissione generazionale della povertà e di recrudescenza delle situazioni più gravi, legate all’esposizione prolungata ad ambienti familiari degradati e a quartieri segreganti.
Resta poi del tutto aperta la questione del coordinamento e dell’integrazione tra interventi statali diretti e interventi delle Regioni e dei soggetti dell’autonomia locale, essendo in questa fase di mutamento istituzionale già indistinto il quadro delle competenze e destinato a divenire ancora più incerto in forza delle riforme già introdotte, da mettere in opera, e di quelle di cui si prospetta l’approvazione.
Nonostante gli aspetti di novità, il Reis resta dunque una coperta troppo corta. Ne sono dimostrazione le rilevazioni periodiche dell’Istat secondo le quali in Italia vi sono poco meno di 5 milioni di persone in condizione di povertà assoluta, in molti casi famiglie con bambini. Cosa significhi in concreto è ben documentato dall’Eu-Silc: non possedere più di un paio di scarpe e avere un’alimentazione inadeguata (un bambino su 20), non potersi permettere di invitare un amico a casa per giocare o studiare insieme, non poter festeggiare il proprio compleanno o partecipare a una gita scolastica (un bambino su 10). O ancora non essere mai andato a teatro, a concerti o a visitare musei e siti archeologici o esserci andato molto di rado (il 64% in Italia, l’84% nella sola regione Campania). Dunque è bene che la legge concentri gli interventi sullo «zoccolo duro» della povertà, operando a favore di chi manca del necessario e vive in condizioni di deprivazione culturale e ambientale. Ma non si può non rilevare che una metà almeno delle famiglie in povertà assoluta non saranno raggiunte dal provvedimento andandosi ad aggiungere ai 2 milioni e 678mila famiglie in condizioni di povertà relativa (che vivono, ad esempio, con un reddito al di sotto di 1.700 euro se composte da quattro persone) che comprendono, oltre ai già citati bambini, anche quell’insieme variegato di working poor, di lavoratori poveri non solo a livello familiare ma anche individuale, che negli anni della crisi sono finiti nell’area della marginalità sociale talvolta non riconoscendosi come parte di essa.
Finalmente qualcosa si muove, ma resta ancora da compiere un percorso oneroso in termini finanziari e complesso sul piano della mediazione politica degli interessi.
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