Consapevoli che una pluralità di situazioni possa rendere indispensabile la revisione di uno o più articoli anche della migliore delle costituzioni, i Costituenti scrissero con grande cura l’articolo 138. Esclusa dalla revisione costituzionale la «forma repubblicana dello Stato» (menzionata nell’articolo successivo), tutti gli articoli da loro scritti sono suscettibili di revisioni con una procedura non troppo onerosa e con maggioranze diverse.

Qualora la revisione costituzionale fosse stata approvata da una maggioranza parlamentare dei 2/3 o più in entrambe le Camere, non avrebbe potuto essere sottoposta a referendum (i Costituenti non immaginavano che i loro successori avrebbero proceduto a colpi di cospicui pacchetti di articoli – 56 quelli riformati dalla maggioranza di centrodestra nel 2005; 44 quelli riscritti dal governo Renzi nel 2015-2016 – invece di osservare pienamente il testo dell’art. 138 che si riferisce a leggi di revisione, al plurale). Da un lato, è ipotizzabile che i Costituenti ritenessero che una maggioranza di tali dimensioni non potesse non essere rappresentativa delle opinioni popolari; dall’altro, volevano evitare un voto che contrapponesse una minoranza intensa a quell’ampia maggioranza parlamentare, finendo per delegittimare il Parlamento. Esito grave, in special modo in un Paese sempre caratterizzato da un non troppo latente e sempre strisciante antiparlamentarismo.

La non necessità di quorum era chiaramente motivata dalla convinzione dei Costituenti che fosse non solo giusto, ma anche opportuno, attribuire maggiore potere ai cittadini che, interessati a quella specifica revisione e informatisi a riguardo, si mobilitassero sia a sostegno di quanto fatto dal Parlamento sia, più probabilmente e più comprensibilmente, contro.

Chi partecipa merita un premio. Deve contare di più. Nient’affatto priva di interesse politico e istituzionale è l’indicazione di quali sono i soggetti legittimati a chiedere il referendum costituzionale, nell’ordine: un quinto dei membri di una camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. Non figura fra loro né il governo né un ministro, eventualmente quello delle Riforme istituzionali, né la maggioranza governativa. Non si tratta evidentemente di una dimenticanza, né di una questione banalmente lessicale. Le revisioni della Costituzione dovevano essere compito precipuo, secondo i Costituenti, del Parlamento. Nulla osta, naturalmente, che nel Parlamento si attivi una maggioranza che coincida con quella governativa, ma appare quantomeno bizzarro che sia la maggioranza – la quale ha proposto, formulato, argomentato e condotto a votazione e ad approvazione quelle revisioni – a chiedere, non avendo nessun obbligo, un referendum.

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