Di scuola si parla poco, pochissimo. Non lo si è fatto in campagna elettorale e non lo si sta facendo neppure in questo primo scorcio di legislatura. La cosiddetta “buona scuola” di Renzi, se non altro, ha avuto il merito di riaccendere l’attenzione sul nostro sistema formativo, pieno di falle e di problemi di lungo periodo.
Ma a colmare questo vuoto nel dibattito pubblico ci pensano, come sempre, i social, con la loro veemente e amplificata semplificazione, che in un attimo sa trasformarsi in falsificazione, alla faccia dei nostri dibattiti sul web. Questa volta a pagarne le conseguenze è una insegnante di un istituto tecnico palermitano.
Tutto parte alla fine di gennaio, quando sul profilo di un attivista di estrema destra, vicino a siti come “Vox” e “Primato nazionale”, compare un tweet in cui è taggato il ministro all’Istruzione Bussetti: «Salvini-Conte-Di Maio? Come il reich di Hitler, peggio dei nazisti. Succede all’Iti Vittorio Emanuele III di Palermo, dove una prof per la Giornata della memoria ha obbligato dei quattordicenni a dire che Salvini è come Hitler perché stermina i migranti. Al Miur hanno qualcosa da dire?» [corsivo nostro]. Il giorno dopo si accoda la senatrice leghista Lucia Borgonzoni, questa volta su Facebook: «Se è accaduto realmente andrebbe cacciato con ignominia un prof del genere e interdetto a vita dall’insegnamento. Già avvisato chi di dovere» [corsivo sempre nostro]. (Si noti che l’onorevole Bergonzoni, già candidata sindaca a Bologna e ancora oggi consigliera comunale, è sottosegretaria ai Beni culturali.) Subito scatta l’ispezione da parte dell’Ufficio scolastico provinciale (il cui direttore, si dà il caso, è in corsa per coprire la carica di dirigente regionale), che decreta per l’insegnante una sospensione per 15 giorni con conseguente dimezzamento dello stipendio.
I fatti risalgono al 27 gennaio scorso, quando, in occasione della Giornata della memoria, la professoressa chiede ai propri alunni di preparare un lavoro sulle leggi razziali, che sotto forma di slide verrà poi proiettato nell’aula magna dell’Istituto. In una di queste slide gli autori del power point accostano la prima pagina del “Corriere della Sera” del 1938 al selfie con cui l’attuale ministro dell’Interno mostra sorridente un cartello salutando l’approvazione del cd. «Decreto Sicurezza».
Tutto questo, sollevato come detto dagli immancabili tweet e post, fa scattare la solerte e accurata ispezione ministeriale: pure la Digos arriva a scuola. Oltre alla colpevole (nessun garantismo in questo caso da parte del potere leghista: la signora è una semplice docente di scuola superiore, mica un sottosegretario o un sindaco) vengono interrogati i ragazzi, il preside, gli insegnanti. Insomma, una roba in grande. Non è dato sapere se ci fossero anche i cani e i blindati parcheggiati fuori. Però ai diligentissimi vigilanti si pone subito un problema: il reato d'opinione non esiste. Che fare dunque? Bisogna trovarne un altro, di reato, pur di punire quell'insegnante. Così la professoressa viene sospesa per “omessa vigilanza” (delle opinioni, evidentemente).
Tutto questo per cosa? Lo ha spiegato bene (sempre su Twitter, ci perdonerete) Ermanno Ferretti. L'intento della Lega pare quello di lanciare un duplice avvertimento: il primo è «occhio, ragazzi, perché se pensate delle cose che non ci piacciono vi mandiamo la Digos in classe»; il secondo (non sono in quest’ordine, i due avvertimenti partono in contemporanea), «occhio, prof., perché se i vostri studenti pensano cose negative sul governo ce la prendiamo con voi».
Ora, non sempre è utile stare sul web. Anzi, spesso si perde un sacco di tempo. Ma in questo caso conviene perdere tre minuti e andare ad ascoltare le parole dell’insegnante colpita. Converrebbe soprattutto a chi ricopre incarichi di governo dovendosi occupare di cultura. Così facendo, si accorgerebbe che la signora, visibilmente provata dalla vicenda dopo una vita per la scuola, ha molto da insegnare non solo ai suoi ragazzi, come ha sempre fatto, ma anche e forse soprattutto a chi dalla scuola è uscito da un pezzo e ora se ne sta a palazzo a postare, twittare e sollecitare l’intervento della Digos, ogni qual volta l’opinione altrui si discosta troppo dalla “linea”. Lo dice con pacatezza ma in maniera straordinariamente chiara e didattica, l’insegnante. Insegnare significa abituare i propri allievi a ragionare, a formarsi delle opinioni fondate su più fonti. Abituarli a leggere, soprattutto (udite udite) libri e giornali, preferibilmente di orientamento diverso. Per questo, spiega sempre la prof, il lavoro per la Giornata della memoria era stato preparato in classe con incontri e discussioni, durante le quali tra i ragazzi sono emersi (evviva) anche orientamenti molto diversi. Questo deve fare chi ha in mano la formazione “dei giovani italiani e delle giovani italiane”, per dirla in un modo che possa piacere alla linea e ci eviti la censura.
Non dovremmo nemmeno essere qui a discuterne: un insegnante deve essere responsabile delle opinioni dei propri alunni? Dovremmo piuttosto essere felici, tremendamente felici, che nelle scuole italiane ci siano studenti che hanno opinioni che si sono formate grazie al lavoro e alle letture, grazie allo studio e alle discussioni, magari accese, dentro alle loro classi. Anche se le loro opinioni non ci piacciono.
Se dimentichiamo questo, se una vicenda come questa andrà a spegnersi come tutte le altre, allora vorrà dire che siamo andati davvero troppo oltre.
Riproduzione riservata