Crisi e proteste in Marocco. Quindici mesi dopo l'approvazione della nuova Costituzione (1º luglio 2011), le speranze di cambiamento suscitate, prima, dalle proteste di piazza e, poi, dalla vittoria degli islamici del Pjd{C} (parti de la Justice et du Développement) alle elezioni legislative del novembre 2011, sono lentamente naufragate in Marocco. Le cause sono individuabili sia nel peggioramento delle condizioni socio-economiche di larghi settori della popolazione, sia nell’incapacità dell'esecutivo Benkirane a non aver dato seguito alle promesse elettorali in tema di giustizia sociale e di contrasto alla corruzione.
Una recente statistica del ministero degli Interni marocchino rivela che quasi giornalmente nel Paese migliaia di attivisti per i diritti civili, sindacalisti e gente comune scendono in piazza per protestare contro i mali cronici della società marocchina: corruzione, alto costo della vita, impoverimento delle fasce più deboli della popolazione e, ancora, forte accentramento di tutti i poteri dello Stato nelle mani del sovrano. Le proteste non riguardano solo le città, ma anche, e soprattutto, le campagne – circa il 40% della popolazione marocchina –, il principale nucleo socio-culturale dell'identità berbera (amazigh). È indubbio che le riforme intraprese negli ultimi anni dai vari esecutivi succedutisi al potere abbiano garantito una certa modernizzazione del Paese, ma queste non hanno mai avuto quella forza dirompente per scardinarne realmente la struttura di governo feudale e tribale (Makhzen).
Come dimostrano i recenti dati diffusi dal ministero delle Finanze nazionale, lo stato di salute dell'economia marocchina è poco incoraggiante: il Pil è in perdita nel 2012 di quasi tre punti percentuali, a causa di un calo nella produzione agricola e nella domanda estera, specialmente europea; il tasso di disoccupazione supera il 9,9% (con quella giovanile che ha sfondato il 40% e quella femminile che rappresenta il 60%); l'inflazione ha raggiunto il 5% e l'indice di povertà colpisce il 28% della popolazione. A peggiorare la situazione socio-economica nazionale incide anche la dipendenza energetica del Paese dalle risorse petrolifere importate: il 95% del fabbisogno energetico nazionale dipende dal gas e dal petrolio proveniente dai vicini Paesi dell’area. Tale aggravio fiscale, inevitabilmente, si ripercuote anche sul prezzo dei cereali, con grano, orzo e mais, in aumento rispettivamente del 15%, 20% e 45% in confronto al 2011.
Sulla base di questi dati macroeconomici, il governo per contrastare la crisi ha studiato tutta una serie di misure utili alla ripresa del Paese: provvedimenti in materia di Welfare (come l’aumento dei salari minimi e l’incremento dei redditi fino al 40% in cinque anni), di commercio internazionale (come la nuova legge sugli investimenti diretti esteri e gli accordi di cooperazione economica regionale con i Paesi del Sahel e del Maghreb), nonché misure di carattere burocratico-amministrativo, necessarie a snellire e a rendere più efficiente la macchina produttiva statale.
Ma i nodi principali che l'esecutivo Benkirane dovrà affrontare saranno lo sviluppo di una struttura economica maggiormente diversificata e la riduzione della dipendenza energetica del Marocco dagli idrocarburi di importazione. Nel primo caso, il Paese ha una struttura economica ancora troppo legata, sia per entrate, sia per occupazione, ai tradizionali settori agricolo e turistico, i quali, pur essendo in perdita, rimangono i principali comparti nazionali, contribuendo rispettivamente al 15% e al 10% del Pil nazionale. Per ridurre la domanda di elettricità, il governo sta tentando di investire ingenti risorse in progetti di energia rinnovabile, soprattutto nell’eolico e nel solare, come dimostrano i progetti Desertec e la green city di Salè.
Alla luce del fragile contesto economico e sociale marocchino, il rischio è che queste misure si mostrino come dei semplici palliativi, utili a placare la rabbia popolare e suscettibili, invece, di aggravare ulteriormente le casse statali. Pertanto, sarà importante comprendere come ed entro quanto tempo il governo reperirà le risorse necessarie allo sviluppo del Paese, senza gravare sui conti pubblici e alimentare, quindi, nuove e più pericolose tensioni sociali.
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