Nel suo ultimo libro, Ruling Ideas: How Global Neoliberalism Goes Local (Oxford University Press, 2016), Cornel Ban si prefigge l’arduo compito di spiegare i meccanismi attraverso i quali le idee neoliberiste vengono trasmesse dai libri di testo alla realtà pratica delle politiche pubbliche. Per fare ciò Ban esamina quelli che chiama i “traduttori locali” – politici, economisti, politologi – che interpretano la teoria economica e la adattano alle varie realtà nazionali. Il libro si lega alla tradizione politologica del neoistituzionalismo, cercando di sfruttare i punti di forza di tutti e tre i suoi filoni principali, quello storico, quello razionalista e infine quello sociologico.

L’autore sottolinea l'importanza dell’eredità storica che scandisce il ritmo della transizione al neoliberismo. In particolare, la dimestichezza dei politici locali con la teoria neoliberista moderna dipende dal grado di libertà intellettuale concessa dallo Stato. Inoltre, i tempi e la profondità di integrazione dei traduttori locali con il paradigma neoliberista determina la loro indipendenza nei confronti di tale paradigma. Applicando le teorie sulle “ecologie professionali”, Ban dimostra che la capacità di azione dei traduttori locali è influenzata dalle risorse ideazionali e istituzionali fornite da organizzazioni internazionali, come la Banca mondiale e il Fondo monetario, e dalle loro relative reti intellettuali. Infine, il contesto istituzionale gioca un ruolo fondamentale: sia la coesione delle istituzioni nazionali, sia l’impatto delle organizzazioni internazionali plasmano le capacità e i punti di vista dei traduttori locali.

Affinché un sistema ibrido locale possa definirsi di ispirazione neoliberista, deve attenersi a tre obiettivi: la credibilità presso i mercati finanziari, l’apertura agli scambi commerciali e finanziari e la salvaguardia della competitività. Ban prende come punto di partenza l’idea polanyiana che i mercati devono essere “incorporati” per garantirne la stabilità – ossia che ci deve essere un compromesso tra mercato e ordine sociale. Questo compromesso viene specificato in vari modi in un certo contesto nazionale, determinando così la varietà di neoliberismo adottata.

Da un lato, i compromessi possono essere ottenuti attraverso politiche di distribuzione del reddito verso il basso, assicurando così i più deboli contro le dislocazioni di mercato. Sono, questi, esempi di “neoliberismo incorporato”, in cui lo Stato rafforza la tassazione progressiva e investe nel Welfare. Dall’altro lato, esiste un compromesso opposto, in cui opportunità e risorse vengono redistribuite verso l’alto, a discapito dei meno abbienti. In questo caso lo Stato interviene attuando politiche di tassazione regressiva, indebolendo i sindacati e creando nuovi mercati attraverso la privatizzazione della sicurezza sociale. Secondo l'autore, questi sono esempi di “neoliberismo disincorporato”.

Ban testa i due tipi di regime sulla Spagna e la Romania, due casi con notevoli differenze nell’integrazione delle élite politiche nelle reti neoliberiste internazionali (profonda e graduale in Spagna; superficiale e rapida in Romania), nell’influenza delle organizzazioni internazionali (limitata in Spagna; sotto i diktat del Fondo monetario internazionale e dell’Unione europea in Romania) e nella coesione istituzionale nazionale (unitaria e continuativa in Spagna; frammentaria e sporadica in Romania).

L'autore fornisce un resoconto dell’evoluzione del pensiero neoliberista nei due Paesi dal dopoguerra. Se il franchismo era aperto allo studio di dottrine economiche eterodosse, quali il neoliberismo, il sultanismo di Ceausescu si chiuse su se stesso dopo la crisi del debito del 1981. Se durante la transizione alla democrazia i neoliberisti spagnoli avevano accesso alle istituzioni chiave (accademia, Banco de España e governo), in Romania la professione economica aveva un’influenza molto limitata. Se nel periodo post-Franco, Felipe González creò un ambiente istituzionale coeso, solo tre governi rumeni (Văcăroiu nel 1992-1996, Năstase nel 2000-2004, Boc nel 2009-2012) lo furono.

La profonda integrazione degli economisti spagnoli nel discorso neoliberista globale ha dato loro la possibilità di testare i suoi limiti, innestando così idee locali che conciliano elementi socialdemocratici e ordoliberali. Il risultato è un regime neoliberista incorporato, in cui il rigore macroeconomico e la deregolamentazione coesistono con politiche di tassazione progressiva e di Stato sociale. Al contrario, la superficiale integrazione dei politici rumeni non prevedeva tale margine di manovra: democratizzazione e neoliberismo divennero un tutt’uno; lo Stato cessò di giocare un ruolo chiave nella difesa contro le dislocazioni di mercato e la Romania sviluppò un modello basato su investimenti e finanza estera e sull’emigrazione di massa.

Il messaggio chiave del libro è che “invece di essere uno stretto vestito preconfezionato, il neoliberismo è un abito fatto su misura il cui tessuto assorbe le sfumature locali”. Con la sua capacità di assorbire le idee dei suoi oppositori, il neoliberismo è sopravvissuto anche alla crisi finanziaria globale, come dimostrano le risposte spagnola e romena. Il governo socialista di Zapatero ha difeso l’orientamento socialdemocratico dell'economia spagnola progettando un pacchetto di salvataggio keynesiano. Solo più tardi, quando il disastro delle cajas è divenuto evidente, l’esecutivo conservatore di Rajoy ha abbracciato la deregolamentazione del mercato del lavoro e i tagli al settore pubblico, sotto la pressione della Bce e dei mercati finanziari.

I politici romeni, per contro, hanno intensificato ulteriormente le politiche di austerità, accusando apertamente il Fmi di simpatie socialiste. Resistendo eroicamente a qualsiasi moderazione, l'economia romena ha mantenuto un mix non invidiabile di successi libertari (flat-tax) e neoliberismo, sia sperimentale (pensioni privatizzate) sia ortodosso (deregolamentazione del mercato del lavoro, targeting sociale, privatizzazioni di massa).

 

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