Il lancio di banane al ministro della Repubblica Cécile Kyenge è solo l’ultimo episodio che fa da indicatore per valutare il livello d’inciviltà raggiunto dal nostro Paese. Non ci sono mezze misure: ci riempiamo la bocca di parole apparentemente piene di senso ma non ne conosciamo il valore. Inutile continuare ancora a discutere di diritti solo come espressione di domande individuali. Occorre invece insistere sul concetto di cittadinanza e sui doveri di solidarietà che esso porta con sé, che costituiscono l’altra faccia della libertà. Doveri di appartenenza a una comunità politica, che abbiamo dimenticato, presi da una vertigine egotistica nella quale stiamo precipitando senza rendercene conto. In una comunità politica contano i valori che uniscono, non le rivendicazioni che dividono. I diritti fondamentali, da pretese di inclusione sociale, stanno diventando strumenti di esclusione e di divisione. La colpa non è dell’ignoranza diffusa, però: è piuttosto di chi fa “cultura” delle libertà senza senso di appartenenza a un comune destino; di chi enfatizza il momento della scelta individuale, dimenticando che ogni persona è necessariamente un “essere situato”; di chi esalta l’autodeterminazione senza considerare, nella polis, l’altro da sé. Proprio questo significato di profonda condivisione di una comune esistenza politica sta alla base dell’idea di nazione, sulla quale ha tanto insistito Ernest Renan. In altro modo, possiamo ricorrere al concetto onnicomprensivo di libertà-eguale, dove il mio diritto ha senso non in sé, ma solo insieme al riconoscimento di un eguale diritto dell’altro.
Un caso ormai eclatante e insopportabile di negazione dell’eguale libertà riguarda i gay: non ci sono ragioni, neppure costituzionali, che impediscono il pieno riconoscimento dei diritti degli omosessuali, in primis quello al matrimonio. Neppure l’articolo 29 della Costituzione è un ostacolo insuperabile. Lo è, purtroppo, per il nostro inconcludente Parlamento. Ma solo una politica cha ha completamente abdicato alla propria funzione può continuare a ritardare una modifica costituzionale che è espressione di una cultura finalmente adeguata ai nostri tempi. In altri Paesi di questi temi si discute, animosamente certo, ma poi si decide. Nel nostro Paese una discussione seria neppure inizia. Il limite è proprio quell’idea zoppa di libertà che esalta solo il proprio ego; quell’idea che spesso viene fatta coincidere con una pretesa opinione di maggioranza da imporre perciò alla minoranza, ma che dimentica l’esigenza imprescindibile di considerare tutti gli individui parte di una medesima nazione.
È bene che il governo delle larghe intese approfitti della storica occasione che gli viene offerta dalla convergenza di opposte opzioni politiche: non per rinviare ciò che non può più attendere risposta, ma per affrontare con decisione questioni che stanno al cuore di una autentica cultura per una cittadinanza inclusiva.
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