Lo scandalo europeo conosciuto al pubblico come “Qatargate” ha messo in discussione le basi etiche del funzionamento del Parlamento europeo (Pe) e dell’intera Unione. Nel dicembre 2022, l’allora vicepresidente del Pe, Eva Kaili, e alcuni eurodeputati, ex-deputati e membri dello staff parlamentare sono stati accusati di avere ricevuto tangenti per favorire gli interessi del Qatar e del Marocco nel contesto della Coppa del mondo maschile Fifa 2022. Accanto alle sue evidenti componenti e implicazioni legali, la vicenda interroga sulla qualità etica della condotta dei membri del Pe e sulla vulnerabilità dei ruoli istituzionali all’azione delle lobby e dei gruppi di interesse.
Gli scandali finanziari e i conflitti d’interesse non sono certo nuovi nella storia delle istituzioni europee. Il Qatargate, tuttavia, disegna il quadro di istituzioni che offrono, attraverso il sistema delle lobby, ghiotte opportunità ai governi stranieri che cercano canali di influenza eccedenti i rapporti diplomatici ufficiali. Il Qatargate ha funzionato come cartina al tornasole dello stato patologico avanzato di questo sistema; esso ha mostrato le debolezze strutturali generali e radicate nelle pratiche istituzionali, tanto da scuotere le fondamenta delle credenziali dell’azione istituzionale nel suo complesso.
Ancor più preoccupante è il tu quoque con il quale il Qatargate mette in discussione le credenziali etiche della Ue quale regista dell’azione politica degli stati membri. La Ue ha più volte rivendicato questo ruolo, ribadendo l’importanza della qualità della Pubblica amministrazione per la crescita economica e il benessere sociale; propugnando una legislazione antiriciclaggio e, non ultimo, introducendo meccanismi di condizionalità che bloccano i finanziamenti in casi di corruzione. Ma le istituzioni Europee sono all’altezza degli standard di condotta che impongono agli stati membri?
Un’analisi del Qatargate consente di mettere a fuoco come la minaccia della corruzione alle pratiche di funzionamento della UE proviene in primis dal suo interno. Riconoscere questa condizione di vulnerabilità istituzionale è importante da un punto di vista diagnostico e terapeutico.
Pensare il Qatargate come un “incidente di percorso”, che può essere sistemato rapidamente con soli strumenti legali per rimuovere quelle poche mele marce “che hanno messo a rischio il buon lavoro di tanti”, per dirla con le parole della Commissaria Ylva Johansson, significa rimanere sulla superficie del problema. Mentre le indagini si allargano e includono anche la cosiddetta “Italian Connection”, lo scandalo rivela importanti relazioni con regimi repressivi intrattenute non solo da membri del Pe e assistenti parlamentari attivi nella difesa dei diritti umani, ma anche da Ong umanitarie con accesso privilegiato al sistema delle lobby. Lungi dall’essere un’azione sporadica, le tangenti, il traffico di influenze e il riciclaggio sono sintomatici di una patologia recidivante del sistema lobbistico di Bruxelles.
Preoccupata per le possibili disastrose conseguenze in termini di fiducia nelle istituzioni europee, la presidente del Pe Metsola sta pianificando un’ambiziosa serie di riforme anticorruzione. Fra le prime proposte figurano l’introduzione di un organismo di controllo etico esterno, di strumenti di azione legale e il rafforzamento delle misure di trasparenza. L’idea di fondo sembra essere che le misure di controllo interno e gli appelli alla responsabilità istituzionale non siano adatte a proteggere le pratiche di funzionamento della Ue dal rischio di corruzione, dalle pressioni delle lobby e degli interessi economici terzi.
Sicuramente le misure legali e di sorveglianza esterna forniscono importanti strumenti di supporto per l’azione istituzionale. Tuttavia, delegare la responsabilità principalmente a organi di controllo esterni e autorità legali rischia di aggravare le condizioni patologiche della corruzione. In particolare, la terapia proposta da Metsola comporta due tipi di rischio. Da un lato, si rischia che le regole e il controllo esterno vengano percepiti come una “camicia di forza” da eludere; dall’altro lato, c’è un rischio relativo al disimpegno etico dei funzionari europei. Per comprendere questi rischi e le loro implicazioni terapeutiche, serve un chiarimento preliminare sulla natura della corruzione delle pratiche istituzionali.
A grandi linee, la corruzione è una sorta di deficit di responsabilità. Nelle istituzioni pubbliche, in genere, la corruzione si manifesta quando i funzionari usano il potere loro affidato in modi che non sono giustificabili come coerenti al mandato associato al loro ruolo istituzionale. Come nel caso del Qatargate, la corruzione non implica necessariamente la violazione formale di norme legali, come invece nei casi di frode o di commistioni con la criminalità organizzata. Chiaramente un eurodeputato non ha e non deve avere mandato di utilizzare potere pubblico per favorire gli interessi di un paese specifico (soprattutto in cambio di tangenti!). Ma non tutti i casi di corruzione prendono questa forma. Per esempio, sembra difficile valutare con i soli strumenti del diritto casi di corruzione legati al nepotismo (che non sempre è legalmente normato), o del traffico delle influenze, soprattutto quando non è coinvolto denaro, ma favori personali.
Il primo rischio è, dunque, quello di un sistema anticorruzione fatto di provvedimenti incompleti e parziali. Accanto ai profili legali, la corruzione e l’anticorruzione sono anche, e soprattutto, una questione di etica istituzionale, che mette in discussione i modi in cui gli stessi funzionari intendono il proprio ruolo all’interno dell’istituzione. Le regole che governano l’operato dei funzionari pubblici sono tipicamente formulate in modo generico e la loro attuazione richiede interpretazione e implica una certa discrezionalità. Per quanto, dunque, tali regole formali possano essere ben congegnate e monitorate, se i funzionari pubblici non sviluppano un atteggiamento pro officio quando interpretano le regole istituzionali ed esercitano la discrezionalità associata al loro ruolo, la corruzione dilaga e diviene un potente nemico interno delle pratiche di funzionamento delle istituzioni.
Adottare un atteggiamento pro officio significa, per i funzionari pubblici, prendere coscienza di essere compartecipi dello stesso sistema istituzionale. Le regole non sono una camicia di forza da eludere, ma strumenti per assicurare lo svolgimento dell’azione istituzionale, rispetto alla quale i funzionari pubblici possono avere successo o fallire solo insieme. Per esempio, la gestione dei rapporti con le lobby non può soltanto essere affrontata per mezzo dell’inasprimento dei sistemi di sorveglianza esterni e dei regolamenti. Essa sollecita, anche e soprattutto, la riflessione congiunta dei funzionari in merito alle pratiche di condotta concrete e alla necessità di un’azione di sostegno reciproco, soprattutto quando si tratta di ruoli particolarmente esposti alla corruzione.
Il Qatargate suggerisce un’importante lacuna in seno alle istituzioni europee
Secondo questa logica, l’anticorruzione dovrebbe comprendere, per esempio, un programma di formazione etica dei funzionari pubblici, con l’obiettivo di promuovere un atteggiamento autocritico nei confronti delle regole di mandato e dell’uso del relativo potere di ufficio. Una tale formazione dovrebbe essere incentrata sulla responsabilità di funzione, cosi che i funzionari pubblici esercitino il proprio potere in modo più consapevole dei rischi e delle misure di protezione necessarie. In questo senso, il Qatargate suggerisce un’importante lacuna in seno alle istituzioni europee. Se genuine, le prime reazioni di stupore, che hanno liquidato l’intera vicenda come una questione di poche mele marce, suggeriscono una scarsa consapevolezza da parte degli europarlamentari delle dinamiche istituzionali e dei relativi rischi. I richiami alla “libertà di mandato” e alla riservatezza, spesso invocate dagli eurodeputati come misure di salvaguardia del proprio ruolo politico, possono rivelarsi di ostacolo alla costruzione di un sistema di responsabilità interna.
Questa riflessione è utile per mettere a fuoco il secondo rischio legato a un’azione di anticorruzione che impiega solo strumenti legali e di monitoraggio esterno. Quando le regole formali sono coercitivamente imposte e riducono eccessivamente i margini di discrezionalità dei funzionari, l’anticorruzione finisce per irrigidire l’azione istituzionale e comunica una certa sfiducia nei confronti dei funzionari stessi (che può portare a preoccupanti profezie che si autoavverano).
La discrezionalità è, invece, una condizione di fondo dell’azione istituzionale, che va accettata, compresa e soprattutto esercitata con consapevolezza. Esercitare la funzione pubblica in modo responsabile richiede che i funzionari comprendano che la qualità etica e l’efficacia dell’azione istituzionale è soprattutto nelle loro mani e richiede il loro impegno critico e consapevole.
Rivedere i codici di condotta etica dei funzionari pubblici ha senso solo se le riforme sono indirizzate a migliorare le interazioni interne ed esterne (per esempio, con le lobby)
Cosi, rivedere i codici di condotta etica dei funzionari pubblici ha senso solo se le riforme sono indirizzate a migliorare le interazioni interne ed esterne (per esempio, con le lobby). Non c’è bisogno di un ennesimo catalogo di regole che possono essere evase con una meccanica conformità. Invece, se redatti in modo partecipativo, i codici etici potrebbero divenire vere e proprie carte costitutive delle istituzioni ed espressione dell’autocomprensione dei funzionari come gruppo di agenti istituzionali, reciprocamente responsabili della qualità etica della loro istituzione e della condotta dei propri colleghi. L’anticorruzione assumerebbe, cosi, i contorni di una pratica costante e istituzionalizzata invece che quelle di un’azione emergenziale ad hoc e principalmente mirata a rassicurare l’opinione pubblica.
Un insegnamento importante che possiamo, allora, trarre dal Qatargate è che le riforme anticorruzione dovrebbero partire dalla considerazione che la corruzione è un nemico interno del buon funzionamento delle istituzioni. Le risorse per smascherare e combattere questo nemico possono e devono, dunque, venire dall’interno delle istituzioni, la cui azione dovrebbe essere sostenuta da un’etica istituzionale improntata alla responsabilità e al sostegno reciproco dei funzionari.
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