Nel dibattito pubblico di questi mesi è entrato il tema delle tasse su ricchezza e successioni. Enrico Letta, segretario del più importante partito del centrosinistra, nei giorni scorsi ha proposto di intervenire proprio sulle imposte che gravano su eredità e donazioni per finanziare un sostegno economico ai giovani. Mario Draghi ha risposto immediatamente, dicendo che non è questo il momento di chiedere soldi ai cittadini (ce ne sarà un altro, più avanti?). Senza entrare nel merito dell’obiettivo, ma solo dello strumento, possiamo chiederci come mai un capo del governo risponda così.

Forse, si riferisce alle numerose famiglie colpite da questo duro anno di pandemia. Magari, ha in mente una coppia di settantenni in pensione che ha appena finito di pagare il mutuo acceso 25 anni fa per acquistare la casa in cui vive. Li immagina finalmente tranquilli, con la pensione e una casa di proprietà che ora vale circa 200 mila euro e garantisce loro una certa sicurezza. Sapendo come vanno le cose di questi tempi, probabilmente immagina che i due pensionati non abbiano molti risparmi da parte, poniamo due conti correnti con circa 20 mila euro e un’automobile. Siamo in Italia, e quindi se hanno figli che faticano ad arrivare a fine mese li aiutano, anche se ormai fuori casa. Il primo figlio lavora nella Pubblica amministrazione, ha una moglie e un figlio. Ha appena acceso un mutuo, e lo ha fatto anche grazie all’aiuto dei genitori. Il secondo figlio, invece, magari vive da solo, in affitto, e fino al 2020 lavorava per una società di servizi con un contratto a termine. Adesso però, a causa della pandemia, ha perso il lavoro. Due situazioni non particolarmente «agiate». Ma quando i genitori moriranno, potranno contare su una casa in eredità, forse anche su un’automobile; e, se i genitori saranno stati oculati nelle spese, anche sui soldi che hanno risparmiato. E questo avverrà, con le leggi attuali, senza pagare nulla allo Stato. In molti ritengono che questo sia giusto e sacrosanto.

In effetti, però, l'imposta di successione nel nostro Paese non si applica neppure quando in eredità ci sono patrimoni ben più ingenti e situazioni di agio economico. Draghi potrebbe pensare allora a un’altra coppia di pensionati, ma questa volta immaginarli in una casa prestigiosa del valore di 500 mila euro, magari con una seconda casa del valore di 200 mila euro e conti correnti bancari e investimenti per 300 mila euro. Anche in questo caso i figli, al momento di ereditare, non pagherebbero un euro allo Stato.

Lo scandalo suscitato dalla proposta di Enrico Letta dice molto del tema impronuciabile: si potrebbe intervenire sui grandi patrimoni per redistribuire la ricchezza, ma spesso nemmeno a sinistra si è osato neppure sfiorare l'argomento

Inizierebbe a versare qualcosina, ma si parla dello 0,6% appena, chi ereditasse – oltre al patrimonio della seconda coppia più benestante – una terza casa del valore di 180 mila euro. In questo caso, allora, a fronte di un'eredità complessiva di 1 milione e 180mila euro, si dovrebbero versare allo Stato 7.200 euro. Qualcuno potrebbe pensare che neppure questo zero virgola sia giusto. Probabilmente sono di questo avviso molti di quelli che, conti alla mano, si troverebbero a dover pagare l'imposta di successione per ereditare.

Ma quante sono in Italia le famiglie che hanno un patrimonio netto che supera il milione di euro? Una stima generosa è di circa 700 mila nuclei, più verosimilmente 500 mila. Sono tanti, sono pochi? Conviene, per giudicare, metterli in relazione con il totale delle famiglie presenti nel nostro Paese, che sono circa 25 milioni e 700 mila. Oppure lo si può confrontare con il numero di famiglie che si trovano in povertà assoluta, oltre 2 milioni. Va infatti ricordato che in Italia le famiglie che non sono in grado di pagare per il cibo, le spese per la casa e altri servizi considerati essenziali per sopravvivere sono quattro volte il numero di quelle che dispongono di oltre un milione di euro di ricchezze.

Al di là della posizione che ciascuno può legittimamente avere sull'imposta di successione, si deve ammettere che questo è uno scenario di grave disuguaglianza. E tuttavia la proposta di Letta non andrebbe a incidere neppure su tutto quel gruppo di famiglie con patrimoni superiori al milione di euro, perché limitando la misura come affermato ai lasciti superiori ai 5 milioni, di fatto andrebbe a incidere su una quota di popolazione pari all’1%.

Per avere un’idea di cosa questo significhi pensiamo di nuovo a una coppia di settantenni in pensione. Stavolta, però, non possiedono due o tre case, ma dieci del valore di circa 400 mila euro ciascuna. Per arrivare a 5 milioni di euro, aggiungiamo 1 milione di euro in conti correnti, obbligazioni e azioni. Una condizione di estremo benessere, che si manterrebbe certamente tale anche se si decidesse per una tassazione più incisiva, come quelle attualmente in vigore in Francia, Germania o Regno Unito che possono raggiungere il 50% anche in caso di patrimoni ben più bassi.

La proposta andrebbe a incidere su quel gruppo di famiglie con patrimoni superiori ai 5 milioni di euro. In altri termini, riguarderebbe di fatto una quota di popolazione pari all’1% del totale

Perché allora molti si dicono contrari alla proposta di Letta, che alla luce di questi dati potrebbe essere definita addirittura tiepida? La secca chiusura del presidente del Consiglio sembra configurarsi come una presa di posizione a favore dei più ricchi. Così come era già capitato qualche mese fa di fronte alla proposta di introdurre una patrimoniale di scopo, le voci di molti politici italiani sembrano alzarsi per mantenere intatte le ricchezze che si trasmettono da una generazione all’altra. Il premier dice che non è il momento di chiedere dei soldi ai cittadini, ma questa dichiarazione contribuisce a sostenere una visione delle tasse negativa e parziale. Le tasse non sarebbero altro che una privazione. Tassare i ricchi viene visto come una appropriazione – per molti indebita – dei frutti del successo. In realtà, se fosse in vigore un contratto sociale equo, tutti dovremmo contribuire al finanziamento del Paese. Si pagano le tasse per far funzionare la macchina pubblica. Senza prelievi fiscali, infatti, non ci sarebbe lo Stato e alcun servizio pubblico. È un principio sancito chiaramente dalla Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».

Quando si afferma che non è il momento di chiedere soldi ai cittadini si trascura la questione della capacità contributiva. I soldi, infatti, sono continuamente chiesti a tutti i cittadini di uno Stato, direttamente o indirettamente. Pensiamo all’Iva, che grava sugli acquisti di tutti i cittadini senza nessuna distinzione in base alla condizione economica: un’imposizione identica sia per le famiglie povere sia per quelle con un patrimonio di oltre 1 milione di euro. Il che appare del tutto contrario al principio in base al quale occorrerebbe tenere conto della capacità contributiva delle persone; ma soprattutto è alla base della riproduzione delle disuguaglianze: ricchi e poveri non solo rimarranno tali, ma la distanza tra loro aumenterà nel tempo. Aumentare le imposte sulle successioni significa invece andare nella direzione contraria: considerare maggiormente la capacità contributiva e iniziare a porre un freno all’aumento della disuguaglianza.

In questa prospettiva – e su questo occorre ragionare in relazione alla proposta di Letta – andrebbero pensati interventi strutturali e non una tantum. Interventi che considerino la tassazione sui patrimoni non solo al momento di ricevere eredità e donazioni ma anche nel momento in cui sono formati. Ma soprattutto interventi che considerino che gli interessi particolari dei più ricchi non possono cancellare il dover chiedere di contribuire in base alle proprie capacità. C’è da essere d’accordo con Draghi a metà, quindi: non è il momento di chiedere soldi a tutti i cittadini indistintamente, ma a qualcuno che può pagare senza alcuno sforzo sì.