Oltre 73 mila iscritti alla «piattaforma Rousseau» hanno cliccato «sì» al Conte bis e così oltre 60 milioni di italiani avranno un governo. Il giorno prima della votazione, Luigi Di Maio aveva motivato la base digitale con queste parole: «Il mondo aspetta questa espressione democratica del vostro voto per conoscere il futuro dell’Italia». Pubblicando gli esiti della consultazione, il blog delle stelle ha definito la giornata «il record mondiale di partecipazione ad una votazione politica online in un solo giorno». Dinanzi a queste affermazioni abbiamo due possibilità.

Opzione facile: considerare questo procedimento decisionale una farsa propagandistica di un partito che ha bisogno di perpetuare il mito fondativo della democrazia diretta proprio nel momento in cui si integra definitivamente nelle logiche del parlamentarismo. Opzione difficile e, se vogliamo, più rispettosa: prendere sul serio il «metodo» del primo partito italiano, accettarne le conseguenze logiche e interrogarsi sulla tensione che questo instaura con i meccanismi della democrazia rappresentativa.

La dirigenza del Partito democratico ha scelto la prima opzione: lasciamoli fare, il sito avallerà la soluzione che serve a tutti e nessuno ne parlerà più. Il calcolo contingente si è rivelato esatto, ma il precedente avallato è grave. Cosa sarebbe accaduto se la maggioranza degli iscritti avesse votato «no» al quesito? Il capo politico e i capigruppo del M5S sarebbero saliti al Colle per comunicare al capo dello Stato che il loro obiettivo non è più fare un governo con il Pd, che Conte non è più il loro nome, che il programma steso in questi giorni non è più ragione di interesse politico? Se è così, con chi ha parlato Mattarella per un mese, a che titolo li ha ricevuti? Possiamo accettare che degli eletti dal demos non siano responsabili della gestazione delle proprie scelte politiche e prendano ordini su quesiti binari da qualche migliaio di anonimi che non rappresentano nessuno e di cui non possiamo verificare l’esistenza? E se a questa procedura si è ricorsi per avallare Conte (un presidente del Consiglio indicato dallo stesso M5S), perché non la si è utilizzata prima che al Parlamento europeo i 14 deputati di Casaleggio fossero determinanti per l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea? Se di «democrazia interna» si tratta, qual è la ratio che guida il ricorso al sito?

Su questi temi i commentatori italiani preferiscono non farla troppo lunga. Nelle ore in cui il futuro politico del Paese era appeso a un sondaggio organizzato da un sito internet plurimultato dal garante della Privacy, l’introduzione di un corpo estraneo in una consolidata prassi di rango costituzionale è stata ridotta alla considerazione che «ogni partito ha una sua organizzazione interna». Nessuno si è posto il problema conseguente, ossia capire qual è l’organizzazione interna del M5S, perché il retropensiero condiviso da quel che resta del sistema politico-mediatico è che non ci sia alcuna organizzazione degna di considerazione, che di pantomima in pantomima il M5S un giorno diverrà «normale». Nel rapportarsi al M5S, i politici, i commentatori e buona parte degli elettori di centrosinistra continuano a utilizzare la sola unità di misura che conoscono: la delusione per la propria parte politica, che se avesse fatto quello che da lei ci si attende allora no, i 5 stelle non sarebbero nemmeno esistiti. Le negoziazioni di questi giorni, partite con la «difesa della democrazia rappresentativa» e finite tacendo l’anomalia al fine di normalizzarla, dimostrano che non si è fatta troppa strada dal celebre «Grillo si faccia il suo partito» di Fassino: si continua cioè a ridurre quello che è divenuto il primo partito italiano a effetto collaterale dei propri demeriti, con il duplice risultato di non conoscerlo (nell’autonomia della sua genesi, dei suoi sviluppi e del suo progetto) e di deresponsabilizzarlo.

Chiediamocelo, una buona volta, e proviamo a prenderlo sul serio: chi è il M5S? Com’è fatto? Che cosa vuole? È senza dubbio difficile rispondere, perché dal primo V-Day a oggi italiani molto diversi tra loro hanno proiettato su questa novità la propria lista dei desideri (è questo il segreto dell’operazione elettorale piglia tutto); ma anche perché il M5S odierno – che dal punto di vista legale è il «terzo» M5S – non è una cosa sola. C’è Beppe Grillo, il frontman stanco, un tempo proprietario del simbolo; c’è il figlio designato da Gianroberto Casaleggio, Davide, che presiede sia la Casaleggio Associati, che cura la comunicazione del Movimento, sia l’Associazione Rousseau, proprietaria della piattaforma omonima; c’è il capo politico Di Maio, votato due volte proprio su Rousseau; ci sono le centinaia di eletti (dai consigli comunali al Parlamento europeo, passando per Camera e Senato) e infine ci sono gli iscritti a Rousseau (a me personalmente non è chiaro con quali tempi e criteri si allarghi questa base: qualcuno potrebbe spiegarmelo?). Insomma, al di sotto di un cartello elettorale di successo, e al di sopra degli elettori che vanno e vengono, si agita un groviglio di attori, posizioni e interessi che hanno appena cominciato a negoziare i loro ruoli reciproci e a strutturare le loro relazioni: la loro organizzazione. Si spiega anche così la volatilità delle scelte (Lega-Pd), dei contenuti (né di destra né di sinistra!) e dei metodi (streaming sì-streaming no) di un gruppo di persone eterogeneo, che sinora ha condiviso unicamente la disponibilità a dire tutto e il contrario di tutto pur di difendere l’alterità del brand che li rende diversamente politici, e che per tutti loro ha funto da autentico ascensore sociale (uno dei pochi in Italia).

Quello che certamente sappiamo, non per trasparenza, ma grazie a inchieste molto, troppo, recenti – il logo Casaleggio Associati compare sui cofanetti degli spettacoli di Grillo dal 2006, ma a “Repubblica” erano troppo impegnati con Berlusconi per fare questa connessione – è che al vertice della piramide oggi c’è, stabile e incontestabile, Casaleggio jr. In estrema sintesi, questa è la situazione: il nuovo statuto del M5S affida la vita informatica del partito alla Rousseau-piattaforma (un sito ideato dalla Casaleggio Associati srl e di proprietà della Rousseau-Associazione). Al netto delle retoriche sulla «partecipazione della comunità», nessuna delle leggi approvate durante il governo Conte-Salvini è stata elaborata sulla piattaforma; viceversa la regola dei versamenti all’Associazione è stata rispettata alla lettera: l’articolo 6 del Regolamento per le candidature alle elezioni politiche del 2018 impegna ogni eletto «a erogare un contributo mensile di euro 300 destinato al mantenimento delle piattaforme tecnologiche che supportano l’attività dei gruppi e dei singoli parlamentari». Un impegno che grazie all’exploit elettorale de 4 marzo 2018 (226 deputati e 112 senatori eletti) nel corso dell’intera legislatura dovrebbe fruttare 6 milioni e 84 mila euro. Stando così le cose, è molto difficile non vedere Casaleggio come un imprenditore a capo di un’azienda che ha inventato un sito che seleziona nuova classe dirigente in cambio di ritorni economici e di relazione. Ed è altrettanto difficile credere che questo suo posizionamento non abbia avuto un peso nella scelta di dar vita al secondo governo Conte, perché qualora si fosse andati alle elezioni meno parlamentari avrebbero significato meno entrate.

Il problema in fin dei conti è tutto qui: al di là della palese inadeguatezza del prodotto informatico Rousseau, quand’anche fossimo dinanzi a una piattaforma sicura, il suo assetto proprietario e l’arbitrarietà del suo utilizzo continuerebbero a confondere gli interessi del movimento politico con gli interessi dell’azienda cui il Movimento ha affidato la sua organizzazione. Con queste premesse, è difficile credere che il M5S possa evolvere in quello che sostiene di essere: un partito trasparente e democratico, in grado di stabilizzare e riabilitare la democrazia italiana. Altrettanto illusoria è la più prosaica speranza di chi da fuori mira a riassorbirlo in una compagine di governo responsabile e di scopo. Paradossalmente, al momento, la miglior garanzia di stabilità che il M5S può offrire al Pd e al Paese è la rendita di posizione di Casaleggio. La notizia di ieri a ben vedere è questa.