Elezioni europee: Repubblica Ceca e Slovacchia. A vent’anni dalla caduta del muro di Berlino e a sedici dalla fine della Cecoslovacchia, nel 2009 la Repubblica Ceca e la Slovacchia sono state protagoniste di due novità importanti:

dal primo gennaio la Praga è per la prima volta presidente di turno dell’Unione europea, mentre la Slovacchia è entrata a far parte della moneta unica. Le analogie, però, finiscono qui e i richiami alle coincidenze della storia non trovano altro riscontro (se non per la bassa affluenza alle urne) nel contesto politico dei due paesi. La Repubblica Ceca ha attraversato un decennio molto complesso, sia da un punto di vista politico che economico. Dopo l’affermazione negli anni Novanta del secolo scorso dell’Unione civica democratica (Ods), il partito dell’attuale presidente della Repubblica, Václav Klaus, tra il 1998 e il 2006 il paese è stato governato dai socialdemocratici (Čssd). Tre anni fa l’attuale leader del centrosinistra, Jiří Paroubek, ha dovuto rassegnare le dimissioni, travolto da una serie di scandali. Le elezioni politiche di quell’anno hanno riportato al potere l’Ods e il suo nuovo leader, Mirek Topolánek, ha guidato due esecutivi, assumendo la presidenza dell’Ue lo scorso gennaio. Nonostante questa responsabilità, però, il suo secondo gabinetto è stato sfiduciato in maggio e ora il paese è guidato da un governo di solidarietà nazionale che porterà la Repubblica Ceca alle elezioni politiche anticipate del prossimo ottobre. L’intero spettro politico è perciò in grande movimento e le elezioni europee non hanno rappresentato un test attendibile in quanto l’astensionismo ha giocato un ruolo determinante. La Repubblica Ceca aveva a disposizione 22 seggi per Strasburgo. Hanno votato il 28,22% degli aventi diritto (decisamente al di sotto del 43,1% della media europea), praticamente la stessa percentuale del 2004 (28,3) e l’euroscetticismo del paese – che ha ratificato per via parlamentare il trattato di Lisbona soltanto lo scorso maggio, ma che ancora attende la firma del presidente Klaus – ha trovato una conferma in questa bassa affluenza. L’Ods ha raccolto il 31,45% dei voti (9 seggi), seguita dai socialdemocratici, con il 22,38% (7 seggi). Al terzo posto si è collocato il Partito comunista di Boemia e Moravia, con il 14,18% (4 seggi), mentre i Verdi, partito di governo nelle coalizioni che hanno sostenuto Topolánek, è precipitato al 2%. Rispetto alle elezioni europee del 2004 l’Ods ha guadagnato un punto e mezzo percentuale, mentre i socialdemocratici addirittura quattordici (dall’8,8% al 22,3%). Secondo alcuni sondaggi, se avesse preso parte più del 30% dell’elettorato, i socialdemocratici sarebbero stati addirittura il primo partito. Così, se alle politiche del prossimo ottobre voterà più del 60% degli aventi diritto, i socialisti dovrebbero aggiudicarsi la consultazione con quasi dieci punti di scarto sull’Ods. Nulla, però, è ancora deciso. Una variabile non ancora controllabile, oltre alla grande crisi economica che sta creando nuove sacche di povertà, è rappresentata da Miroslav Kalousek, ex leader dell’Unione Cristiana democratica (Kdu che assieme al Partito popolare ha totalizzato il 7,64% di voti ricevendo 2 euroseggi). Abbandonata la Kdu, Kalousek fonderà un partito denominato TOP 09 che si collocherà a destra nello schieramento politico nazionale. A differenza di paesi europei, in Repubblica Ceca l’estrema destra non è riuscita a raccogliere alcun mandato. Al di là della retorica che ha accompagnato l’ingresso della Repubblica Ceca e di altri paesi ex comunisti nell’Ue, i problemi legati all’integrazione non sono pochi e il cammino sembra incontrare in questo momento diversi ostacoli.
Per molti aspetti, il discorso che concerne la Slovacchia è diverso, sebbene ci si trovi di fronte alla peggiore percentuale di votanti a livello europeo, il 19,64 (era stato il 16,97 cinque anni fa). Ciò nonostante, non si può assolutamente parlare di paese euroscettico. Dopo il periodo populista di Vladimir Mečiar (capo del partito popolare, L’S-Hzds), contrario all’ingresso del paese nell’Unione, a partire dal 1998 la Slovacchia ha avuto per otto anni al governo il leader dei cristiano democratici, Mikuláš Dzurinda (Sdku-Ds), che ha portato il paese in Europa, dando vita a una serie di riforme economiche iperliberiste, come la liberalizzazione del mercato del lavoro, l’innalzamento dell’età pensionabile e soprattutto l’introduzione della flat tax, una medesima aliquota del 19% per l’Iva, i redditi individuali e quelli delle aziende che ha provocato forti resistenze, ma nello stesso tempo ha dato respiro all’economia del paese. Le elezioni politiche del 2006, però, sono state vinte dal partito socialdemocratico (Smer), guidato da Robert Fico, da allora capo di un Governo di coalizione assieme ai populisti di Mečiar e al Partito nazionale (Sns).
Alle europee la Slovacchia doveva eleggere 13 deputati, che sono stati così ripartiti: al partito di Fico sono andati 5 seggi (32,02% di voti, ne raccolse solo il 16,89% nel 2004); i democristiani di Dzurinda hanno ottenuto 2 seggi (16,99%; stabile rispetto al 2004); due seggi li ha avuti il partito della minoranza magiara (11,34% contro il 13,24% del 2004) e due il Movimento cristiano democratico (10,87% contro il 16,19% di cinque anni fa); un seggio è stato raccolto dal partito di Mečiar (8,98%; era al 17,04% nel 2004) e uno dal Partito nazionale (5,56%). Complessivamente, la coalizione governativa ha avuto 7 seggi, contro i 6 delle opposizioni. I risultati non sono destinati a giocare un ruolo importante nella vita politica del paese. Più rilevante, semmai, la scelta di entrare nell’Euro in un momento di crisi economica come quella attuale: una decisione che si è rivelata positiva, fornendo alla Slovacchia un solido ancoraggio monetario contro le peggiori conseguenze della recessione. Il paese ha dovuto comunque rivedere al ribasso le prospettive di crescita per il 2009, portandole dal 6 al 4%.