La Corte costituzionale non può decidere prima del 24 gennaio. Perché, lo ha spiegato lei stessa con il comunicato stampa del 7 dicembre: occorre dare tempo alle parti interessate di costituirsi nei giudizi pendenti e di presentare memorie.
Qualche dato in più per capire meglio.
Dopo l'approvazione dell'Italicum, i Tribunali di mezza Italia sono stati invasi dai ricorsi di gruppi di attivisti. In ordine sparso, i singoli Tribunali hanno esaminato i ricorsi e, in alcuni casi, hanno deciso di rivolgersi alla Corte costituzionale. I primi a bussare alle porte di Palazzo della Consulta sono stati i Tribunali di Messina e Torino. Quando, lo scorso 19 settembre, la Corte ha deciso di rinviare la propria decisione a dopo il referendum, era sicuramente pronta a esaminare queste due questioni. Intanto, se n'è aggiunta una terza, del Tribunale di Perugia, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 12 ottobre 2016: poiché il termine per la costituzione delle parti è di 20 giorni dalla pubblicazione, le parti del procedimento umbro dovrebbero già essersi costituite.
Ma la costituzione delle parti non è di per sé sufficiente per decidere subito: 1) ogni singola questione è oggetto di un approfondimento accurato da parte del giudice relatore e dei suoi colleghi, e di ampie discussioni basate sui dossier e sulle relazioni predisposte dalla segreteria del relatore; 2) in ogni settimana di lavori collegiali, la Corte esamina numerose questioni, spesso complicate e delicate (anche se magari sono note solo agli addetti ai lavori), sicché i suoi calendari si riempiono presto e solo in parte sono rimodulabili; 3) le parti costituite hanno diritto a un termine di 20 giorni prima dell'udienza per presentare nuove memorie (ad esempio, per replicare agli argomenti esposti dalle controparti all'atto della costituzione).
Del tutto eccezionale è stato il caso del conflitto di attribuzioni presentato dal Codacons il 25 novembre e respinto già il successivo giorno 28: lo stesso ricorrente aveva chiesto una decisione provvisoria, naturalmente anteriore al referendum; soprattutto, questo tipo di giudizio prevede una prima pronuncia interlocutoria, senza contraddittorio, che in questo caso è stata rapidissima e negativa.
Comunque, con il comunicato del 7 dicembre la Corte dà un'informazione in più: c'è un problema di termini (anche) per la costituzione delle parti (oltre che per la presentazione di memorie). Poiché evidentemente non può riguardare i tre giudizi già pendenti, per i quali questi termini sono ormai scaduti, si può dedurre che nuove questioni sempre inerenti all’Italicum siano arrivate a Palazzo della Consulta (probabilmente dai Tribunali civili di Trieste e di Genova): lo sapremo con certezza nei prossimi giorni. Magari saranno simili a quelle già pendenti, ma ciò non vuol dire che non debbano essere esaminate attentamente, riga per riga, parola per parola, e soprattutto nel pieno contraddittorio tra le parti. Questo è il mestiere dei giudici, orgogliosamente rivendicato dalla Corte nel suo comunicato stampa («La Corte costituzionale opera secondo le regole degli organi giurisdizionali») e ancora più necessario quando le questioni sono complesse e di grande impatto. Da una magistratura non si può pretendere di più.
Dalla politica, invece, che segue regole operative differenti, qualcos'altro si potrebbe pretendere: un rapido riesame dell'Italicum. Se ne parla da mesi; i dubbi di legittimità costituzionali sono noti, come noto era il rischio di non avere condizionato l'entrata in vigore della nuova legge elettorale a quella della riforma costituzionale; dopo l'esito del referendum, sono ormai palesi i pericoli di un'asimmetria nel sistema elettorale di Camera e Senato; il Capo dello Stato non avrebbe potuto essere più esplicito. D'altra parte, è il Parlamento che tesse la tela delle leggi, mentre la Corte può solo fare ritagli e rammendi, talora efficaci, ma spesso parziali e limitati.
Invece di attendere l'ennesimo intervento salvifico da parte dei giudici costituzionali - che già, in occasione della decisione 1 del 2014, erano intervenuti sul nefastissimo Porcellum, supplendo ancora una volta alle mancanze dei nostri rappresentanti in Parlamento - la politica potrebbe mettere senno e confezionare un nuovo e più adeguato abito elettorale, per un Paese che ha bisogno di essere ricucito. Se le contrapposizioni di interessi e i veti incrociati lo impediranno, la Corte farà poi quello che potrà e dovrà. Ma la politica avrà fallito una volta di più.
Il 4 dicembre il 60% di coloro che sono andati a votare ha espresso molto chiaramente la propria posizione, le forze politiche tutte, nessuna esclusa, devono tornare a fare il loro lavoro: la Costituzione non si difende solo respingendo le revisioni che appaiono più pericolose, ma, in primo luogo, applicandola con correttezza e senso di responsabilità. Principio negletto da troppo tempo. Serve ripristinarlo al più presto.
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