Due scene significative del recente film di Gabriele Mainetti, Lo chiamavano Jeeg Robot, si svolgono sul lungotevere: il momento della «contaminazione» del protagonista, che ricava i propri superpoteri dalla caduta dentro un bidone di rifiuti tossici nascosto nell’acqua, e quello della rivelazione della sua missione, in conseguenza a una serie di atti estremamente violenti che accadono proprio lungo quelle sponde, tra i muraglioni e il fiume. Questa scelta di sceneggiatura rivela quanto il lungotevere sia percepito come un luogo dove tutto è possibile: se lungo la Senna, la Spree e il Danubio altre capitali europee hanno creato spazi di socializzazione e svago, il lungotevere è quasi una Taz, una zona temporaneamente autonoma, uno spazio di margine e marginalità.
Ma quando e perché si è interrotta la relazione tra Roma e il Tevere? Un’influenza fondamentale è stata esercitata dalla costruzione di muraglioni in travertino, progettati nel 1870 per rispondere a un problema ciclico della città, quello delle piene del fiume. Pochi mesi dopo la breccia di Porta Pia, il 28 dicembre 1870 quella che da lì a poco sarebbe divenuta la nuova capitale del Regno d’Italia aveva subito una grave inondazione. Per farvi fronte, la commissione preposta decise di ampliare e uniformare l’alveo del fiume, eliminare gli ingombri (naturali e artificiali, come alcune antiche rovine; addirittura, inizialmente si pensò di demolire anche l’isola Tiberina) e costruire dei muri di sponda nel tratto urbano che superassero di 1.20 metri l’altezza presunta dell’ultima piena. Per realizzare il progetto vennero eliminati anche i porti sul fiume, tra cui il porto di Ripa grande e il monumentale porto di Ripetta, dal raffinato disegno settecentesco a doppia scalinata curvilinea con emiciclo centrale. I lavori si rivelarono in effetti fondamentali per fare fronte alla piena del 1900 e, dopo mezzo secolo di costruzione, i muraglioni vennero completati nel 1926. Tuttavia, la protezione dai pericoli del fiume significò anche una perdita del legame secolare tra Roma e il Tevere.
Il 21 aprile, in occasione del “natale di Roma” è stato inaugurato un progetto dedicato alla storia della città e realizzato sul tratto di muraglioni posti tra Ponte Mazzini e Ponte Sisto: Triumphs and Laments di William Kentridge. L’artista sudafricano, coinvolto dall’associazione Tevereterno e supportato dalle proprie gallerie, ha disegnato un fregio di 500 metri composto di figure tratte dalla storia della città eterna, dai momenti di gloria fino a quelli più tragici, dal trionfo della bellezza, della potenza e della dolce vita alla Roma fratricida, nera, violenta. Spezzando il filo cronologico e procedendo per relazioni, la storia di Roma prende così le forme della lupa capitolina, di Romolo che traccia il solco con l’aratro e del trionfo di Cesare, del volto estatico della Santa Teresa del Bernini e dei profili di Marcello Mastroianni e Anita Ekberg nella Roma felliniana, di Marco Aurelio e di Mussolini a cavallo, delle spoglie del Tempio di Gerusalemme raffigurate sull’Arco di Tito e del rastrellamento del ghetto il 16 ottobre 1943, della crocefissione capovolta di Pietro, di espulsioni e morti di papi. Il pericolo dell’acqua è rappresentato dalla fuga per la piena del Tevere nel 1937 ma anche dalle donne di Lampedusa che oggi piangono i loro cari. E poi, tre uccisioni, tre corpi a terra: Remo, Moro, Pasolini. Sono più di ottanta le figure della Roma antica, cristiana, barocca e novecentesca disegnate da Kentridge, alcune pensate per essere alte fino a 10 metri, occupando la quasi totalità dell’altezza delle sponde in travertino. Figure a volte non facili al riconoscimento, ma quasi sempre tratte da immagini dell’arte o della cronaca, attingendo alla “memoria visuale” di Roma.
[W. Kentridge, disegno preparatorio per Triumphs and Laments, carboncino su pagine di libro mastro]
Un aspetto peculiare del progetto è quello della tecnica scelta per trasporre i disegni sul muraglioni: una ripulitura selettiva, realizzata in modo non invasivo, della patina biologica di limo e muschi depositata sul travertino nel corso degli anni, ottenendo le figure “per via di levare” o, potremmo dire, di “lavare”, per via dell’uso di semplice acqua. Una modalità che rende il lavoro di Kentridge effimero: il passaggio del fiume, il clima e l’inquinamento ricreeranno nel giro di qualche anno la patina, rendendo le figure sempre meno leggibili, fino al loro completo riassorbimento nel fondo scuro dei muraglioni.
Ma neppure un progetto di ripulitura ha vita facile di fronte alle normative: la parte più difficile del lavoro è stata quella relativa all’ottenimento dei permessi da parte della Soprintendenza, preoccupata che le tecniche del “levare” non fossero lesive dei muraglioni storici. Kentridge si è imbattuto nelle difficoltà che incontrano già da tempo gli artisti che realizzano reverse graffiti o clean tagging: ripulendo muri ingrigiti incontrano l’ammirazione di molti, soprattutto degli ecologisti, ma in assenza di una legislazione che preveda interventi di questo tipo sollevano i timori dei conservatori dei beni culturali (oltre che dei proprietari dei muri).
Triumphs and Laments durante l’inaugurazione si è animato grazie allo spettacolo teatrale, accompagnato da una performance musicale curata da Philip Miller e Thuthuka Sibisi, concepito dall'artista e offerto al pubblico romano, sceso, per due sere, sulle sponde del Tevere. Due cortei, quello dei trionfi e quello dei lamenti, si sono incrociati davanti al fregio, proiettando le ombre di altre figure storiche e simboliche a vivificare quelle emerse dal nero dei muraglioni. Danzatori, cantanti e musicisti, con i loro costumi immaginifici fatti di stoffe colorate e cartone, hanno trasformato i muraglioni nel set di una processione arcaica e allo stesso tempo attuale, intessendo melodie della musica antica italiana colta e popolare con canti provenienti da terre oltre il Mediterraneo, in un intreccio di epoche, esodi, tragedie e speranze. E tra le poche parole riconoscibili, un verso di Rilke: «Questa è la nostalgia: vivere nella piena/e non avere patria dentro al tempo».
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