Tutti presi dalla questione dell’Imu dovuta dalla Chiesa, rischia di sfuggirci la decisione importante, adottata dal Consiglio permanente della Cei, che garantisce a chiunque l’accesso libero e gratuito in tutte le chiese italiane. Novantacinquemila, una più una meno. Si tratta di una «Nota» di carattere normativo che, conformandosi al diritto canonico (canone 1210), al Concordato e alle molte disposizioni dello Stato, pone fine a una sgradevole prassi che, sia pure adottata solo da una sessantina di chiese (solo 45 delle quali di proprietà ecclesiastica), si sarebbe inevitabilmente estesa a molti altri edifici di culto. È la prassi che prevede il pagamento di un biglietto per accedere alla «casa di Dio». La nota ribadisce la «primaria e costitutiva destinazione alla preghiere liturgica e individuale» delle chiese aperte al culto pubblico, sottolineando che tale destinazione è tutelata anche dalle leggi civili, le quali subordinano la condizione di edificio di culto – che tali leggi proteggono in vari modi – all'apertura al culto pubblico del medesimo. Proprio quell’apertura che è venuta a mancare negli edifici che hanno subordinato l’accesso di fedeli e turisti al pagamento di un ticket. Si precisa inoltre che anche in presenza di flussi turistici rilevanti la gratuità dell’accesso debba essere mantenuta, salvo casi eccezionali che gli ordinari diocesani potranno stabilire con opportune motivazioni; importante anche la richiesta ai turisti di visitare le chiese adottando abbigliamenti e comportamenti rispettosi dei luoghi e, soprattutto, un rigoroso silenzio che favorisca il raccoglimento, perché le «case di preghiera» restano tali anche durante le visite.
In questo contesto si specifica inoltre che gli enti proprietari (ecclesiastici o civili), in presenza di flussi turistici elevati, possano contingentare gli ingressi (comunque gratuiti), limitando sia il numero delle persone sia il tempo di permanenza in chiesa (previa comunicazione alle autorità della diocesi).
Molto chiara pure la disposizione conclusiva: «Deve essere sempre assicurata la possibilità dell’accesso gratuito a quanti intendano recarsi in chiesa per pregare», anche se poi, meno limpidamente, si prevede che i residenti nel territorio comunale debbano sempre avere accesso gratuito. Non sono immaginabili insomma agenti o sacrestani che chiedano la carta d’identità per fare entrare in chiesa i residenti, mentre la previsione potrebbe finire per legittimare il biglietto per i non-residenti.
Del tutto condivisibile l’eccezione per le visite turistiche a pagamento di «parti» dei complessi sacri «chiaramente distinte dall’edificio principale […] che deve rimanere a disposizione per la preghiera». Eccezione che esclude con tutta evidenza le destinazioni congiunte («chiesa-museo») che sono state talora adottate, salvi ovviamente i casi di chiese sconsacrate.
Si tratta di una conclusione di grande rilevanza, che non solo ripristina un’antica tradizione italiana, ma stabilisce con categorica certezza che «qualunque pretesa di imporre un ticket di ingresso a una o più chiese è […] contraria a quell’accesso gratuito […] che […] la Cei intende tutelare»; si tratterebbe, quindi, di un «comportamento lesivo di una prerogativa delle persone e incompatibile con i doveri delle comunità cristiane» (per citare l’opinione autorevole di Giorgio Feliciani). Sarà dunque opportuno che i «furbetti del bigliettino» non accampino pretese con ragioni di custodia e sicurezza o con la necessità di trovare fondi per la conservazione e il restauro degli edifici storici. Se la stragrande maggioranza delle chiese italiane non ha avanzato tali pretese significa che i casi di ingresso a pagamento sono in buona sostanza abusivi, mentre la legge numero 222 del 1985 prevede espressamente che le somme (ingentissime) raccolte dalla Chiesa italiana con il cosiddetto «otto per mille» debbano essere destinate in primo luogo alle esigenze di culto della popolazione, tra le quali ovviamente rientrano la costruzione, la conservazione e il restauro degli edifici destinati al culto pubblico.
Per chiudere, va richiamata la «Nota» emanata nel 1957 dalla Congregazione per il culto divino della Santa Sede, secondo la quale le chiese sono luoghi sacri «messi a parte in modo permanente por il culto a Dio […] luoghi adeguati dove gli uomini raggiungono, nel silenzio o nella preghiera, la pace dello spirito o la luce della fede», per cui ogni utilizzo per altri fini «mette in pericolo la loro caratteristica di segno del mistero cristiano», con danni per la fede e la sensibilità del popolo di Dio. Teniamone conto.
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