È un eufemismo dire che l’Europa sta andando male, molto male: nel suo insieme, l’Unione europea, e nelle sue componenti, gli Stati membri. Non c’è nazione che sia libera da difficoltà che minano le sue fondamenta, perfino là dove tutto sembra andare per il meglio sul fronte economico, come in Germania, in Svezia, in Olanda o in Danimarca.

La maggior parte degli Stati membri dell’Est gode di una crescita invidiabile, ma quasi tutti i governi non soddisfano gli ideali di «buon governo»: corruzione, conflitti di interesse, illiberalismo sono le ferite aperte di Paesi la cui transizione democratica è, a dir poco, difficile. Al Nord, le democrazie scandinave, per molto tempo considerate modelli di stabilità, solidarietà e uguaglianza, paradisi della sicurezza e della convivenza pacifica, si scontrano con i populismi sciovinisti: la Svezia dopo mesi è riuscita a stabilire un «cordone sanitario» contro il partito populista dei Democratici svedesi ma il Partito socialdemocratico è condizionato da una parte della destra e dipende dalla «benevolenza» della sinistra radicale. La Finlandia dipende dalla buona volontà dei «veri» finlandesi. E chi avrebbe potuto immaginare che la pacifica Danimarca avrebbe votato a favore della confisca dei gioielli dei rifugiati al loro ingresso nel regno?

Nella parte occidentale del continente, le isole britanniche sono alle prese con le incoerenze di una scelta poco ponderata che pesa non solo sulla Gran Bretagna, ma ha serie conseguenze anche sulle due componenti dell’Irlanda. Il governo olandese è appeso a un filo, un voto di maggioranza, e potrebbe essere scosso alle prossime elezioni del Senato. Il Belgio, sempre più frammentato, è stato negli ultimi tempi governato da un gabinetto fragile, che si è dimesso il 18 dicembre. La Germania riscopre con sgomento che i vecchi demoni del passato non sono stati sconfitti del tutto e che, nonostante la sua invidiabile prosperità economica, gli antagonismi, gli odi e le divisioni sociali sono profondi all’interno dei suoi confini e ben visibili all’esterno. La Germania è tornata ad essere protagonista di un’«egemonia» che pretende di essere pacifica, ma che nei fatti è oggetto di un rinnovato anti-germanismo.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 1/19, pp. 24-32, è acquistabile qui]