Tian'anmen e una primavera da non dimenticare. Il ventesimo anniversario dei tragici avvenimenti che culminarono, tra il 3 e il 4 giugno 1989, nella repressione della protesta studentesca e popolare a Pechino e in altre città cinesi sarà ricordato - come è già avvenuto in passato - in molte parti del mondo, soprattutto in Occidente, ma non in Cina. A Pechino, infatti, il giudizio ufficiale su quelle drammatiche settimane resta legato ancor oggi al comunicato, approvato il 24 giugno 1989 dal Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc), nel quale l’obiettivo finale delle manifestazioni e proteste veniva indicato nel “rovesciare la leadership del Pcc e sovvertire la Repubblica popolare cinese socialista”. E tuttavia, al di là del sostanziale silenzio ufficiale e pubblico che in Cina continua a circondare tali eventi, la gravità delle ferite umane e anche politiche aperte non possono essere dimenticate né sottovalutate, come testimonia tra l’altro il rinnovato appello delle Madri di Tian’anmen, che chiedono instancabilmente di sapere che fine abbiano fatto molti giovani protagonisti del 1989, sollecitando un’indagine ufficiale e la punizione dei responsabili.
Il ventesimo anniversario della “primavera di Pechino” sarà tuttavia, almeno in parte, diverso dagli altri. Infatti, è di questi giorni la fresca pubblicazione di Prisoner of the State: The Secret Journal of Zhao Ziyang. Si tratta della testimonianza dell’allora (1989) segretario generale del Pcc, Zhao Ziyang, che fu allontanato dal potere e posto agli arresti domiciliari con l’accusa di avere simpatizzato con gli studenti e spezzato l’unità del partito. Queste memorie appaiono a distanza di oltre quattro anni dalla morte dello stesso Zhao e sarebbero il risultato di ore di conversazioni con lo stesso, registrate su nastro da uno o più amici fedeli, in seguito fatte uscire clandestinamente dalla Cina e ora, per l’appunto, pubblicate. Le prime indiscrezioni sul libro sottolineano che Zhao, nella sua testimonianza, ribadisce con forza la propria convinzione di avere scelto la via giusta nella primavera del 1989. Egli mette in luce altresì il proprio tentativo estremo – e inutile - di convincere Deng Xiaoping a scartare ogni ipotesi di intervento armato data la gravità della situazione sociale e ricorda i terribili spari che udì, nella notte del 3 giugno, quando era seduto nel cortile di casa con la propria famiglia. Zhao accusa infine i suoi vecchi compagni della dirigenza del partito di essere ricorsi ad ogni mezzo per indebolire la sua posizione politica, utilizzando sistemi e metodi tipici del periodo della Rivoluzione culturale che erano stati banditi da tempo (ad esempio, l’uso massiccio della stampa per screditarlo anche sul piano personale). A parere di Bao Tong, uno dei più stretti collaboratori di Zhao Ziyang, la voce riportata nei nastri è sicuramente quella dell’ex segretario generale. Peraltro, il figlio di Bao Tong, Bao Pu, è stato uno dei curatori e traduttori del volume appena uscito. Le prime reazioni cinesi, affidate a fonti semi-ufficiali di Hong Kong, tendono a confutare ogni ipotesi di revisione degli eventi del 1989 e parlano senza mezzi termini di una campagna occidentale finalizzata a piegare la Cina all’Occidente. Il fatto che sinora non sia comparsa alcuna reazione sulla stampa ufficiale di Pechino farebbe pensare, secondo alcuni studiosi di Hong Kong e Taipei, che su questi temi possa essere in atto una prova di forza in seno alla leadership comunista.
Al di là di ogni dietrologia, l’esperienza di questi ultimi vent'anni dimostra in realtà come ben altre siano le priorità che la dirigenza cinese è chiamata ad affrontare oggi e nel prossimo futuro. Sarà semmai su queste, ed in particolare sulle capacità di governo della crescita e degli squilibri da essa prodotti, che potranno prodursi divisioni anche profonde in seno alla nuova generazione di leader del Partito comunista cinese.
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