Compaoré, l'uomo forte della cooperazione italiana? Ieri è caduto il venticinquesimo anniversario del golpe che ha destituito e ucciso Thomas Sankara, ex-presidente del Burkina Faso, che a lui deve il suo nome, letteralmente “Paese degli uomini integri”. Da allora Blaise Compaoré è alla testa del Paese. Un quarto di secolo, esattamente come Ben Alì. Eppure il “Pinochet africano” sembra godere ancora di tutte le simpatie dell'Occidente: proprio qualche settimana fa, il ministro italiano per la Cooperazione Andrea Riccardi si è pregiato di invitarlo per un saluto onorifico al Forum della cooperazione internazionale lanciato in pompa magna a Milano. Ricordare i trascorsi di Compaoré è un esercizio non inutile per capire in cosa consista esattamente la nebulosa “svolta culturale” vaticinata dal ministro.
Il 15 ottobre 1987 il presidente Thomas Sankara, sette collaboratori e la guardia presidenziale vengono uccisi dai militari d'élite dell'esercito burkinabé. Il corpo viene interrato in fretta e furia: “morte naturale”, cita il referto medico. Per fugare gli immediati sospetti, Compaoré, diretto responsabile della truppa, allude a un “incidente”, ma accusa la “deriva militar-fascista” del sankarismo. Il Burkina Faso è stato in seguito accusato dal Comitato dei diritti umani dell'Onu di rifiutare scientemente di fare chiarezza sulle oscure circostanze dell'episodio.
I primi a riconoscere le nuove autorità di Ouagadougou sono il dittatore togolese Eyadéma e il padre-padrone della Costa d'Avorio Felix Houphouet-Boigny, considerati da Sankara “i lacché locali dell’imperialismo”. Giova ricordare che Houphouet-Boigny era il padrino delle nozze di Compaoré con l'affascinante meticcia ivoriana Chantal Terrasson de Fougère. Si maligna che l'assegnazione della futura ambiziosa Première dame al comitato di accoglienza di Compaoré da parte del protocollo di Yamassoukro non sia stata casuale.
Nel 1989 Compaoré accusa di tradimento i suoi colleghi golpisti Jean-Baptiste Lingani e Henri Zongo, e li fa giustiziare. Desideroso di legittimare un potere di fatto dittatoriale, Compaoré indice delle elezioni nel 1991, che l'opposizione boicotta per protesta. In un clima di terrore, meno del 25% degli aventi diritto partecipa allo scrutinio, che conferma, senza sorprese, la dittatura militare di Compaoré. Al termine del primo settennato, nel 1998, viene ucciso in circostanze misteriose il più noto giornalista del Paese, Norbert Zongo, direttore dell'“Indépendant” e autore di una delicata inchiesta che coinvolgeva François Compaoré, fratello e consigliere del presidente. Di fronte alla deliberata inefficienza della giustizia burkinabé, dal 2001 l'organizzazione Reporter senza frontiere cerca di ricorrere alle vie legali internazionali perché sia fatta chiarezza sull'episodio, in nome del diritto umano alla libertà di espressione.
Sulla base di una lettura artificiosa del dettato costituzionale che egli stesso ha enunciato, Compaoré è stato riconfermato alle presidenziali del 2000, 2005 e 2010, con tassi di preferenze improbabili regolarmente superiori all’80%, che nessun ente internazionale super partes si è dato la pena di certificare. Apprezzato dalla comunità internazionale per la “stabilità” del suo regime, Compaoré è diventato negli anni un broker irrinunciabile per tutti i negoziati di pace della turbolenta regione (Togo 2006, Costa d'Avorio 2007-‘10, e oggi Mali), incondizionatamente appoggiato dalla Francia. Louise Arbour, presidentessa di International crisis group, sostiene però che “Compaoré, militare, golpista e sponsor politico di Charles Taylor non è certo l'uomo più affidabile per predicare la democrazia e promuovere le istituzioni civili”. Egli ha infatti pubblicamente ammesso di aver intrattenuto “relazioni privilegiate” con Charles Taylor, a cui ha fornito “un aiuto multiforme e diversificato” nel corso di una guerra civile in Liberia, che fra il 1990 e il 1996 ha causato oltre 150.000 vittime civili e costretto all'esodo l'80% della popolazione. Compaoré, insieme a Mohamar Gheddafi, è ritenuto responsabile dell'addestramento e dell'armamento, esplicitamente sanzionato dall'Onu, dell’Nplf liberiano di Charles Taylor. Nel 1992, Compaoré ha messo direttamente al servizio del suo protégé 400 soldati, nel tentativo (fallito) di sottrarre la capitale Monrovia al controllo della forza di interposizione multinazionale EcoMoG. La guerra ha tuttavia favorito la predazione di risorse naturali: ferro, diamanti e soprattutto legname, la cui esportazione è triplicata durante il conflitto, raggiungendo le 200.000 tonnellate, due terzi delle quali destinate alla Francia. Numerosi membri del governo burkinabé hanno costruito fortune colossali sulle commissioni versate dai guerriglieri per l'export clandestino di risorse pregiate.
Ad oggi, mentre la popolazione del Burkina Faso è considerata fra le più povere al mondo, penultima per indice di sviluppo umano, con una speranza di vita appena superiore ai 50 anni, Compaoré possiede a titolo personale beni immobiliari stimati per milioni di euro in varie città d'Europa. Il mese scorso, recatosi a Parigi per discutere con Hollande della complessa situazione saheliana, si è trattenuto per tre giorni nella sua villa privata alle porte della capitale, dove ha ricevuto le visite “d'affari” dell'ex presidente Sarkozy, dell'ex primo ministro socialista Rocard, di cui sono note le poco raccomandabili frequentazioni africane, del magnate multimilionario Bolloré e dei dirigenti del gruppo Alcatel.
A fronte del preannunciato crollo di finanziamenti pubblici, Compaoré, nonostante i poco lusinghieri trascorsi, rappresenta quindi il partner strategico ideale per una cooperazione allo sviluppo che anche in Italia sembra destinata a inseguire, e facilitare con opere assistenziali, i flussi d'investimento dei grandi gruppi privati, in ossequio a una teoria vecchia trent'anni che, in Francia come in Usa, ha già dato di sé pessime prove. Sarebbe questa la “svolta culturale” promessa, ministro Riccardi?
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