Questo articolo fa parte dello speciale La guerra in Ucraina
Le terribili notizie che giungono sulle sofferenze della popolazione civile hanno oscurato completamente il quadro generale di questa guerra che, al contrario, dovrebbe essere il piano a cui rivolgere l'attenzione maggiore per essere in grado di capire il conflitto, spiegarlo e, quindi, elaborare proposte risolutive appropriate ed efficaci. Vale la pena provare a osservare questo conflitto attraverso un’inquadratura più ampia che, fino ad ora, non mi pare nessuno abbia ancora adottato.
Per farlo, torna utile citare un volume del 1970, Between two ages: America’s role in the technotronic era. Scritto da Zbigniew Brzezinski che, dal 1977 al 1981, occupò il ruolo di consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente statunitense Jimmy Carter, in questo libro Brezsinski si interrogava sulle sfide che gli Stati Uniti avrebbero dovuto affrontare a cavallo degli anni Ottanta-Duemila nell’ambito della rivoluzione digitale (che lui chiamava tecnotronica) per rimanere al vertice dell’ordine mondiale. La caratteristica più interessante di questo manoscritto è che Brezsinki, già negli anni Settanta, intravedeva i cambiamenti economici, politici e finanziari che la rivoluzione digitale (tecnotronica) avrebbe introdotto nelle società occidentali, individuando nella necessità di comprenderli e governarli al meglio la chiave per dominarli e, quindi, continuare ad esercitare una egemonia consistente nell’ordine mondiale a guida statunitense. Tutto questo richiedeva una ridefinizione degli spazi geopolitici attraverso due assi di intervento: la trasformazione dell’ordine globale in accordo alle esigenze imposte dalla rivoluzione digitale; l’indebolimento dell’Urss prima, e l’isolamento della Russia poi.
Brezsinki fu un interprete eccellente di questa dottrina, dapprima con la trasformazione dell’Afghanistan nel Vietnam dell’Urss, poi con l’intervento in Polonia che portò alla nascita di Solidarnosc per sottrarla all’influenza russo-sovietica, successivamente con tutta una serie di politiche suggerite alle amministrazioni Usa per indebolire ulteriormente e isolare progressivamente la Federazione Russa. Lo stesso allargamento a Est della Nato, tra la fine degli anni Novanta e la prima decade dei Duemila, rientra perfettamente in questa strategia di isolamento della Russia, facendo anche e soprattutto leva sui sentimenti russofobi di larga parte delle Repubbliche ex-sovietiche dell’Europa orientale (che, non a caso, hanno sempre guardato con più interesse agli Usa e alla Nato che non alla Ue).
Sempre nella visione di Brezsinki, nel quadro del governo della transizione digitale e del mastering delle capacità di controllo e sfruttamento delle tecnologie emergenti in questa transizione, l’isolamento della Russia andava concepito specialmente come interruzione della continuità del blocco euroasiatico: separare la Russia dall’Europa significava non solo indebolire economicamente e politicamente la Russia, condannandola all’isolamento, ma anche ricondurre l’Europa politica entro la sfera di influenza statunitense e sotto il quadro euro-atlantico definito dall’Alleanza. L’Ucraina, quindi, è stato l’ultimo tassello di questa politica interventista statunitense, sostanzialmente ignorata (colpevolmente) dall’Ue.
Lo stesso Brezsinski evidenzia questo punto, in un’altra pubblicazione del 1997, The Grand Chessboard: American Primacy And Its Geostrategic Imperatives. Qui, infatti, scrive che “è di imperativa importanza che non emerga nessun’altra entità euroasiatica, in grado di dominare l’Eurasia e quindi di sfidare l’America”, e continua affermando che “la sconfitta e il crollo dell'Unione Sovietica è stato il passo finale nella rapida ascesa di una potenza dell'emisfero occidentale, gli Stati Uniti, come unica e, in effetti, la prima potenza veramente globale”.
Ma la chiave per comprendere esattamente che cosa stia succedendo oggi, con riferimento all’Ucraina, è il passaggio in cui Brezsinki individua cinque Paesi “dinamici” che, nello scacchiere globale, costituiscono dei perni sui quali la politica estera e di sicurezza statunitense può giocare per svolgere il ruolo di grande egemone e prevenire l’ascesa di competitori strategici. Questi Paesi sono l’Azerbaijan, la Turchia, la Corea del Sud, l’Iran e l’Ucraina. Di questa scriveva: ”Senza l'Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. […] se Mosca riconquista il controllo dell'Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e le sue grandi risorse, nonché il suo accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente riacquista i mezzi per diventare un potente Stato imperiale, che abbraccia l'Europa e l'Asia”.
Scriveva Brezsinki che “se Mosca riconquista il controllo dell'Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e le sue grandi risorse, nonché il suo accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente riacquista i mezzi per diventare un potente Stato imperiale, che abbraccia l'Europa e l'Asia”
La circostanza più eclatante, che fa propendere per la tesi di una totale mancanza di linea circa la politica estera e di sicurezza dell’Ue, è che la Polonia, che fino a ieri veniva messa nel mirino della Commissione europea e dei governi di Italia, Francia e Germania per la questione della rule of law e del rispetto dei diritti civili dei cittadini polacchi, oggi viene sostenuta come baluardo politico non solo dell’integrità territoriale europea ma della sua stessa cultura politica. Ciò che non andava bene ieri, non può andare bene oggi, e sicuramente sarà un problema domani. Ma con le loro avventurose sortite su improbabili alleanze militari ristrette per combattere la Russia e la disponibilità a ospitare armamenti nucleari statunitensi sul loro territorio, personaggi politici come Morawiecki e Kaczynsky non solo gettano benzina sul fuoco ma mettono anche a repentaglio la sicurezza europea, creando le condizioni per una generalizzazione del conflitto.
Le istituzioni politiche polacche appaiono come i terminali europei dei vertici politico-militari statunitensi, ai quali le istituzioni europee non sembrano aver voglia di contrapporsi. Eppure, da un punto di vista economico, la rottura delle relazioni euro-russe comporterà uno scivolamento integrale dell’Europa nell’area di influenza (dipendenza) economica statunitense. Questa dinamica, condizionata pesantemente dalle relazioni di dipendenza energetica dai prodotti petroliferi russi, in particolare il gas, e che per larga parte sono insostituibili, potrebbe provocare la de-industrializzazione dei Paesi maggiormente esposti, ossia Italia e Germania. La dipendenza da materie prime non energetiche farà il resto, agganciando l’Europa in maniera definitiva al Nord America e completando la “chiusura” definitiva di un blocco euro-atlantico che, in prospettiva, sarà contrapposto al resto del mondo.
Da un punto di vista politico, questo è un suicidio della Ue. In un contesto globale che era già in cambiamento prima dello scoppio della guerra russo-ucraina verso un modello non più unipolare ma multicentrico, seguire la logica dei blocchi comporta automaticamente cedere qualsiasi margine di autonomia decisionale (e quindi politica) all’egemone di blocco. L’Ue aveva avviato una politica intelligente, seppur molto timida, di apertura e cooperazione a Est, di cui il Comprehensive Agreement on Investments con la Cina è un esempio. La stessa Germania, durante il lungo cancellierato Merkel, aveva intrapreso una politica di normalizzazione dei rapporti con la Federazione Russa, che non a caso in questi giorni viene duramente contestata dall’Ucraina e dai Paesi dell’Europa orientale. Quelle scelte erano corrette, perché andavano nella direzione della cooperazione e, quindi, della pace. Sono state anche il motivo fondamentale per il quale l’Ucraina è stata trasformata nel campo di battaglia tra Occidente e Russia da chi, da cooperazione e relazioni pacifiche, evidentemente ha solo da perdere.
Le riflessioni di Brezsinki costituiscono certamente un ottimo punto di partenza non tanto per stabilire chi abbia ragione o torto, ma per comprendere in quale complesso quadro globale la guerra in corso sia stata prima coltivata e poi sia scoppiata. Quello che emerge con evidenza è che, se da un lato la Russia ha dato il via a una operazione militare oggettivamente illegale sul piano del diritto internazionale, dall’altro gli Stati Uniti si sono mossi nella tutela delle loro esigenze di sicurezza nazionale senza riguardo alcuno del quadro di sicurezza europeo, giocando di fatto la loro partita anti-russa sulla testa dei governi e dei popoli europei, incluso quello ucraino.
L’Ue non ha scuse e le iniziative intraprese a sostegno del governo e del popolo ucraino sembrano essere una sortita avventurosa che copre la mancanza di una posizione e di una prospettiva politica al riguardo
In questo frangente, l’Ue non ha scuse e le iniziative intraprese a sostegno del governo e del popolo ucraino sembrano essere una sortita avventurosa che copre la mancanza di una posizione e prospettiva politica autentica al riguardo. Avere ignorato il quadro strategico entro il quale si consumava il conflitto russo-ucraino ha posto le classi dirigenti europee di fronte a una responsabilità di portata epocale. Essendo pur sempre classi dirigenti, avrebbero dovuto tenere da conto la storia russa e la frustrazione strutturale di quel Paese che, dal 1709, ha subito ben quattro invasioni da parte degli europei. L’Ue avrebbe potuto utilizzare tutto il suo peso diplomatico, politico ed economico per mitigare e stemperare le tensioni che per anni sono andate montando tra i due lati del confine, dimostrando agli alleati statunitensi di non essere disposti a tollerare che la conduzione della loro politica di sicurezza interferisse col quadro di sicurezza europeo.
Avere ignorato il problema non solo non ci ha messi nelle condizioni di evitarlo, ma comporterà anche la probabile progressiva subordinazione dell’economia (e quindi della politica) europea a quella statunitense. Inoltre, in questo quadro, è verosimile che molte delle linee di sviluppo industriale, tecnologico e ambientale contemplate dal piano programmatico della presidente von der Leyen verranno disapplicate, dal momento che l’Unione stessa non avrà più le risorse politiche ma soprattutto economiche per portarle avanti.
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