I tassi di interesse della Banca centrale europea (Bce) sono al massimo storico. Il commento di molti è: purtroppo, non può che essere così, è normale. L’Europa è stata investita da una fiammata di inflazione ed è quindi ovvio che la sua banca centrale intervenga con una politica monetaria restrittiva per impedirle di radicarsi e crescere.

Ma è davvero così? È davvero normale? Per rispondere a queste domande, e per coltivare dubbi su queste narrative convenzionali, è assai utile la lettura del volume Oltre le banche centrali. Inflazione, disuguaglianze e politiche economiche, scritto da Francesco Saraceno (Luiss University Press, 2023). Saraceno, macroeconomista romano trapiantato a Parigi (e componente della direzione di questa rivista per il triennio 2021-'23), è fonte assai autorevole, tra i protagonisti del dibattito europeo sui grandi temi macroeconomici. Non è nuovo alla pubblicazione di libri destinati al grande pubblico, in cui condensa studi e riflessioni sulle principali questioni dell’economia contemporanea. Dopo le sue riflessioni su “quel che non abbiamo voluto imparare dell’economia” e dopo un acuto insieme di analisi sul quadro delle politiche europee, con Oltre le banche centrali entra direttamente nella discussione su cause e rimedi dell’inflazione. E fornisce una risposta assai diversa da quelle correnti, sia sulle cause, sia sulle politiche opportune per contrastare l’aumento dei prezzi. A suo parere non è normale e nemmeno utile che occorra aumentare molto i tassi di interesse e determinare una forte stretta monetaria in presenza di un aumento dei prezzi anche sostenuto.

Il perché è spiegato nel libro. Un volume assi denso, più dei precedenti, in cui si intrecciano la storia dei fatti economici degli ultimi decenni con la storia delle idee prevalenti fra gli economisti. Difficile riassumerne anche per sommi capi tutti i contenuti. Dare, cioè, conto dell’analisi dei cambiamenti nel pensiero economico prevalente maturati negli ultimi cinquant’anni; con l’affermarsi di correnti interpretative (divenute poi dominanti nelle università) meno favorevoli all’intervento pubblico per influenzare le variabili economiche. E del racconto dei lunghi anni della cosiddetta “grande moderazione”, nei quali si pensava che il problema dell’instabilità macroeconomica delle economie fosse risolto, perché i grandi banchieri centrali erano riusciti a stabilizzare il ciclo; anni nei quali, sia detto per sottolineare la rilevanza delle questioni, nasce il quadro prescrittivo sulle politiche economiche che viene sublimato nel Patto di Stabilità europeo, con l’abbandono del grande obiettivo della piena occupazione e il perseguimento invece della stabilità come bene primario. Letture dominanti, ricorda Saraceno, che avevano già mostrato sensibili crepe con la grande crisi finanziaria del 2008, nata da squilibri nel settore privato ai quali l’intervento pubblico era stato chiamato, d’urgenza e massicciamente, a porre rimedio.

Un volume assi denso, in cui si intrecciano la storia dei fatti economici degli ultimi decenni con la storia delle idee prevalenti fra gli economisti

Ma appare davvero difficile ricostruire la densa articolazione del libro, l’intreccio, nel lungo periodo di idee e di fatti: se non per ricordare che naturalmente le prime hanno un’influenza assai grande sui secondi. Di seguito allora, con una scelta che non rende merito all’articolazione del volume ma che può forse risultare di un qualche interesse per il lettore, si proverà a riassumere la ricostruzione che Saraceno fa delle recentissime vicende dell’economia europea. Che sta succedendo, oggi? Perché i tassi sono così alti? È opportuno che lo siano?

Nel 2021 l’Europa esce dalla pandemia con un forte rimbalzo della domanda, rimasta sopita dai lockdown; l’economia, addormentata, si risveglia all’improvviso. Nascono, conseguentemente, le prime tensioni sui prezzi. Ma soprattutto l’economia si risveglia un po’ diversa, con una sensibile ricomposizione settoriale della domanda: mutano i consumi, e questo provoca maggiori tensioni in alcune attività (si pensi alla ristorazione o al turismo) rispetto ad altre, a seconda del blocco prima e della ripresa poi dei consumi. Arrivano quindi l’invasione russa dell’Ucraina e la forte impennata del costo dell’energia: molto maggiore per alcuni Paesi europei rispetto ad altri (a seconda del mix di fonti energetiche e di Paesi fornitori), per alcuni beni e servizi rispetto ad altri (a seconda dell’intensità di energia consumata). Qui una delle tesi più importanti sostenute dall’autore: alla radice dell’attuale inflazione c’è soprattutto una differenziazione fra la struttura della domanda e quella dell’offerta. Il tasso di inflazione è infatti una media fra valori diversissimi per singole categorie di beni e di servizi (oltre che, a scala continentale, fra dinamiche nazionali piuttosto differenziate).

Sono proprio queste differenze a rappresentare il più sensibile impatto negativo dell’inflazione. I panieri di consumo delle diverse classi sociali sono diversi: i poveri spendono in proporzione maggiore per quei consumi, a cominciare dall’energia per il riscaldamento e i beni alimentari, nei quali gli incrementi dei prezzi sono stati più alti. Per loro l’inflazione, come mostrano chiaramente calcoli precisi della Banca d’Italia, è assai maggiore. Non solo: i diversi ceti, ricorda Saraceno, sono protetti in modo assai diverso dalla perdita di potere d’acquisto: i lavoratori a reddito fisso sono maggiormente penalizzati, anche per la modestissima dinamica salariale e il lentissimo procedere (almeno in Italia) dei rinnovi contrattuali. Ancora, questa inflazione nasconde, come documentato anche da analisi del Fondo monetario internazionale, forti aumenti dei profitti; essi sono dovuti sia alla possibilità di occultarli meglio in un periodo di turbolenza sui prezzi, sia, soprattutto, dal formarsi di posizioni di monopolio in alcuni mercati, proprio per la riconfigurazione in corso delle strutture della domanda e dell’offerta. Che fare allora?

Sulle prime i banchieri centrali aspettano gli eventi; poi, temendo un’inflazione non solo alta ma pure duratura, entrano in azione. Ritengono ci sia troppa domanda e troppa moneta in circolazione e temono che le aspettative di inflazione si possano consolidare; temono, cioè, che l’aumento dei prezzi venga percepito come duraturo, e che quindi si trasmetta ai salari, attraverso richieste retributive maggiori; e quindi daccapo ai prezzi, generando una spirale, crescente, di inflazione. Come nei terribili anni Settanta. Quindi, fanno ciò che molti si aspettano da loro: aumentano ripetutamente i tassi di interesse in modo da generare una recessione e contenere così la domanda. Difendono il cambio: muovendosi sulla scorta delle Federal Reserve americana, impediscono che l’euro scivoli sul dollaro.

Ma, argomenta Saraceno, nel 2022 in Europa certamente non c’è un eccesso aggregato di domanda (c’è qualche indicazione invece per gli Stati Uniti). La stessa Banca centrale europea indica che non ci sono cambiamenti nelle aspettative. Soprattutto non c’è alcun segnale di una spirale fra prezzi e salari. Le organizzazioni sindacali sono assai più deboli che negli anni Settanta, non riescono a difendere il potere d’acquisto dei ceti che rappresentano. Ciononostante, si ha un repentino e forte aumento dei tassi di interesse. Con le relative ripercussioni. Quelle più evidenti, con una recessione indotta dall’azione della Banca centrale; e quelle potenzialmente ancora più pericolose, con un possibile effetto di scoraggiamento del costo del denaro su quegli investimenti indispensabili in Europa per la grande transizione verde. Anche la disinflazione ha poi un effetto distributivo negativo, perché anch’essa viene pagata di più dai più deboli, ad esempio sul fronte occupazionale.

È evidente anche in questo caso come l’Europa sconti la sua incompiutezza. In particolare, la mancanza di una capacità fiscale comune a fronte di un’autorità monetaria centrale

E allora? Si poteva restare inerti? Certamente no, argomenta l’autore. Ma non ricorrendo a questa strumentazione. La tesi di Saraceno, che auspicabilmente alimenterà un opportuno dibattito in Europa, è che si sarebbe dovuti intervenire con una risposta molto più diversificata. Non un solo strumento per raggiungere questo obiettivo, ma un più articolato “policy mix”. Una strumentazione che a giudizio dell’autore avrebbe dovuto comprendere controlli diretti dei prezzi più importanti (anche temporanei) e una tassazione degli extraprofitti garantiti dalle turbolenze dell’economia. Anche se questi ultimi nient’affatto semplici da realizzare, specie senza un forte coordinamento internazionale. Sarebbe stato poi opportuno riconsiderare la soglia del 2% come livello di inflazione accettabile, anche perché in questo periodo è, come già ricordato, una media tra valori settoriali molto diversi e di situazioni nazionali molto diversificate. Ma all’interno della Bce sono prevalse le tesi più rigoriste, assolutamente contrarie a cambiamenti che, si teme, potrebbero minarne la credibilità. Il punto di fondo, che riprende le tesi del suo precedente volume, è che è evidente anche in questo caso come l’Europa sconti la sua incompiutezza. In particolare, la mancanza di una capacità fiscale comune a fronte di un’autorità monetaria centrale. Il timore è che anche rispetto al futuro venga ritenuto nettamente prevalente l’obiettivo della stabilità rispetto a quelli della piena occupazione e della stessa grande trasformazione dell’economia europea in senso eco-sostenibile. E che quindi l’ormai prossimo varo del nuovo Patto di stabilità possa rigidamente conformarsi a queste priorità, privando gli Stati membri (a cominciare dall’Italia) delle risorse necessarie per stimolare crescita e trasformazione strutturale. Una nuova stagione di austerità, che potrebbe spegnere le speranze nate con il Next generation Eu.

Insomma: non bisogna coltivare facili illusioni. La battaglia delle idee è ben lontana dall’essere vinta da quanti si oppongono alla visione ancora prevalente dell’economia e delle sue regole, e delle priorità che la politica economica deve perseguire senza troppo curarsi delle sue conseguenze sociali (e politiche). Ma almeno, e possiamo dire anche grazie a questo libro, c’è qualcuno che la combatte.