Diciamocelo chiaramente: il vero problema della Chiesa, quello che papa Francesco sta cercando di inculcare alle coscienze più sveglie e libere (e poco importa dove esse siano schierate), è il cattolicesimo occidentale – o nordatlantico, se preferite. Esso appare, alla superficie, secondo lo schema arcaico, oramai superato dalla realtà delle cose, di posizioni liberali e conservatrici. Ma tutte condividono l’asserto che la Chiesa cattolica coincide perfettamente con la sua forma nord-occidentale, e con le esigenze che qui vengono coltivate.Sembra che la condizione del resto del mondo, le questioni che là decidono della fede, abbiano poco se non nessun rilievo. Il destino della Chiesa si cucina qui da noi. Questo ci sembrano dire sia l’attendismo di coloro che non accettano la severità di Francesco verso i ceti gerarchici della Chiesa (non che Gesù abbia avuto parole carine verso i dodici, quando questi si disputavano il suo lascito quale ricerca di un potere e onore a venire); sia il nervosismo di quelli che pensano che l’impasse della Chiesa si risolva ribaltando questioni sorte alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. In questi atteggiamenti traspare come tutti costoro siano più preoccupati delle proprie biografie, anziché del destino della fede e della Chiesa nel mondo.

Prendiamo in considerazione i cattolici liberal, così ce la giochiamo fra amici e non diamo adito ad alcun sospetto di parte. In un recente post per la rivista «Il Regno» Massimo Faggioli ha indicato la miopia di un legalismo intransigente di questo ceto del cattolicesimo statunitense; mostrando come la cosa implichi anche una scarsa comprensione del funzionamento della tradizione cattolica e una preoccupante incomprensione del papato di Francesco. Insomma, cambiare le regole (della morale sessuale) sarebbe la condizione necessaria affinché Francesco possa trovare una qualche corrispondenza tra quelli che dovrebbero esserne i più convinti sostenitori – soprattutto se si tiene conto che, rispetto a quelle regole, egli ha già creato ampi e alternativi spazi di movimento. Ma no, questo non basta: vogliamo che la regola sia ribaltata. Spostiamoci in Germania, e le cose non cambiano poi di tanto. Quello che al di là dell’Atlantico viene chiamato legalismo, qui lo si potrebbe definire come istituzionalismo. Poco importa che tutti si possa vivere più liberamente la propria fede, anche coloro che non sono minimamente d’accordo con questo papa (hanno tutta la libertà di scriverlo sui giornali, senza essere convocati il giorno dopo dal proprio vescovo o qualche ufficio vaticano): o si cambia l’istituzione, e fino ad allora non ci si spende più di tanto a favore di Francesco, oppure è come se non fosse successo nulla. Il codice linguistico di questo istituzionalismo dei liberal tedeschi è “sì, però…” – come bambini capricciosi che non riescono a godersi quello che hanno tra le mani. Passiamo all’Italia. Nel suo ultimo numero «Il Regno» ha pensato di riproporre ai lettori un parere della Pontificia commissione biblica sull’ordinazione delle donne redatto nel 1976; evidentemente con l’intento di indicare un punto intorno al quale organizzare oggi la riforma della Chiesa.

Tiriamo un po’ le somme, in estrema sintesi, di questo malessere del ceto cattolico che dovrebbe essere più affine al ministero di Francesco. È difficile sfuggire all’impressione che si faccia coincidere la riuscita di questo papato con il ribaltamento degli esiti di tutte quelle battaglie che quel ceto ha perso dopo il Vaticano II. Come se il destino della Chiesa fosse tutto racchiuso in questo tempo che fu; tempo che si racchiude tutto nel bacino nordatlantico del cattolicesimo. Proviamo a fare due passi nei barrios di Caracas e, ammesso che ci riesca di uscirne indenni, chiediamoci se contraccezione, ordinazione delle donne, modi di nomina dei vescovi, siano le urgenze davanti alle quali la notizia evangelica di Dio si troverebbe immediatamente posta.

Su due cose sembrano essere tutti d’accordo, conservatori e liberali: l’irrilevanza del Vangelo nell’edificazione istituzionale della Chiesa, da un lato, e l’inadeguatezza di sud-americanizzare la gestione istituzionale della Chiesa, dall’altro. Il secondo aspetto è quello più interessante (il primo è semplicemente drammatico), perché rivela una sorta di timore di colonizzazione (questa volta a parti invertite). Gli ostacoli che Francesco sta incontrando mostrano chiaramente dove risieda oggi il potere nella Chiesa; il problema è che questo luogo occidentale del potere non sembra avvedersi di dove stia la massa critica su cui esercitarsi, correndo il rischio di diventare in breve tempo un potere sul nulla.