Il travaglio è stato lungo e difficile, ma alla fine le nuove regole sulla finanza americana sono andate in porto. Chi ha avuto la curiosità negli ultimi tempi di frequentare le rassegne della stampa straniera, ha sicuramente percepito in tutta la sua dimensione il dibattito, a volte il vero e proprio litigio, che ha caratterizzato anche con profonde divisioni e lacerazioni l’opinione pubblica statunitense nella stessa misura, se non di più, di quanto avvenuto per la riforma sanitaria.
D’altronde, quello che è successo oltreoceano non poteva oggettivamente lasciare le cose come stavano e Obama si giocava su questo terreno una grande fetta di credibilità.Non poteva di fronte alle tante vittime dei famigerati subprime far finta di niente, ma doveva anche stare attento ad evitare che le nuove regole si risolvessero in una mannaia che travolge tutto, perché della finanza, o meglio di una finanza equilibrata, comunque l’economia ha bisogno. E doveva anche scontrarsi con il formidabile potere delle lobbies bancarie, pronte a far valere le loro ragioni attraverso molteplici strade.
La battaglia è stata ardua e sicuramente il complesso, in alcuni casi difficile da decifrare, testo della riforma ha perso per strada qualche pezzo importante. Ad esempio risulta in parte annacquata la famosa Volcker rule, dal nome dell’ex banchiere centrale, poi divenuto ascoltato consigliere di Obama, che impediva alle banche commerciali il trading in proprio e gli investimenti negli hedge funds e nel private equity, così come sono state attenuate alcune norme di tutela dei consumatori.
Ci sono però risultati importanti, in termini di rafforzamento dei controlli, dei vincoli prudenziali, e di presidi contro i rischi sistemici.
Occorrerà tempo per riflettere attentamente sull’insieme dei provvedimenti adottati nella riforma, ma la prima, immediata, reazione che suscita è l’invidia. Invidia perché dopo tanto parlare, fiumi di documenti e roboanti dichiarazioni in tutto il mondo, finalmente c’è un posto dove le promesse di nuove regole vedono la luce: una sensazione di concretezza che colpisce, soprattutto dalle nostre parti dove si vive in un clima di continui annunci dopo i quali c’è il niente assoluto.
Invidia perché è una riforma ottenuta in tempi ragionevoli, senza perdersi in rinvii estenuanti (basta vedere quello che sta succedendo in altri Paesi) e tenendo la barra dritta, pur cedendo, come sempre avviene in politica, a qualche compromesso e rinunciando, diciamolo onestamente, a qualche eccessiva rigidità ideologica.
Invidia perché Obama ha avuto il coraggio dell’impopolarità; siamo in presenza di una riforma condivisa, ma un rapido viaggio sulla rete mostra un presidente inviso dai circoli conservatori più retrivi che parlano di una sorta di cavallo di troia con il virus del socialismo, e da quelli più radicali che lo considerano ormai al soldo della grande finanza.
Invidia, infine per il coraggio delle idee forti. Non si tratta, infatti, solo e soltanto di supplire ad un fallimento della regolamentazione, ma anche di inserire i nuovi interventi del dopo crisi in un filo conduttore (la già citata riforma sanitaria) tutto incardinato su un grande bisogno di redistribuzione di risorse a favore dei più deboli.
In futuro non sarà più possibile in America scaricare sul credito facile, e spesso truffaldino, le esigenze primarie come quella di avere una casa decente dove vivere.
E questa è una lezione per tutto il mondo, se è vero che un recente studio della Banca mondiale calcola in 53 milioni di nuovi poveri le conseguenze dello tsunami finanziario.
È una lezione anche nella nostra piccola provincia, per chi deve quotidianamente confrontarsi con un lessico del riformismo autoreferenziale, privo di idee forti e di quelle grandi speranze di nuovi orizzonti che aiutano tutti noi a guardare al futuro con fiducia.
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