India: un gigante al voto tra temi nazionali e questioni locali. Una macchina gigantesca si aggira per i 35 Stati e Territori dell’Unione Indiana: sono gli oltre 6 milioni di membri del personale civile e militare impegnati nell’arduo compito di vigilare,

nell’arco di cinque "fasi" tra il 16 aprile e il 13 maggio, su 1.300.000 postazioni elettroniche installate in oltre 800 mila seggi, e assicurare il regolare svolgimento delle elezioni. Alle urne sono chiamati oltre 713 milioni di cittadini: 713 milioni di nomi, di cui l’82% è accompagnato, negli elenchi elettorali, da un piccolo ritratto fotografico. Il 16 maggio è prevista la proclamazione dei 543 membri della nuova Lok Sabha, il Parlamento centrale della federazione. La complessità dell’esercizio elettorale in India riflette la natura stessa della vita politica del Paese. Tramontata definitivamente l’era in cui un singolo partito, il Congress, era in grado di conquistare da solo il governo a Delhi, da quasi un ventennio sono le coalizioni a tenere banco. Coalizioni formate intorno a un grande partito nazionale (il Congress stesso da un lato e il Bharatiya Janata Party dall'altro), oppure costituite da un "terzo fronte" di formazioni a base regionale, con l’eventuale appoggio dei partiti di sinistra. I partiti regionali sono perciò diventati il vero ago della bilancia, anche in virtù di una maggiore capacità di rispondere alle specifiche necessità e aspettative della popolazione dei diversi stati.

 Di conseguenza, il contesto elettorale viene a giocarsi intorno a questioni che attengono più a situazioni locali che non ai grandi temi e orientamenti dei partiti nazionali. In effetti, al di là della proclamata contrapposizione tra il centrismo riformista e pluralista del Congress e il nazionalismo filo-indù e pro-ricchi del Bjp, le reali esperienze di governo delle ultime legislature hanno mostrato una continuità di obiettivi e politiche: riformismo economico neo-liberale, integrazione nel commercio globale, sviluppo del nucleare, ricerca di un’affermazione politico-strategica nel contesto internazionale. E’ certamente vero che, diversamente dal Congress, la destra si è distinta per il tentativo di alimentare tensioni inter-comunitarie, spesso legate a rapporti di forza politico-economica in chiave locale. Ma l’eventuale affermazione politica sotto il vessillo dell’India "indù", come nel caso di Narendra Modi, capo del governo del Gujarat, si è poi consolidata in virtù di efficaci piani di sviluppo economico. Dove l’elemento economico è mancato, il Bjp ha perso consensi, come è avvenuto recentemente in Orissa. Il Congress, da parte sua, già dalla fine degli anni ‘80 ha visto declinare il suo ruolo di garante delle minoranze religiose, e le politiche promosse nell’ultimo decennio non hanno certo mostrato particolare considerazione per la popolazione rurale e i ceti meno abbienti. Tutto questo si è poi intrecciato con la graduale ascesa di soggetti politici portavoce degli interessi specifici di determinati gruppi sociali, specialmente caste svantaggiate e comunità tribali. E’ il caso, ad esempio, del Bahujan Samaj Party dell’Uttar Pradesh: nato come rappresentante dei Dalit, o fuoricasta, ha ottenuto il governo di questo popoloso stato ed è ora in grado di lanciare la candidatura di Mayawati all’ambitissima poltrona di Primo Ministro dell’Unione.

Anche le elezioni del 2009, perciò, presentano soltanto sullo sfondo la contrapposizione fra Congress e Bjp. Assai più decisive sembrano essere questioni di rilevanza regionale e locale, come il controllo dei prezzi dei beni di prima necessità, la confisca di terreni agricoli per finalità industriali, il controllo del movimento maoista e naxalita, l’impatto degli attentati di Mumbai, o ancora rivalità personali fra esponenti politici. Il Bjp può contare sullo scontento che il governo del Congress ha seminato nei suoi anni di mandato, ma molti osservatori sono scettici circa le sue reali possibilità di affermazione. Per il Congress, le precarie condizioni di salute di Manmohan Singh costituiscono una pesante incognita in vista di una prossima, inevitabile "successione". Le speranze si concentrano su Rahul Gandhi, il trentottenne figlio di Sonia, il quale però non ha finora mostrato di possedere né il carisma dei suoi antenati, né la necessaria competenza per gestire una realtà complessa come quella indiana al cospetto di una situazione internazionale di grande instabilità, a cominciare dai vicini stati di Pakistan e Afghanistan. L’esito di queste elezioni appare perciò estremamente incerto. Non è improbabile che, nell’eventuale assenza di una chiara maggioranza nel futuro parlamento, la formazione del governo e la sua sopravvivenza dipendano ancora una volta dalla soluzione di questioni di carattere regionale e locale.