Per la maggior parte dei genitori, le vaccinazioni pediatriche fanno parte di una routine fuor di questione: si devono fare per offrire ai propri figli uno scudo contro le malattie infettive. Non è così per tutti. Chi, come i genitori di Giulia, la pensa altrimenti costituisce una minoranza, che, tuttavia, nella partita della salute pubblica, gioca un ruolo cruciale. Per garantire una piena protezione dalle malattie infettive dell’infanzia è necessario che la quota della popolazione vaccinata si attesti attorno al 95%, soglia che garantisce l’immunità di gregge, e mette al sicuro anche chi non è vaccinato. In questo quadro, le perplessità di una minoranza – seppur piccola – assumono, pertanto, un particolare rilievo e meritano di essere indagate.
Allo studio delle ragioni alla base dello scetticismo di questi genitori è dedicata una ricerca etnografica internazionale che ha combinato osservazione sul campo – nei centri vaccinali – e interviste ai professionisti e ai cosiddetti genitori «esitanti», attraversati da riserve sulle vaccinazioni (Cardano et al., A team ethnography on vaccine hesitancy in Europe. A case study of a local truth construction, «Rassegna Italiana di Sociologia», n. 4/2023). In quel che segue, l’attenzione cadrà sulle ragioni di tali riserve.
Torna utile ancorare le nostre riflessioni al concetto di fiducia, intesa come un insieme di attese positive elaborate in condizioni d’incertezza e vulnerabilità. Questa disposizione sta alla base di un vasto insieme di relazioni sociali e – per quel che ha rilievo qui – al centro della relazione medico-paziente. Le dimensioni d’incertezza e vulnerabilità della relazione di cura vengono magnificate in un ambulatorio vaccinale. Qui la vulnerabilità si mostra nel corpo minuto dei bimbi che – sani – devono ricevere un farmaco. L’incertezza dei genitori è amplificata in ragione del particolare investimento emotivo riversato sui propri figli.
Gli argomenti dei genitori esitanti muovono da un insieme di premesse – spesso implicite – che ne definiscono la cifra; due – di portata generale – hanno particolare rilievo. La prima muove dalla celebrazione della Natura, del suo potere rigenerativo, su cui fare affidamento. La seconda muove dalla critica radicale e dalla destituzione della fiducia nei confronti delle istituzioni sociali responsabili della salute pubblica. Nella figura viene offerto un quadro d’insieme di queste linee argomentative.
L’incertezza dei genitori è amplificata in ragione del particolare investimento emotivo riversato sui propri figli
La sfiducia nei vaccini in quanto superflui. Gli argomenti che portano a ritenere superflui i vaccini esprimono nel modo più chiaro l’idea della celebrazione della natura, la fiducia nel suo potere rigenerativo. I due estratti che seguono illustrano questo tipo di ragionamento.
Le malattie esantematiche, come quelle coperte dall’Mpr, se un bambino sta bene, non sono mortali. Mia madre mi diceva che la pediatra le suggeriva di portarci dai bambini ammalati: l’immunità naturale è permanente.
La bimba più grande è sempre stata bene. Se la più piccola dovesse prendere la varicella, la supererebbe. La sorella maggiore l’ha presa senza problemi. Sembra che non si voglia più affrontare nessun tipo di malattia.
Sul piano tecnico, il primo argomento fa appello all’opinione di un esperto, la pediatra; il secondo poggia sull’esperienza personale di chi lo enuncia. Entrambi gli argomenti hanno un fondamento aneddotico che – insieme – ne delimita la plausibilità e illustra un tratto distintivo del tipo di pensiero che impronta questi ragionamenti: orientati alla singolarità.
La sfiducia nei vaccini in quanto controproducenti. Il carattere controproducente delle vaccinazioni pediatriche è sostenuto evocando la tesi del sovraccarico immunologico. Si assume che la somministrazione combinata di più vaccini ponga sotto pressione il sistema immunitario e produca un’amplificazione degli affetti avversi. Una tesi che gli esperti ritengono infondata. Anche per questo repertorio riporto un esempio, basato sul richiamo a un’opinione esperta – in questo caso – non meglio definita.
La teoria che sta dietro è che è meglio accompagnare un bambino a sviluppare il proprio sistema immunitario, che non bombardarlo perché sviluppi gli anticorpi necessari tutti insieme per le vaccinazioni che riceve.
La sfiducia nei vaccini in quanto pericolosi. Gli argomenti di questa rubrica aggiungono alla celebrazione della natura la sfiducia nei farmaci. L’avversione ai vaccini si fonda ora sugli antigeni che li costituiscono, ora sugli additivi. Affido a due estratti l’illustrazione di questa linea di pensiero. Il primo, basato sull’argomento post hoc ergo propter hoc, evoca il presunto legame fra vaccini e autismo sulla scia delle screditate tesi di Andrew Wakefield.
Magari qualche dubbio su qualche effetto collaterale, diciamo ci può essere (…) magari dubbi sul fatto che magari alcuni vaccini possano lasciare un po' magari bambini – come dirlo – un po' come i figli di Giovanna... Possono causare l'autismo.
Il secondo estratto consente di arricchire la lista delle patologie attribuite alle vaccinazioni pediatriche. Si tratta, in questo caso di un ragionamento riconducibile all’argomento ad judicium, che fonda la plausibilità di una tesi sul consenso ottenuto.
Ho notato negli ultimi anni – conoscendo diverse mamme che fanno parte di forum di genitori, su Internet e quant'altro – che c'è stato un aumento veramente molto considerevole di malattie autoimmuni, dermatiti, di celiachie, intolleranze. Un sacco di celiachia e il boom di tutto questo è iniziato nel 2017, quando si è introdotto l'obbligo delle vaccinazioni.
Gli argomenti che muovono dalla seconda premessa generale esprimono – con diversa intensità – sfiducia nelle istituzioni sociali responsabili della salute pubblica, a cominciare dalla medicina convenzionale, per passare poi all’industria farmaceutica e alle istituzioni pubbliche di controllo.
La sfiducia del sapere biomedico. La sfiducia nel sapere biomedico, già emersa sotto traccia negli argomenti esaminati più sopra, assume una forma radicale nella riflessione di un papà che mette in dubbio la stessa solidità della documentazione scientifica, ricorrendo all’argomento della mancanza d’imparzialità.
Le evidenze scientifiche si possono – come dire – si possono un po’ manipolare. I dati e tutti i paper che portano verso una certa via, insomma, possono non avere effettivamente tutta la valenza che hanno.
Le riserve verso le vaccinazioni pediatriche che pongono al centro la sfiducia nell’industria farmaceutica fanno tipicamente riferimento al suo carattere predatorio e immorale
La sfiducia nelle compagnie farmaceutiche. Le riserve verso le vaccinazioni pediatriche che pongono al centro la sfiducia nell’industria farmaceutica fanno tipicamente riferimento al suo carattere predatorio e immorale.
Le industrie farmaceutiche, lo sappiamo benissimo che comunque sia, sono industrie e un'industria ha bisogno di fare soldi.
Non sono contro il vaccino ma sono contro quello che c'è dietro, sono contro il fatto che sia un sistema economico, non un sistema di salute, contro al Big Pharma, a tutto l'interesse che c'è dietro.
Entrambi gli argomenti poggiano sull’argomento dell’essenza, che attribuisce a ciò cui si applica proprietà stabili e invarianti, in questo caso, deteriori.
La sfiducia nel sistema pubblico di controllo. Gli argomenti che esprimono sfiducia nel sistema di controllo insistono sulla non terzietà dello Stato. È quanto emerge nel ragionamento che segue, modellato sull’argomento ad personam.
Io penso che non possiamo più pensare a uno Stato nazione che sia indipendente dalla dimensione finanziaria economica e quindi dalle multinazionali, dalla dimensione del privato. E questo anche nella spesa sanitaria. Non sto dicendo che facciano apposta a far ammalare perché poi da qui finiamo nel complottismo, però, non sono così settorializzati il pubblico e il privato.
La delegittimazione dello Stato si esprime, altresì, con un altro ragionamento, basato sul cosiddetto avvelenamento del pozzo, che sostiene – senza espliciti riscontri documentali – la tendenza alla sottonotifica degli effetti avversi.
Io non credo che – così com’è strutturato adesso – il sistema di sorveglianza funzioni e di conseguenza non mi fido del fatto che il rapporto rischi e benefici sia controllato.
Ciò che accomuna gli argomenti esaminati è l’assenza di una dimensione dialettica. Con poche eccezioni, le tesi avversate raramente sono considerate in modo puntuale. Un altro elemento degno di nota riguarda il taglio epistemico di questi ragionamenti, che, con Jerome Bruner, riconosciamo come modellato sul pensiero narrativo concentrato sul particolare, sulla singolarità.
La riflessione su questi aspetti consente di affrontare la questione chiave della rilevanza di un’attenzione analitica a questi discorsi, quando tutto può essere risolto con il semplice richiamo al cosiddetto «deficit model», per il quale lo scetticismo è dovuto a null’altro che all’ignoranza.
Porre la questione della riluttanza verso i vaccini nel quadro dei processi di costruzione della fiducia, analizzare le forme argomentative degli scettici consente di calibrare la comunicazione pubblica, sia sul terreno dell'educazione sanitaria, sia su quello dell'interazione faccia a faccia. Ripristinare la dimensione dialettica del confronto fra professionisti e genitori è un primo passo in quella direzione. Un ripristino che non può che partire dal riconoscimento della legittimità del dubbio e dall’offerta garbata di punti di vista alternativi.
Inoltre se sono le storie, il sapere aneddotico, ciò che è più familiare agli scettici, il ricorso a forme di comunicazioni su quel registro potrebbe risultare promettente. Per un medico vaccinatore è meglio dire: «io i miei figli li ho vaccinati contro il meningococco, anche se non è obbligatorio», piuttosto che «la prevalenza della meningite non è elevata, ma fra chi la contrae il rischio di danni permanenti o di morte sono consistenti». È su di una comunicazione più improntata alla dialettica, attenta alle sensibilità cognitive ed emotive di chi, come il papà di Giulia, è attraversato da una qualche riserva sui vaccini che è possibile rinsaldare l’alleanza terapeutica fra genitori e professionisti, garantendo a tutti un’efficace protezione contro le malattie infettive.
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