Negli ultimi dieci anni, tra le grandi questioni che vengono dibattute dalle agenzie internazionali nel campo del contrasto alla violenza basata sul genere e sull’orientamento sessuale – tra cui anche, per esempio, le mutilazioni genitali femminili, il traffico di esseri umani, l’aborto selettivo dei feti femmine, e così via – è emersa con forza quella dei crimini di "cosiddetto" onore, i "so-called honour crimes", come si dice nel tentativo di salvare la parola onore dalle violenze che essa giustifica in giro per il mondo. Lo scenario a cui ci si riferisce di fatto è il seguente: da una parte padri, fratelli, mariti, figli, cugini, zii che ricattano, insultano, picchiano, stuprano, uccidono – soprattutto figlie, sorelle, mogli, madri, ma anche ragazzi della famiglia – perseguendo l’idea che sia stato violato l’onore proprio e della propria famiglia. Dall’altra donne, spesso giovani, che hanno – o si dice abbiano – comportamenti considerati inaccettabili, quali vestirsi secondo il proprio gusto, avere rapporti fuori dal matrimonio, magari con altre donne, rifiutare l’uomo scelto per loro dalla famiglia, cercare di separarsi o divorziare. Ma anche ragazzi troppo apertamente gay, o anche solo sospettati di avere rapporti con altri uomini.
Per chi è di cultura italiana, il fenomeno, pur scioccante, non è così esotico, e in effetti il significato della parola "onore" legato al controllo punitivo della sessualità e del genere fa parte della lingua corrente italiana – mentre così non è in inglese, olandese o svedese, per esempio. Tra ironia e commedia, e spesso pronunciato con forzato accento meridionale, in italiano l’onore viene fuori spesso riferendosi a gente all’antica, come un retaggio da cui distanziarsi con una bella risata. Eppure, forse non molti sanno che questo tipo di onore è stato riconosciuto e valorizzato molto a lungo dal codice penale italiano. E non fino ai tempi dei nostri nonni e nonne. E neanche dei film neorealisti. L’onore costituiva infatti movente attenuante nell’omicidio di coniuge, figlie e sorelle, così come dei loro amanti "illegittimi", fino al 5 agosto del 1981. Nello stesso spirito, il matrimonio era riconosciuto come possibile causa di estinzione di reati sessuali, assecondando l’uso del cosiddetto "matrimonio riparatore".
Per chi già non lo sapesse, e per chi, come me, sia troppo giovane per aver seguito gli eventi di allora, e magari sia stato allevato nella convinzione – poi rivelatasi più che altro un auspicio di genitori progressisti – che l’Italia fosse un Paese moderno, la notizia può essere alquanto scioccante. Gli articoli erano rispettivamente il 587 per il delitto d’onore e il 544 per il matrimonio riparatore. Il primo permetteva ai giudici di comminare pene lievi (dai 3 ai 7 anni), diminuibili fino a un terzo, per mariti, fratelli, padri che uccidevano donne di cui avessero scoperto gli atti sessuali "illegittimi", e gli uomini con cui queste fossero "illegittimamente" coinvolte. Il secondo permetteva a un uomo che avesse stuprato e/o rapito una donna, o una ragazza anche minorenne, di potere successivamente sposarla e ottenere così di cancellare il proprio reato, contando sul consenso di genitori preoccupati di restaurare l’onore della figlia e della famiglia.
Visto che la vicinanza temporale non ci permette di liquidare il fenomeno come appartenente a una remota cultura mediterranea ancestrale, ci si può invece chiedere che fine abbia fatto l’onore che fino all’altro ieri era addirittura sancito per legge nazionale. In che modi e forme si sia cioè trasformato, culturalmente e legislativamente, e soprattutto come si possa continuare a contribuire oggi al cambiamento che ha portato all’abolizione di queste leggi trent’anni fa.
Lama Abu-Odeh, un’importante studiosa che si occupa di sistemi penali comparati in questo campo, può fornirci in questo senso una chiave interessante. Abu-Odeh sottolinea come si possa considerare che in Occidente, nel sistema culturale e legislativo, il concetto di "passione" funzioni in modo equivalente a quello di "onore" in Oriente. Sottolinea anche come il passaggio a una certa modernità all’occidentale implichi il passaggio da "onore" a "passione". Mentre non sono più accettabili atti di violenza in nome dell’onore familiare, in una certa misura lo sono ancora se inflitti in nome dell’amore e della passione di tipo sessuale. Del resto, in Italia, e in molti Paesi europei, la gelosia è tuttora usata come giustificazione dai colpevoli di violenza, e riconosciuta come attenuante nei tribunali, assai più per gli uomini che non per le donne, così come l’infedeltà coniugale è considerata motivo di "provocazione", che può portare a diminuzioni di pene. Gli uomini che aggrediscono madri, figlie, sorelle, e magari rivendicano apertamente le loro azioni, sono mal visti da quasi tutti, e per di più, se di origini extra-europee, vengono additati come inassimilabili, e spesso come "mostri musulmani". Se invece la violenza avviene verso mogli e fidanzate, o ex, da parte di uomini bianchi europei, magari con sensi di colpa, le condanne restano ancora poco nette, e la comprensione prevale: era disperato, era psichicamente disturbato, lei lo aveva logorato. Eppure i femicidi riportati dai media in Italia nel 2010 sono stati 127, quasi totalmente compiuti da uomini di cultura italiana, senza psicosi, che dichiaravano di amare le donne che hanno ucciso.
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